Una politica industriale europea per l’intelligenza artificiale: dove potrebbe portarci? E che cosa devono fare le imprese?

di Filippo Astone e Laura Magna ♦ Oggi l’ A.I. è come l’energia nel 19esimo secolo: indispensabile. E chi più la cavalca più cresce economicamente, socialmente e culturalmente. Per questo la Ue ha annunciato un piano da 20 mld di euro entro il 2020. Come va letta questa decisione? E quali strategie aziendali comporta? Parlano Moioli (Microsoft) e gli studiosi Patrizio Bianchi e Luca Beltrametti

«L’intelligenza artificiale (AI) è da tempo uscita dal mondo della fantascienza per posizionarsi al centro delle nostre vite. Dagli assistenti personali virtuali ai telefoni che suggeriscono le canzoni che potrebbero piacerci, dai software per interpretare i dati a quelli per capire la voce umana e rispondere in modo pertinente, oppure per comprendere i testi, studiarli, archiviarli, leggerli. Già oggi molte aziende industriali stanno utilizzando sistemi AI che danno significato alla grande mole di dati raccolti da sensori applicati sui macchinari. »

 «Oltre a queste applicazioni più immediate, l’intelligenza artificiale potrebbe essere determinante per risolvere alcuni fra i maggiori problemi del mondo, dal trattamento delle malattie croniche alla riduzione dei tassi di mortalità negli incidenti stradali, dalla lotta al cambiamento climatico alla sicurezza informatica. In Danimarca, l’ AI sta aiutando a salvare vite permettendo a servizi di emergenza di diagnosticare arresti cardiaci o altre condizioni critiche basandosi sull’interpretazione della voce del chiamante. In Austria, sta supportando i radiologi nel rilevare tumori in modo più accurato, confrontando istantaneamente le radiografie con una grande quantità di altri dati medici. Molte aziende agricole in tutta Europa stanno utilizzando l’intelligenza artificiale per monitorare il movimento, la temperatura e l’alimentazione del bestiame, adattando di conseguenza la temperatura delle stalle e la somministrazione degli alimenti.»







 

Utilizzo di Ibm Watson per le diagnosi cliniche (courtesy Ibm)

 

«Come il motore a vapore o l’elettricità in passato, AI sta trasformando il nostro mondo, la nostra società e la nostra industria. Crescita della potenza di calcolo, disponibilità di dati e progressi nella realizzazione degli algoritmi hanno trasformato l’AI in una delle tecnologie più strategiche dell’epoca contemporanea. La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Il modo in cui ci avviciniamo all’AI definirà il mondo in cui viviamo. Per questo si è scatenata una feroce competizione globale ed è quindi necessario un solido framework europeo». Parole dell’Unione Europea, tratte dal comunicato stampa  con il quale viene annunciato l’inizio di un programma di politica industriale europea per l’A.I. Programma che promette investimenti importanti per permettere al Vecchio Continente di recuperare il divario rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, molto più avanti di noi su questi temi.

 

 

Gli investimenti diretti reali: 4 miliardi

A parole, l’Unione Europea promette 20 miliardi di euro di investimenti entro nel 2018. Una cifra enorme, capace di far decollare l’AI del Vecchio Continente e portarla ad altitudini record. Se però si legge bene il testo, si scopre che quella cifra potrebbe essere raggiunta solo mettendo insieme gli investimenti della Ue stessa, quelli dei singoli Stati e quelli dei privati. Di suo, l’Unione mette circa quattro miliardi. Un miliardo e mezzo dovrebbe venire investito per consolidare ricerca e innovazione nel settore, incoraggiare le sperimentazioni, portare l’AI a tutti i potenziali destinatari, in particolare le imprese di piccola dimensione. Poi, dovrebbero arrivare altri 2,7 miliardi per supportare mille potenziali progetti. Non è poco, comunque.

Il piano coordinato in materia di AI è già in fase di lavorazione e sarà pronto per fine anno: nel frattempo la Commissione continuerà a investire nello sviluppo di componenti e sistemi elettronici più efficienti (come i chip prodotti appositamente per eseguire operazioni di AI), computer ad alte prestazioni all’avanguardia e progetti faro sulle tecnologie quantistiche e sulla mappatura del cervello umano. Ovvero tutte le infrastrutture di base dell’intelligenza artificiale, riguardo a cui l’Europa, rispetto a Usa e Cina che avanza, è ancora indietro.

