Acquisizione di Hella da parte di Faurecia (Exor): come leggerla e quali conseguenze avrà sull’Italia

di Marco Scotti e Filippo Astone ♦︎ Componentistica auto/L'operazione fa nascere il settimo gruppo mondiale nel settore e il secondo in Europa. Un vero e proprio campione. Al tempo stesso, anche in relazione alle notizie che arriveranno sull'adesione all'aumento di capitale, potrebbe essere letta con un segno del progressivo disimpegno nel settore della finanziaria degli Elkann, che aveva già un suo campione, la Marelli, ma ha preferito cederla

Con questa operazione Exor - la finanziaria degli Agnelli-Elkann che è secondo azionista di Stellantis, separa definitivamente i propri destini da quelli di camion e furgoni - dopo aver tentato di venderli per qualche anno, con fitte trattative poi tramontate coi cinesi di Faw. Exor resta azionista di maggioranza di Cnh Industrial

Ci sono parecchi modi per leggere la notizia dell’acquisizione della tedesca Hella da parte di Faurecia. Prima di tutto, le cifre: l’operazione verrà chiusa in due tranche, per un controvalore complessivo di 6,7 miliardi di euro. Il primo tassello sarà rappresentato dall’acquisto del 60% delle quote direttamente dalla famiglia Hueck, proprietaria della maggioranza assoluta delle azioni. In questo caso, verranno riconosciuti 3,4 miliardi di euro e oltre 13,5 milioni di nuovi titoli della nuova creatura, in modo che gli Heck si ritroveranno a detenere il 9% della compagine. Faurecia, poi, passerà all’acquisizione del restante 40% per un controvalore di 60 euro per azione, ovvero 3,3 miliardi, con un premio per i detentori delle stock. L’obiettivo è creare un campione della componentistica automotive con oltre 23 miliardi di ricavi nel 2021 ed Ebitda margin intorno al 7%.

Faurecia è un gruppo francese di ingegneria e produzione di apparecchiature automobilistiche. L’azienda sviluppa, produce e commercializza attrezzature per le case automobilistiche: sedili, sistemi interni (cruscotti, pannelli, elementi decorativi e moduli acustici, ecc.), tecnologie di controllo delle emissioni (scariche). È attualmente al dodicesimo posto nella classifica dei principali componentisti per automotive (al comando rimane sempre Bosch) ma, dopo la fusione con Hella, diventerà il settimo a livello globale. Proprio l’azienda tedesca ha una storia molto antica: nata nel 1899 è stata per lungo tempo specializzata nella produzione di fari e di componenti elettriche per le vetture. Ma soprattutto, ed è questo dettaglio a renderla particolarmente appetibile, ha progressivamente iniziato a realizzare sistemi di elettronica fondamentali per le auto del futuro. Commercializza anche fari Led, sensori, gestione dell’energia, apparecchi diagnostici, servosterzi, centraline.







Patrick Koller, ceo di Faurecia

«Questa fusione è un’opportunità unica per creare un leader globale nella tecnologia automobilistica – ha commentato il Ceo di Faurecia, Patrick Koller – Sono convinto che Faurecia e Hella siano una coppia eccellente. Condividiamo la stessa visione e abbiamo una comprensione comune dei valori e della cultura». Si prevedono sinergie di vendita da 300 a 400 milioni di euro entro il 2025. Faurecia, scrive il magazine Automobilwoche, svilupperà una gamma completa di veicoli elettrici basata sul portafoglio di gestione dell’energia di Hella, tecnologia dei sensori e attuatori per veicoli alimentati a batteria, nonché soluzioni di sistema e soluzioni di stoccaggio dell’idrogeno di Faurecia. I sistemi di gestione della batteria, i convertitori Dcdc e i sistemi di ricarica a bordo di Hella, nonché i sistemi a batteria, lo stoccaggio dell’idrogeno e i sistemi stack sono esempi della gamma di prodotti combinati. Il gruppo avrà 18.500 ingegneri e specialisti, inclusi 3.000 ingegneri del software.

