I limiti dell’Aim: c’è, ma si vede troppo poco

Palazzo Mezzanotte (particolare)

di Luigi dell’Olio ♦ Aim, il listino di Borsa italiana pensato per le Pmi cresce nel numero di adesioni, ma evidenzia scambi contenuti a causa del ridotto appeal verso gli investitori istituzionali. Così serve a poco, se non ai fini della comunicazione.

Meno di 600 milioni di euro raccolti in fase di Ipo, 72 aziende quotate e una presenza marginale del settore industriale (4%) rispetto ai servizi, soprattutto hi-tech e finanziari. I numeri raggiunti dall’Aim Milano, il listino ideato da Piazza Affari sulla scia dell’omonimo londinese, con l’obiettivo di attrarre imprese di dimensioni ridotte, stanno a indicare che finora gli obiettivi sono stati raggiunti solo in parte. Dopo i primi anni all’insegna del rodaggio, dal 2014 le Ipo hanno registrato un’accelerazione (metà delle quotate sono sbarcate sul listino nell’ultimo anno e mezzo) in termini numerici, ma senza che questo abbia inciso in maniera sensibile sul problema dell’accesso al credito da parte delle aziende produttive. La somma raccolta, per dare un’idea di grandezza, è pari allo 0,03% dei prestiti concessi ogni anno dal sistema bancario. Né la presenza di questo nuovo mercato risulta aver inciso in maniera importante sugli assetti proprietari, dato che la possibilità di limitare il flottante al 10% ha finora indotto gli imprenditori a tenere ben stretto il controllo sul capitale, senza particolari innovazione anche sul fronte della governance finalizzati alla crescita e all’apertura al mercato.

Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana
Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana

 Il listino per le piccole







Proprio la necessità di diversificare le fonti di accesso ai finanziamenti aveva spinto alla nascita di questo listino e alla previsione di una serie di facilitazioni normative: il processo di quotazione viene curato da un advisor finanziario che prende il nome di Nomad, al quale tocca valutare l’appropriatezza delle società che richiedono l’ammissione e, successivamente, assisterle nel corso della loro permanenza sul mercato. Mentre le autorità (Consob e Borsa Italiana) si limitano a testare la completezza dei documenti. Inoltre sono previste semplificazioni sia in fase di ammissione: flottante minimo del 10% (in modo da consentire all’imprenditore di mantenere fermo il controllo dell’azienda), nessun requisito minimo in termini di capitalizzazione, governo societario e anni di esistenza, mentre il prospetto informativo viene sostituito dal documento di ammissione ed è necessaria la certificazione dell’ultimo bilancio (se esistente) e post quotazione (non sono previsti resoconti intermedi di gestione).

Quotazioni in crescita, ma gli scambi latitano

Dall’avvio nel 2009 c’è voluto un po’ di tempo per rodare, ma ora l’Aim comincia ad assumere una certa consistenza, con 75 aziende quotate, di cui metà sbarcate negli ultimi due anni. Se il ritmo di crescita verrà confermato, non è escluso che a fine anno si arrivi a quota 100. Anche se il fratello londinese resta lontanissimo con 3.600 società e un claim che non a caso recita “The world’s most successful growth market”.

Certo, un paragone con il mercato più finanziarizzato d’Europa non può essere fatto, ma vi sono altre criticità ben più evidenti. I primi undici mesi del 2015 hanno fatto registrare scambi totali per 724,4 milioni di euro, con una media giornaliera per singola azione di 53.835 euro. Dunque, transazioni ridotte al lumicino a evidenziare il fatto che gli operatori attivi sul mercato sono davvero pochi e, anche quando fanno una transazione, si limitano a pochi spiccioli. La carenza di liquidità incide sensibilmente sulla volatilità perché è sufficiente che passi di mano un pacchetto di titoli per generare rialzi o ribassi consistenti. Così, dalle stesse statistiche di BorsaItaliana emerge che nel solo mese di dicembre vi sono titoli che hanno registrato variazioni anche del 30-40%.