Prendiamo la capacità di calcolo: secondo l’ultimo aggiornamento della lista Top 500, elaborata dai ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, dalla University of Tennessee e dalla società di cloud computing Prometeus, il concorrente più temibile è Pechino che possiede il supercomputer più veloce al mondo: il Sunway TaihuLight, capace di eseguire operazioni con prestazioni di 93 petaflops, ovvero 93 milioni di miliardi di calcoli al secondo. Ma la Cina, e questo è forse il dato più significativo, possiede anche la maggior quantità di iper calcolatori: 202 rispetto ai 143 degli Usa, ovvero il 40% del mercato globale dell’ipercalcolo, contro il 29% degli Usa. Al terzo posto troviamo il Giappone con 35 supercomputer (7%), quarta è la Germania con 20 calcolatori (4%); seguono Francia e Gran Bretagna, con 18 (circa il 4%) e 15 super calcolatori (3%). L’Italia? Si difende bene, con una quota dell’1%. Ma è chiaro che l’Europa, se non fa sistema, non può farcela contro i giganti che occupano il podio.

 

Tianhe-2
Il supercomputer cinese Tianhe-2

Moioli (Microsoft): i progetti ci sono, bisogna lavorare sulle competenze

«L’AI è la tecnologia che trasformerà di più il nostro mondo nei prossimi dieci anni. Non ci sono dubbi al riguardo. Qualcuno si spinge a dire che avrà l’impatto più profondo nella storia dell’umanità: non lo so, ma so che sicuramente parliamo di una tecnologia molto importante che porterà benefici enormi, perché può indirizzare nel giusto verso tanti problemi finora irrisolti, non solo nell’ambito industriale: l’AI può portare medicina di qualità nei Paesi del terzo mondo, migliorare le produzioni agricole, contribuire alla lotta all’inquinamento e al riscaldamento globale: insomma, dare una svolta ai mega trend che condizionano la vita dell’umanità». C’è un legame strettissimo e imprescindibile tra intelligenza artificiale e umana, al di là del luogo comune che le vuole avversarie e che indica la prima come distruttrice della seconda in quanto sostituta. «La cosa più dirompente dell’intelligenza artificiale è che mette alla prova l’intelligenza umana, in termini di preparazione e competenza», precisa  Fabio Moioli, Direttore Divisione Enterprise Services di Microsoft Italia, guidata da Silvia Candiani.

«L’iniziativa dell’Ue di sviluppare e finanziare un piano europeo per l’AI è corretta e importante. In Italia iniziano a vedersi progetti interessanti: ad esempio Telecom Italia in cooperazione proprio con Microsoft ha realizzato un progetto che prevede l’uso di analytics e big data per dare vita a prodotti e servizi personalizzati che migliorino la customer experience  ma potrei citare CNH Industrial (vedi Industria Italiana qui) e i suoi trattori intelligenti; il Politecnico di Milano che sta costruendo una piattaforma digitale di mentoring che usa l’AI per offrire orientamento a studenti e indirizzare le aziende nella selezone di personale nell’ ambito universitario; si tratta di uno dei progetti più innovativi a livello globale».

 

Il trattore “intelligente” di CHN

Le eccellenze, insomma, non mancano, quello di cui si sente la carenza sono formazione e competenze, un problema drammatico. Secondo la Strategia per le Competenze dell’OCSE (qui la sintesi), «l’espansione nell’utilizzo di nuovi strumenti interconnessi e dispositivi digitali così come la raccolta, disponibilità e utilizzo di dati nei processi industriali e produttivi sta ponendo importanti sfide ai lavoratori di tutti i Paesi Ocse. Le sfide della digitalizzazione sono ancora più importanti in un contesto, come quello italiano, fatto di piccole e medie imprese a basso contenuto tecnologico ed esposte alla competizione internazionale».

Moioli

 

La grande sfida, un altre parole, è la cultura digitale

«La preparazione media delle persone è scarsa e, secondo una ricerca recentemente pubblicata, nei prossimi 5 anni il 71% dei lavori richiederà skills medio-alte, per le quali il 35% delle aziende ha difficoltà di reclutamento. Da altri studi apprendiamo che ogni anno escono dalle scuole in Italia 10mila professionalità dedicate all’AI. Sono pochissime: effettivamente esiste una mancanza di investimento sulle skills giuste. Bisogna investire sull’intelligenza umana». Moioli non ha dubbi e considera che il fatto che questa questione «non sia al centro dei dibattiti è un dramma, mentre dovrebbe essere un tema di cui si parla. Il problema sociale che ne consegue è abnorme se non si investe nella formazione riguardante i nuovi lavori.»