Non va dimenticato, infatti, che dal 2035 non si potranno più realizzare vetture con motori termici e che Stellantis conta di procedere rapidamente nell’elettrificazione della gamma. L’obiettivo è di avere almeno un modello per tipologia totalmente elettrico entro il 2025 e di raggiungere, nel 2030, il 70% di vendite in Europa tramite e-car. Quindi, il primo e più naturale modo per raccontare l’acquisizione di Hella da parte di Faurecia è quella di un player globale della componentistica che deve necessariamente riposizionarsi di fronte alle rinnovate esigenze del mercato per riuscire a trovare le risposte necessarie. Soprattutto dopo un anno terribile come il 2020 in cui la produzione è stata quasi dimezzata. Non solo: già prima del Coronavirus la pervicacia con cui l’Unione Europea ha deciso di scagliarsi contro il diesel aveva di fatto già costretto moltissimi operatori a iniziare una strategia di riconversione per non restare con il cerino in mano.

Paolo Scudieri, presidente di Adler Pelzer Group

Il rafforzamento di Faurecia rappresenterà un vantaggio competitivo non indifferente nel mondo della componentistica auto che, non va dimenticato, è uno dei pilastri della manifattura italiana, con oltre 40 miliardi di giro d’affari, quasi 6000 lavoratori e ben 2.500 aziende, fra le quali spiccano nomi come Brembo, Sogefi, Landi Renzo, Dell’Orto. Faurecia, pur essendo controllata da Psa, è fornitore di tutti e non ha esclusive nel mondo un tempo Psa e oggi Stellantis. Svolge tuttavia un ruolo preminente, che domani, in virtù delle maggiori dimensioni, potrà essere ancora più preminente. Le aziende italiane di componentistica auto sono tutte produttori di parti specifiche, anche se eccellenti. E hanno dimensioni ridotte. Soffrono, e potrebbero soffrire ancora di più, per l’assenza di un grande Tier1 come Faurecia. La costituzione di un grande Tier1 è stata auspicata sulle colonne di Industria Italiana da Paolo Scudieri, presidente del gruppo Adler e di Anfia, la confindustria dell’auto, e dallo storico Giuseppe Berta. In realtà, un grande Tier 1 da far crescere con tutta la sua filiera in Italia esisteva, e si chiamava Magneti Marelli, ora Marelli. Ma Exor ha preferito cederla.

Ma c’è un altro modo per raccontare la vicenda dell’acqusizione di Hella da parte di Faurecia. Ed è quella che riguarda Exor e la decisione, ormai sempre più manifesta, di voler progressivamente diminuire il proprio peso nel mondo dell’automotive per crescere sempre di più nel lusso e in altri comparti. Non è un segreto che a John Elkann piacerebbe – e molto – riuscire a emulare imprenditori di enorme successo (e dal portafoglio ricolmo di denaro) come Henri Pinault e Bernard Arnault. Quest’ultimo, in particolare, perfino durante la crisi economica dello scorso anno è riuscito ad aumentare il proprio valore ed è oggi il terzo uomo più ricco del mondo con un patrimonio personale superiore ai 170 miliardi di euro. Exor già da tempo ha avviato una strategia di diversificazione per cui ha comprato oltre il 70% della cinese Shang Xia Group per avviare, insieme a Hermès, una grande realtà attiva nel lusso cinese. A marzo 2021, poi, ha deciso di rilevare il 24% del brand francese Christian Louboutin con un investimento da 541 milioni di euro.

Ma, dicevamo, l’automotive sembra sempre meno al centro dei pensieri della holding guidata da John Elkann. Lo scorso anno Fca è anche ricorsa alla garanzia statale per crediti da 6,3 miliardi con “l’imprimatur” di Sace. Nelle scorse settimane si era addirittura vociferato – rumor poi rivelatisi completamente falsi – che fosse pronta un’emissione obbligazionaria per ripianare il prestito e tagliare i ponti con l’Italia. La verità è che i legami tra il nostro Paese e l’ex Fiat sono ancora esistenti, seppur sempre più labili. E la garanzia della costruzione di una Gigafactory in Italia è un’ottima notizia, anche se a fronte di questo annuncio si è dovuta registrare la preoccupazione dei fornitori che operano nel segmento B (quello a maggiore profittabilità): Stellantis, infatti, ha scelto di impiegare la supply chain di Psa soprattutto in Polonia. A seguito dell’annuncio, nell’ottobre 2019, della fusione tra PSA e Fiat Chrysler Automobiles, Peugeot annuncia il recesso dalla società di cui detiene il 46,3% del capitale e il 63,1% dei diritti di voto, con una conseguente distribuzione delle azioni ai diversi stockholder pro-quota. Durante la fusione, la quota di Stellantis è stata ridotta dal 46,3% al 39% e poi ridistribuita ai propri azionisti all’inizio del 2021. Attraverso questo complesso meccanismo, oggi Exor è il primo azionista di Faurecia con il 5,5% delle quote complessive, mentre la famiglia Peugeot ha il 3,2, lo stato francese (tramite Bpi) il 2,3 e Dongfeng il 2,2%. Ebbene, mentre tutti gli altri membri dovrebbero procedere alla sottoscrizione pro quota dell’aumento di capitale per la realizzazione del nuovo soggetto originato dalla fusione tra Hella e Faurecia, sembra ormai certo che Exor non lo farà. Gli analisti di Equita Sim, infatti, sono convinti che la holding sia pronta a diluirsi scendendo al 4,5%, poiché non verrebbe considerato un investimento “core”.