Palazzo Mezzanotte, particolare
Palazzo Mezzanotte, particolare

Un problema di domanda

Le ragioni sono principalmente due: il fatto che le società dell’Aim non sono tenute a pubblicare la trimestrale rende difficile il monitoraggio da parte di strutture che hanno un numero limitato di analisti, mentre i grandi investitori tendono a preferire società più strutturate, e tendenzialmente meno volatili. Inoltre sull’Aim operano soprattutto fondi italiani, mentre gli internazionali (che hanno maggiore disponibilità di denaro) si tengono per il momento fuori. Una soluzione auspicata da più parti (a cominciare dalla stessa Borsa Italia) sarebbe quella di prevedere un’azione di sistema per aumentare la liquidità. Così è stata ipotizzata la creazione di un fondo ad opera di Cassa Depositi e Prestiti per far decollare finalmente il mercato. Ma la stessa Cdp è chiamata in causa per altre partite italiane, dal caso Ilva alla traballante Mps, e oggi appare difficile che vi sia un suo intervento anche su questo versante. Per altro, se si guarda alle performance dei titoli quotati, il quadro non è proprio esaltante, con buona parte delle quotate che presenta valori in calo rispetto all’Ipo. Guardando solo alle 22 matricole del 2015, vi sono ben tre casi di profondo rosso, con Clabo che ha dimezzato il proprio valore, Gambero Rosso e Mondo Tv Suisse che hanno lasciato sul terreno all’incirca il 30%. Più in generale, proprio l’Aim è stato la maglia nera tra gli indici di Piazza Affari, cedendo il 10,39% contro il +14,72% del Ftse Italia All Share. Gli operatori del mercato allora tornano a bussare alla porta del legislatore, chiedendo nuove misure di sostegno, come la detassazione del capital gain e dei dividendi per chi investe nei titoli quotati con una logica di medio periodo, data la funzione di sostegno allo sviluppo delle Pmi. Una soluzione che aumenterebbe l’appeal presso operatori istituzionali come fondi pensione e assicurazioni che, grazie alle modifiche introdotte dal Decreto Sviluppo in poi, hanno maggiore libertà di azione per investire nell’economia reale.

Andamento a ritroso per il titolo del Gambero Rosso
Andamento a ritroso per il titolo del Gambero Rosso

Focus sui risultati 

La pensa così Fabio Sattin, fondatore di Private Equity Partners, nome storico del settore in Italia. Il primo obiettivo deve essere aumentare il numero di investitori specializzati, e conseguentemente la liquidità del mercato. Sarebbero quindi auspicabili incentivi a livello normativo e fiscale che possano in qualche modo agevolare gli investimenti in tale categoria di azioni”. Ma per Sattin occorre anche la collaborazione da parte degli imprenditori che decidono di quotarsi, che devono “sposare appieno la logica della trasparenza, dell’affidabilità e della capacità  di raggiungere quello che si promette”.

Una riflessione che trova fondamento alla luce di una ricerca di recente condotta dalla società di consulenza KT&Partners. Secondo lo studio, la metà delle società dell’Aim monitorate ha chiuso il primo semestre 2015 con un Ebitda in calo, pur a fronte di uno scenario di generale miglioramento dei margini per le società quotate a Piazza Affari. Mentre il fatturato tra le quotate al listino dei piccoli è risultato in crescita in due casi su tre. “Prima ancora di lamentarsi della liquidità, occorre fare un’analisi sulle performance di bilancio di queste società, che in buona parte spiegano l’andamento negativo del listino”, spiega Kevin Tempestini, amministratore delegato di KT&Partners. “E’ risaputo che gli investitori scelgono guardando in primo luogo alla capacità che un’azienda ha di generare profitto, oggi e in prospettiva, per cui non potremo attenderci un vero decollo fino a che un gran numero di quotate si concentrerà sui ricavi piuttosto che sui margini”. Tempestini non trascura, comunque, l’importanza di far crescere la platea di potenziali investitori: “Occorre un’attività di comunicazione per far conoscere le società quotate all’Aim, dato che le realtà interessanti non mancano. In occasione degli eventi organizzati per lo Star (il listino di Piazza Affari dedicato alle medie aziende con ampio potenziale di crescita, ndr), vi è la fila di fondi internazionali, che invece ancora trascurano l’Aim”.

Insomma, seminato positivamente con il lancio di questo listino e le prime esperienze di quotazione, è il momento di agire per superare le maggiori criticità. In caso contrario, l’Aim resterà quello che oggi viene percepito da molte quotate: “Diciamocelo francamente: con poche centinaia di migliaia di euro raccolti in sede di Ipo, a fronte di un costo intorno ai 300 mila euro per il collocamento, essere quotati è soprattutto una mostrina da esporre nei rapporti con partner e fornitori”, commenta il fondatore di una delle società presenti sul listino. Il che non è necessariamente un male, considerato anche il fatto che la quotazione abitua l’azienda ad adottare regole di governance e trasparenza con il mercato in molti casi sconosciute fino a quel momento, ma non può essere l’obiettivo unico.

Cinque anni dell'indice Ftse Aim Italia
Cinque anni dell’indice Ftse Aim Italia

 

Un mercato di transito

“Per far crescere l’Aim occorre considerarlo come una palestra nella quale allenarsi a stare sul mercato, nella prospettiva di passare al mercato principale”. È la convinzione di Simone Strocchi, fondatore della merchant firm Electa e presidente di Aispac (associazione delle Spac italiane), nonché pioniere in Italia di questi veicoli d’investimento, contenenti esclusivamente cassa e costituiti specificatamente per raccogliere capitale al fine di effettuare operazioni di fusione o acquisizione di aziende

Domanda. A suo avviso quali sono le ragioni del mancato decollo di Aim in Italia?

Risposta. Dipende da cosa intende con questa affermazione. L’apertura del proprio capitale è sempre più negli obiettivi di un significativo numero di Pmi, che valutano con crescente interesse formule di sostegno dei propri progetti di crescita e passaggio generazionale. Il listino milanese ha già accolto un discreto numero di Pmi. La domanda che ci si pone oggi è se poi, effettivamente, i mercati dedicati alla aziende di limitate dimensioni sono o saranno davvero capaci di attrarre capitali per sostenerne diffusamente i programmi di crescita”.