«E non solo, stavolta, nel campo delle mansioni basse e ripetitive. Anche le professioni cambieranno: l’architetto dovrà saper usare la realtà mista per la realizzazione dei progetti e gli studi di fattibilità, il medico non avrà più necessità di leggere radiografie o analisi, quello lo farà in maniera più efficace e precisa l’AI, e dovrà sviluppare competenze che richiederanno sempre più il suo intuito, andare oltre, connettersi con le risorse internazionali, operare da remoto. La via è obbligata e passa per la riqualificazione delle persone e la valorizzazione del lavoro. La paura non basta a fermare il cambiamento, bisogna prepararsi per non esserne travolti. I lavori diventano bellissimi e creativi e l’AI è uno strumento con potenzialità inusitate, non il nostro sostituto».

Patrizio Bianchi: investire nei supercalcolatori e ragionare sull’intelligenza aumentata

Il punto chiave della questione è «il passaggio verso l’intelligenza aumentata», afferma Patrizio Bianchi, docente a Ferrara con un lunghissimo curriculum e, soprattutto, guru dell’economia industriale. «L’intelligenza artificiale non è surrogatoria delle capacità umane, ma deve avere effetti moltiplicativi su industria e servizi. Il vero tema è che se l’impatto sull’ industria lo conosciamo, è quello sui servizi il fronte su cui ragionare, e qui la permeabilità dei sistemi torna a essere rilevante. L’Europa è impegnata anche sul piano dell’iper-performing computing. Senza supercalcolo non c’è intelligenza artificiale, per questo l’iniziativa europea sull’high performing computing diventa cruciale per reggere la partita effettiva dell’AI». Una partita che si gioca sulla «capacità di gestire volumi inauditi di dati. Attraverso il machine learning si generano sistemi integrati che implicano capaci di indicare percorsi di apprendimento che implicano la costruzione di routine non previste. Questo richiede la capacità di stoccare un’enorme quantità di dati; il tema è dove andranno collocate le capacità di calcolo.»

 

Patrizio Bianchi
Patrizio Bianchi

«Così, abbiamo diverse partite legate tra loro in Italia: stiamo assistendo, mentre si discute a livello di Unione di ipercalcolo e AI, allo sviluppo dei Competence Center, un altro nodo per la distribuzione delle conoscenze e delle tecnologie. L’Europa deve giocare la sua partita in tempi molto brevi per perdereno ulteriore terreno e se possibile recuperarne rispetto a chi ha messo a segno più punti finora, ovvero Cina e Usa». Tanto che oggi, nella produzione delle macchine «bisogna guardare i cinesi, che vengono dallo stesso nucleo Ibm e sono confluiti in Lenovo. Per quanto attiene all’Italia, il dibattito nella vicenda politica italiana sembra dimenticato, rischiamo di rimanere tagliati fuori da tutti i grandi giochi che devono essere fatti ora e che non possono essere più rimandati».

Luca Beltrametti: siamo indietro, e la questione deve diventare centrale nel dibattito politico

Ma quanto è indietro l’Europa sull’intelligenza artificiale? «Tra il 2010 e il 2014 le domande di brevetti nel campo specifico dell’AI sono state negli Usa circa 15mila, circa 8mila in Cina e solo 4mila in Europa. Noi siamo fermi alla metà rispetto a Pechino e a un quarto rispetto a Washington. Questo è un indicatore con valore relativo ma significativo», dice Luca Beltrametti, direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova. «Non solo: dal 2014 a oggi le pubblicazioni scientifiche sul tema del deep learning, che è la parte più sofisticata dell’AI, sono state in Germania 100 contro le 450 degli Usa e le 600 della Cina: su questo tema oggi i leader sono Usa e Cina. Io però credo che sia una partita tutta da giocare e che l’Europa abbia moltissime carte da sfruttare. La scelta dell’Ue di mettere al centro l’AI è determinante, perché l’AI è il cuore stesso di Industria 4.o : senza AI la questione dei big data perde significato e la robotica collaborativa non può esistere. AI è al centro della rivoluzione digitale dell’economia: chi avrà la leadership su questo terreno sarà veramente agli avamposti della frontiera tecnologica», continua Beltrametti.

