L’omicidio dell’ex Ilva e il suicidio industriale italiano

ora stabilimento ArcelorMittal Italia di Taranto|Plastico dell'ex Ilva

di Marco de’ Francesco ♦︎ Perfino la Fiom è terrorizzata dalle decisioni del Governo, che sembrano orientate a una irrazionale brama distruttrice. ArcelorMittal non proseguirà i lavori senza scudo legale e potrebbe fermare la più grande acciaieria d’Europa.  Ne abbiamo parlato con Giuseppe Romano, capo della Fiom Puglia

Anche i sindacati ritengono che il Governo Conte stia rischiando di uccidere l’Ilva con il suo atteggiamento, il suo decretare confuso e mille pasticci dietro i quali c’è, anche, una non comprensione delle dinamiche industriali. Forse addirittura un’avversione. «Accordo in bilico, possibili reazioni a catena», dice a Industria Italiana il segretario generale della Fiom Cgil di Taranto e della Puglia Giuseppe Romano. A suo avviso gli ultimi avvenimenti hanno intaccato e destabilizzato l’architrave del patto concluso a settembre del 2018 al Mise su proposta governativa tra sindacati e la multinazionale ArcelorMittal, colosso dell’acciaieria che ora gestisce lo stabilimento ex-Ilva di Taranto. Tanta preoccupazione è legata al fatto che gli elementi dell’accordo erano tre: la salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto; il risanamento ambientale e il lavoro.







Lavori all’ex Ilva, ora stabilimento ArcelorMittal Italia di Taranto

E invece, proprio di recente, da una parte ArcelorMittal ha reso noto che attiverà la cassa ordinaria per 1.400 lavoratori, dal primo di settembre e per 13 mesi; dall’altra il governo con il Decreto Crescita (passato alla Camera e ora in attesa del voto di palazzo Madama) ha annichilito lo scudo legale previsto in precedenza per chi si fosse preso carico della situazione ambientale dello stabilimento siderurgico.  La multinazionale, che ha aperto il portafoglio per più di un miliardo di euro per fare dell’impianto un modello a livello continentale, non ci sta: senza tutele non è possibile gestire lo stabilimento, dice. «Il governo batta un colpo, e ci faccia sapere come se ne esce. Tutto ciò – secondo Romano – ci ha fatto ripiombare in una situazione di assoluta incertezza, quella che avevamo sperimentato prima dell’accordo.

Ora si teme seriamente che l’assenza di una politica industriale e l’escalation del conflitto tra azienda ed esecutivo possano vanificare l’ultima chance per Taranto». Va segnalato che qualche ora fa il vicepremier Luigi Di Maio ha riunito un tavolo istituzionale in prefettura a Taranto, insieme ad altri ministri del M5S, e a tutti i protagonisti del contratto (come l’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva e il commissario alle Bonifiche, ma non ArcelorMittal) e del territorio. Nessuna apertura per la multinazionale: sull’immunità penale non si torna indietro. Una posizione rigida, che potrebbe far precipitare le cose.

L’ex Ilva, ora stabilimento ArcelorMittal Italia di Taranto

 

L’accordo del 2018

Per capire l’aria che tira in questo Paese, e per saggiare l’atteggiamento anti-industriale che permea vaste zone della politica, basterà riferirsi al video lanciato dal fondatore e intellettuale di riferimento del M5S Beppe Grillo. È il 7 giugno del 2018. Siamo in tempi di trattativa tra il governo e ArcelorMittal. «Potremmo fare – affermò – come hanno fatto nel bacino della Ruhr (Renania Settentrionale-Vestfalia), per esempio. Hanno preso le centrali a carbone, ma non le hanno demolite; le hanno bonificate; hanno messo delle luci, e hanno fatto un parco archeologico di industria del Paleolitico (sic) lasciando le torri per fare centri di alpinismo, i gasometri per fare i centri sub più grossi d’Europa; sono state aperte un sacco di attività, e gli stessi minatori che lavoravano lì oggi sono guide turistiche, fanno un milione di visitatori l’anno, e hanno dato posti di lavoro a 10mila persone».