Beda Bolzenius, presidente e ceo di Magneti Marelli

Ma si tratta di un dettaglio non di poco conto. Perché le ultime vicende di Exor mostrano chiaramente le intenzioni di Elkann. Primo: la vendita di Marelli ai giapponesi di Ck Holdings nel 2019 con una plusvalenza da 1,08 miliardi distribuita agli azionisti. Secondo: la fusione di Fca con Psa, presentata all’inizio come una fusione “paritetica” ma che in realtà è sempre stata una vendita, come riconosciuto, molti mesi dopo, perfino dal Corriere della Sera e da Romano Prodi. E questo non perché ci debba essere qualche disdoro nell’unire le forze. Che il mondo dell’automotive sia destinato a ulteriori aggregazioni per raggiungere quella massa critica necessaria a reggere l’urto della crisi, dell’aumento dei prezzi delle materie prime e della transizione verso l’elettrico è pacifico. Ma è il modo che lascia perplessi. Nonostante un accordo che vedeva francesi e italiani sullo stesso piano, in realtà il consiglio di amministrazione è a maggioranza Psa e il top management è espressione prevalentemente dell’ex Peugeot. Senza contare che il ceo è Carlos Tavares, mentre Mike Manley è stato “ridimensionato” a responsabile del mercato americano.

Non basta: a cavallo tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di questo Exor ha cercato di vendere Iveco ai cinesi di Faw. La trattativa non è andata in porto non tanto per le differenze di valutazione (3,5 miliardi l’offerta, 4 la richiesta) ma per l’entrata a gamba tesa del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti che ha ventilato la possibilità di usare la golden power per evitare che insieme ai camion passassero ai cinesi anche i veicoli deputati alla difesa. Exor non si è particolarmente scomposta e ha annunciato un piano B: ci sarebbe l’intenzione da parte di Cnh Industrial di “spinoffare” due divisioni del business quotandole e valorizzandole. L’idea non è nuova: già nel 2019, infatti, il gruppo aveva deciso di scindersi e quotare separatamente veicoli commerciali e bus (Iveco) e i motori (Fpt). La parte difesa e veicoli speciali sarebbero rimasti in Cnh Industrial. Poi però, causa anche pandemia, la cosa si è arenata. Ora ci sarebbe l’intenzione di riparlare di uno spin-off, ma con modalità differenti. La volontà sarebbe quella di inserire in Iveco la parte relativa a difesa e veicoli speciali. Così facendo ci si metterebbe al riparo anche dalla possibilità di interventi da parte delle istituzioni tramite golden power. Una mossa, insomma, che lascerebbe le mani libere a Cnh (e quindi a Exor) in modo da poter poi trattare direttamente con i partner senza più la spada di Damocle di possibili “altolà” dell’esecutivo.

Iveco Bus: il modello URBANWAY FULL HYBRID

Ecco perché una semplice manovra finanziaria, cioè la scelta di “diluirsi” all’interno di un’azienda, è in realtà la dimostrazione di una strategia in divenire: Exor sembra sempre meno innamorata dell’automotive e vuole provare nuove strade. D’altronde, il momento è complicato e il bilancio necessita di nuove attività: il bilancio 2020 (pur con tutte le cautele necessarie per analizzare un anno incredibile come quello che si è appena concluso) si è chiuso con un calo di oltre il 20% nei ricavi, passati da 143 a 119 miliardi. Ma soprattutto, con un rosso Mol passato da 6,8 a 1,3 miliardi nel giro di 12 mesi. Urge – è proprio il caso di dirlo – un’inversione a “U”.














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