«Credo sia giusto investire pesantemente nella ricerca di base e quella industriale in questo campo. Questo non vuol dire che tutti dovranno conoscere la materia: così come oggi guidiamole auto senza sapere come funziona il motore in futuro avremo macchinari che useranno massivamente AI ma ignoreremo come funzionano i sistemi. Il punto è utilizzare in maniera intelligente queste cose», commenta Beltrametti, che aggiunge: «per la prima volta nella storia dell’umanità l’AI fa sì che le macchine sostituiscano anche parti di intelligenza e ragionamento evoluto. Anche lavori che oggi consideriamo prestigiosi e intellettuali saranno eliminati o radicalmente mutati: il radiologo, per fare un esempio; già oggi ci sono macchine in grado di leggere radiografie con margine di errore inferiore all’umano». Ancora, come tutte le tecnologie trasformative, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale susciterà nuovi interrogativi etici e giuridici riguardanti la responsabilità o decisioni potenzialmente non imparziali. Nuove tecnologie non dovrebbero significare nuovi valori.

 

 

«Entro la fine del 2018 la Commissione presenterà i suoi orientamenti etici sullo sviluppo dell’AI, basati sulla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, tenendo presenti principi come la protezione dei dati e la trasparenza e sulla base del lavoro del Gruppo europeo per l’etica delle scienze e delle nuove tecnologie. Per la stesura di tali orientamenti la Commissione sarà inoltre assistita da tutti i pertinenti portatori di interessi riuniti nell’Alleanza europea per l’IA. Ed entro la metà dell’anno successivo la Commissione pubblicherà anchei suoi orientamenti sull’interpretazione della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti alla luce dell’evoluzione tecnologica, in modo da garantire chiarezza sul piano giuridico ai consumatori e ai produttori in caso di prodotti difettosi», si legge ancora del documento della Commissione citato all’inizio dell’articolo

Le questioni etiche si riflettono anche sulla necessità di elaborare una politica industriale nazionale sull’ AI. «Questa evoluzione è basata sull’elaborazione di dati e quindi c’è un tema non eludibile di proprietà dei dati in gestione, ci vorrebbe una classe politica che sia in grado di cambiare il quadro legislativo per tenere conto di queste novità», dice Beltrametti, che commenta anche le «implicazioni di ordine etico: nel giorno in cui avremo delle macchine a guida autonoma ci sarà un tema di scelte in cui entrano in ballo questioni etiche e sarà sempre un essere umano a dover stabilire quale scelta compiere. L’esempio classico è l’auto a guida autonoma e la valutazione delle priorità relative alle vite umane nel caso di incidenti la cui meccanica ponga di fronte ad alternative di vita o di morte. Si tratta di questioni eticamente drammatiche, che non possono essere delegate ma devono essere governate “ dice Beltrametti, che conclude con l’apprezzamento per un ulteriore aspetto della politica europea sull’ AI, ovvero che “ la Commissione indica la necessità di rafforzare la formazione in questi campi ma non limitandosi alle scienze pure, bensì facendo un esplicito riferimento alla creatività. Non si tratta unicamente di tecnologia: un uso efficace dell’AI si ha solo se vengono modificati modelli di business, organizzativi e competenze. C’è in gioco un ripensamento complessivo nel nostro modello sociale».

 

[boxinizio]

Di che cosa parliamo davvero quando parliamo di intelligenza artificiale?

Nel 2018 l’intelligenza artificiale (AI) sarà al centro del dibattito mediatico-politico e, soprattutto, della vita quotidiana di fabbriche, laboratori e uffici. Non è soltanto una questione di crescita del valore economico del comparto, che, secondo gli analisti di Gartner Group, potrebbe passare dai 18,3 miliardi di dollari del 2017 ai 60 del 2027. Il fatto è che sempre più applicazioni funzioneranno grazie all’AI: dalle macchine utensili ai robot industriali; da chat box e contact center; dalla sanità ai trasporti. L’AI consente elaborazioni e calcoli complessi, che aumentano la produttività di qualsiasi attività. E’ un supporto molto potente a numerose attività professionali. Non a caso, l’Accenture institute for high performance, in collaborazione con Frontier Economics, ha calcolato che un uso estensivo dell’intelligenza artificiale potrebbe, entro il 2035, raddoppiare il tasso di crescita del valore aggiunto in Italia, portandolo dall’1% atteso all’1,8%. Il che produrrebbe nei prossimi anni una crescita superiore del 12% rispetto a quella attesa.