L’ex Ilva, ora stabilimento ArcelorMittal Italia di Taranto

Disneyland. Risorse? Un fondo di due miliardi istituito «quando l’Europa si chiamava Ceca». Inutile spiegare che, se anche questi soldi fossero interamente devoluti alla causa tarantina, non basterebbero mai. E sul fatto che l’ex-Ilva valga un punto di Pil, non si dice niente: gli euro li faremo con le tute blu finalmente dedite all’alpinismo per compiacere i tanti turisti che accorreranno in massa sulle macerie della più grande acciaieria del Vecchio Continente. Certo, possono sembrare vacue amenità, facezie da bar; idee stoppate dallo stesso Di Maio, come “personali”; ma vedremo che c’è chi sospetta che possano ritornare di moda. Tornando all’ex-Ilva, non è questa la sede per raccontare compiutamente la sua lunga storia. Nasce come Italsider – gruppo siderurgico derivante dalla Società altiforni e fonderie di Piombino, fondata a Firenze nel 1897 – ma già in mano pubblica (Iri) al momento della posa della prima pietra, il 9 luglio 1960.  Il primo altoforno entra in funzione quattro anni dopo.

Post crisi dell’acciaio e liquidazione di Italsider, lo stabilimento passa nel 1995 al gruppo Riva, travolto nel 2012 da un’inchiesta per reati ambientali. Lo Stato avvia una procedura di commissariamento dell’azienda e una gara internazionale per la ri-assegnazione. La Am Investco, cordata formata dal colosso industriale indiano ArcelorMittal e da Marcegaglia è scelta per avviare le trattative di acquisizione. Nel novembre 2018 è ufficialmente di proprietà di ArcelorMittal e prende il nome di ArcelorMittal Italy. Il ministro Di Maio, subentrato a Carlo Calenda, era stato particolarmente critico rispetto alla regolarità della gara. Ciononostante, l’8 settembre dell’anno scorso il titolare dello Sviluppo economico chiude il procedimento a condizioni quasi identiche rispetto a quelle previste dalla proposta Calenda: 10.700 assunzioni (contro 10mila più 1.500 da parte di società per attività esternalizzate), e 250 milioni di incentivi all’esodo (contro 200).

Plastico dell’ex Ilva, ora stabilimento ArcelorMittal Italia di Taranto

La crisi dell’acciaio

Secondo un recente studio di Federmeccanica, nei primi tre mesi di quest’anno la produzione metalmeccanica è calata del 2,1% rispetto al primo trimestre dell’anno precedente. Sono andati particolarmente male gli autoveicoli (– 10,4%), i prodotti in metallo (-5,2%) e della metallurgia (-3%). Il metallo è a monte del settore automobilistico, rallentato a causa delle nuove normative di omologazione e della crisi del diesel. Dunque non deve sorprendere la crisi dell’acciaio, visto che quest’ultimo non trova compensazione nell’altro settore di destinazione, l’edilizia. Di qui l’annuncio del 5 giugno di ArcelorMittal: cassa ordinaria per 1.400 dipendenti dal primo luglio e per 13 mesi.

Secondo l’ad di AM Italy Matthieu Jehl, «è una decisione sofferta ma le condizioni di mercato sono critiche in tutta Europa». I sindacati sono insorti. Per Romano, sentito da Industria Italiana qualche giorno fa a Taranto in occasione della assemblea annuale di Federmeccanica, che si è tenuta all’ex-Ilva, «la garanzia dell’occupazione era uno degli elementi fondamentali del patto tra governo, sindacati e azienda. E si tenga conto del fatto che l’accordo nasce in un equilibrio precario. Certo, si tratta di un provvedimento provvisorio, quello della cassa; ma già così il quadro è cambiato».

Matthieu Jehl, foto presa dal sito internet di Arcelor Mittal

La questione dello scudo legale

Giorni fa, proprio mentre si teneva l’assemblea annuale di Federmecanica, giungeva la notizia della approvazione, alla Camera, del Decreto Crescita. Sul provvedimento, era stata posta la Fiducia. Ora la questione è nelle mani di Palazzo Madama. Una norma del decreto ha destato sconcerto. Riguarda lo stabilimento di Taranto. Il piano ambientale del 2017 è stato progettato, fanno presenta da ArcelorMittal, per risolvere «problemi di lunga data» e per trasformarlo in un impianto europeo siderurgico europeo all’avanguardia, con le tecnologie più avanzate.

Attualmente la multinazionale, che ha un fatturato di 76 miliardi di dollari e 209mila dipendenti in giro per il mondo, sta realizzando a Taranto una gigantesca copertura, per evitare la diffusione di polveri nocive. L’investimento è di oltre 1,15 miliardi di euro. Il Piano ambientale era stato studiato alla luce di una legge del 2015 che prevedeva l’esclusione della responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario e dell’acquirente. Se il Decreto Crescita sarà confermato al Senato, lo scudo per i dirigenti di ArcelorMittal terminerà il 6 settembre. Per l’azienda, «così non è possibile gestire il risanamento dei luoghi e lo stesso stabilimento».

Per il Mise, l’azienda era al corrente delle modifiche da febbraio. Comunque sia, l’ad Matthieu Jehl a Taranto l’ha messa così: «Noi vogliamo produrre in Italia, ma è cambiato il quadro giuridico che aveva caratterizzato i nostri accordi con il governo. E non si tratta di immunità penale, ma di tutele legali».C’è da chiedersi se sia normale che uno Stato venga meno alla parola data; e quale effetto possa avere sugli investitori stranieri. Secondo Romano «tutto ciò è destabilizzante. A questo punto c’è il rischio che l’architrave che sorreggeva gli accordi possa cadere».  Secondo Francesco Brigati, Rsu Fiom Cgil «dopo il 6 settembre i dipendenti avevano visto la luce; ora siamo tornati alla grande incertezza pre-accordo».

Giuseppe Romano, capo della Fiom Puglia (a sinistra) e Francesco Brigati, Rsu Fiom Cgil (a destra)

L’appello al governo

«Il governo batta un colpo», ha affermato Romano. «Ci faccia sapere come si fa ad uscire da questa situazione. Noi attendiamo un incontro al Ministero dello Sviluppo economico, con Di Maio. Lo abbiamo chiesto più volte, in questi ultimi mesi, anche da parte della nostra segreteria nazionale». Per Romano, si tratta di «disinnescare la tempesta perfetta che potrebbe arrivare, e che pensavamo di aver superato anche a livello di pericolo». Il governo, come vedremo subito, il colpo lo ha battuto al tavolo istituzionale. Ma forse la situazione si è complicata ancora di più.

Le cose volgono al peggio

È di poche ore fa la conferma, da parte di Di Maio, dello stop allo scudo legale. Al tavolo istituzionale il vicepremier ha sottolineato che l’esecutivo non tornerà indietro sul punto. «Era il nostro obiettivo: in una situazione così complicata come quella di Taranto, non devono esistere immunità penali». Per Di Maio «se si porteranno avanti i patti come sono stati sottoscritti, e quindi con l’aggiornamento degli impianti e con lo sviluppo del piano ambientale «non ci sarà nessun problema e non c’è nulla da temere». È evidente che ArcelorMittal non la pensa così. Si attende la reazione della multinazionale. Quanto alla richiesta di cassa integrazione, il vicepremier ha affermato che «chiederà spiegazioni sulle motivazioni».

Luigi Di Maio, Foto Simone Tomirotti

Il Sole 24 Ore non manca di sottolineare che «l’ex Ilva è un punto molto critico per i Cinque Stelle, accusati mesi fa di aver ceduto la fabbrica ad ArcelorMittal anziché avviarne la progressiva chiusura come avevano promesso nella campagna elettorale per le politiche del 2018». L’annientamento dello scudo legale sembra venire incontro alla necessità per il Movimento di ritrovare lo spirito delle origini, dopo la sequela di sconfitte elettorali e dopo le critiche mosse dalla base alla dirigenza, proprio nei siti web dove si forma la “coscienza politica” dei pentastellati. Secondo alcuni giornali si assisterebbe ad una guerra interna tra i “puristi” alla Di Battista e i “realisti” alla Di Maio.

Idee bizzarre, come quella di Grillo, potrebbero essere recuperate. Lo pensa Il Messaggero, per esempio: «Taranto senza Ilva, la tentazione M5S, posti a rischio».  Certo, se la multinazionale lasciasse Taranto, 4,2 miliardi di investimenti già stanziati andrebbero in fumo, e ArcelorMittal non mancherebbe di chiedere allo Stato il risarcimento dei danni, vista «la violazione di contratti già siglati». Ma Il Messaggero calcola che tra il 203 e il 2018 la crisi dell’Ilva abbia inciso sul Pil nazionale per 23 miliardi. E poi, non per questo la dirigenza del M5S, sempre secondo il Messaggero, non avrebbe «già elaborato qualche idea su come affrontare il dopo».  Il dopo ArcelorMittal. Il dopo ex-Ilva. Il dopo realtà industriale.














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