D. Il problema è proprio questo…le aziende quotate crescono, ma le performance di bilancio e di Borsa sono spesso deludenti. Dov’è, a suo avviso, il problema?

R. La ragione è identificabile principalmente nella proposta non sempre attraente (aziende, programmi) e nella limitata propensione dei grandi gestori di risparmio a investire in un mercato percepito come illiquido. Per consegnare performance una società/azione deve poter contare su due elementi: programmi aziendali di crescita significativa e vivacità di mercato. La contrazione del valore di una serie di titoli quotati Aim emessi da società che hanno raccolto solo qualche milione di euro, mi sembra pacifico e tutto sommato epilogo più che prevedibile fin dal momento della loro quotazione. Posso dire una cattiveria?

D. Prego…

R. La mancata performance di azioni non stupisce quando è riferita a casi in cui i capitali raccolti, oltre a essere davvero esigui, più che sostenere piani di crescita dell’azienda, hanno  finanziato poco più delle fee di quotazione”. Diverso è valutare realtà più complesse e dinamiche che sono approdate sul listino e meriterebbero in più attenzione dei capitali/investitori.

D. Si potrebbe fare qualcosa per superare le criticità?

R. Intanto sarebbe bene iniziare a considerare l’Aim  soprattutto come un mercato di transito verso il listino principale . Lo dico a ragion veduta: con la nostra spac pionistica (Made in Italy1, ndr) abbiamo consegnato all’Aim SeSa, che abbiamo successivamente trasferito allo Star. Stesso percorso ci sta impegnando ora con Italian Wine Brands. Ma le ‘secchiate’ di liquidità e competenza che le spac portano alla Pmi accompagnandola sui listini borsistici non sono sufficienti, da sole, ad animare definitivamente un mercato che è ancora percepito come ‘mercato delle piccoline e illiquido. Bisogna orientare flussi di capitali sempre più consistenti verso la aziende di ridotte dimensioni meritevoli e promuovere l’Aim come un mercato di preparazione al mercato principale che può accogliere non solo piccole società, ma anche quelle di grande potenzialità, dando opportunità agli investitori di seguirne l’evoluzione partecipando alla performance nel medio termine.


Lavoro Cad Cam alla Modelleria Brambilla
Lavoro Cad Cam alla Modelleria Brambilla

Tre rappresentanti dell’industria

Tre su 75. Le aziende attive nel settore industriale sono una rarità nel listino Aim e al momento segnano esiti differenti, che non sempre corrispondono all’andamento dei bilanci. Mettendo così in dubbio l’utilità della quotazione su questo listino, almeno relativamente alla capacità di far valorizzare la società. La più grande è Modelleria Brambilla, azienda di Correggio (Reggio Emilia) che si occupa di componentistica di precisione per il settore automotive, con una forte vocazione all’export (80% del fatturato). Una storia interessante non solo a livello industriale (il 2015 si è chiuso con un utile netto di 0,44 milioni di euro, con un balzo del 126,5%, mentre il valore della produzione è salito da 16,5 a 16,7 milioni), ma anche finanziario. Sbarcata sul listino a fine dicembre del 2014 a quota 2,5 euro, oggi quota in rialzo di oltre il 70%, premiata da una serie di mandati conquistati all’estero, grazie anche agli investimenti conseguenti alla somma (3 milioni di euro) raccolta in fase di Ipo. Destino diverso per Clabo, specializzata nella produzione e commercializzazione di vetrine espositive professionali per gelateria, pasticceria, bar, caffetteria e hotel. Sbarcato sul listino milanese un anno fa a 2,5 euro, oggi vale la metà.

L’azienda jesina ha avviato la redazione del consolidato nel 2015, chiudendo il primo semestre con ricavi per 10,4 milioni di euro, 1,3 di ebitda (margine del 13%) e 0,5 di profitti netti. L’indebitamento finanziario netto è di 18,1 milioni e questo probabilmente ha pesato sulla performance, insieme con le turbolenze nel top management, che tra le altre cose hanno portato all’arrivo di Francesco Meroni nel ruolo di cfo, al posto del dimissionario Piergiorgio Polenti.

La terza rappresentante del settore è Lu-Ve, sbarcata sull’Aim a luglio in seguito alla fusione con la Spac Industrial Stars of Italy. Il gruppo varesino, produttore di apparecchi ventilati e scambiatori di calore per il mercato della refrigerazione, nei nove mesi fin qui trascorsi non ha entusiasmato in Borsa, cedendo all’incirca il 20% nonostante numerose operazioni di riacquisto titoli da parte della società. Questo nonostante il fatto che il primo semestre del 2015 si sia chiuso con un utile netto di competenza del gruppo salito a oltre 4 milioni da 1,3 milioni di fine giugno 2014, a fronte della stabilità del fatturato (104,9 milioni).

 














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