Sull’Intelligenza artificiale, purtroppo, regnano confusione e pregiudizi. In primo luogo c’è la tendenza all’iperbole di alcune campagne di marketing, che tendono a dire che c’è intelligenza artificiale nei loro prodotti, trasformando l’AI in un sinonimo di software. E poi ci sono i pregiudizi negativi, ispirati dalla parola “intelligenza”, che genera fantasie antrompomorfe e fa temere un superamento degli esseri umani, una loro sostituzione, o, perfino, intelligenze artificiali perverse che magari, un giorno non lontano, schiavizzeranno o addirittura uccideranno uomini e donne. Di queste fantasie, la cinematografia si è abbondantemente nutrita, e continuerà a farlo. «Nel caso dell’espressione “intelligenza artificiale”, sarebbe stato meglio se non l’avessimo coniata», ha detto il filosofo della scienza Luciano Floridi, docente a Oxford, in una intervista a Massimo Sideri, pubblicata lo scorso 1 dicembre sul Corriere Innovazione. «Fu una bella trovata, ideata da Hohn McCarthy nel 1955, in una domanda per fondi di ricerca in un seminario a Darmouth. Ed è servita a mobilitare enormi quantità di denaro e di intelligenza. (…). In realtà è molto fuorviante. Foss’altro perché non abbiamo una definizione seria di intelligenza, che assomiglia di più all’amore (nessuna definizione, ma lo riconosci quando lo incontri) che all’acqua (che la chimica definisce come H2o)».

 

 

 

 

In realtà, l’intelligenza artificiale è fatta di algoritmi, cioé schemi di calcolo che risolvono ciascuno un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari. Questi algoritmi sono sempre più complessi e vengono elaborati da computer e server sempre più potenti. Talvolta gli algoritmi vengono costruiti imitando alcuni singoli processi della mente umana, e da questo procedimento deriva il nome “intelligenza artificiale“. Che, giustamente, Ibm preferisce chiamare “intelligenza aumentata“. «Allo stato attuale l’intelligenza artificiale è essenzialmente un sistema di apprendimento automatico basato sui dati statistici», ha scritto Ross Anderson, un accademico di Cambridge. Questi software elaborano le informazioni disponibili, cercando di individuare al loro interno schemi regolari e ne valutano la rilevanza in relazione ad alcuni obiettivi prestabiliti, per esempio fissare un premio assicurativo. Può sembrare una cosa noiosa. E giustamente, perché si tratta proprio di una cosa noiosa. Tale capacità elaborativa è fondamentale nel mondo interconnesso del 4.0 e nelle fabbriche in particolare, perché gli oggetti, collegati da sensori, generano miliardi di dati, i famosi Big Data. Che devono essere elaborati – per trovare un senso – proprio da A.I. Dopodiché, saranno tecnici e manager a decidere che cosa fare delle informazioni ottenute così, in modo da estrarre valore economico, cioé da aumentare la produttività. Non a caso, Hewlett Packard Enteprise (colosso dei server e dei sistemi di trasmissione dati) ha recentemente stretto un’alleanza con Abb (colosso dell’automazione e dei sistemi di gestione industriale), finalizzata a portare l’intelligenza artificiale nelle fabbriche.

Utile a capire di che cosa parliamo davvero quando parliamo di intelligenza artificiale è il “Tech Radar Report on artificial intelligence” di Forrester Research, che ha identificato le dieci più importanti articolazioni dell’ AI nel 2018.

1 Voice Recognition. Tecnologia che consente il riconoscimento vocale e del linguaggio parlato e lo trascrive in un codice utile per le applicazioni software
2 Natural Language Generation.Tecnologia per produrre del testo in linguaggio comune partendo da dati informatici.
3 Text Analytics and Natural Language Processing (NLP). Sistemi che utilizzano l’elaborazione del linguaggio naturale per fare analisi di testi e documenti.
4 Virtual Assistant. Ovvero le chatbox impiegate nei customer care per interagire in modo elementare con gli essere umani.
5 Robotic process automation. Ottimizzazione dei processi produttivi robotici.
6 Machine learning platform. Sistemi, perlopiù erogati in cloud, che elaborano algoritmi matematici per far funzionare le macchine. Utilizzati soprattutto per analisi e manutenzioni predittive.
7 Deep learning platform. Piattaforme basate su reti neurali artificiali e usate soprattutto per: riconoscimento e classificazione di modelli e schemi; risoluzione di problemi complessi; analisi di Big Data (in ambito manifatturiero, ma anche finanziario, per esempio per evitare frodi o calcolare profili di rischio o elaborare necessità finanziarie).
8 Biometric recognition. Algoritmi per riconoscere volti umani ma anche movimenti e linguaggio non verbale
9 Decision making management. Soluzioni che integrano regole e policy aziendali per fornire strumenti e dati utili a processi decisionali.
10 Hardware optimization. Ottimizzazione del parco computazionale, attraverso soluzioni software e di calcolo più veloci ed efficaci.

[boxfine]














Articolo precedenteMa robot e digital transformation ci manderanno tutti a casa?
Articolo successivoI 5 Stelle tra start-up, sviluppo economico, industria. Parla Luca Carabetta






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui