Baban: Internet delle cose fondamentale per le Pmi

Alberto Baban
Alberto Baban

“Una occasione enorme perché l’Italia è ancora una grande manifattura. Tutto sommato questo è un vantaggio enorme”. Alberto Baban, presidente della Piccola Industria di Confindustria ne parla in occasione di un incontro di The Ruling Companies Association sull’Internet of things (Iot). A cavalcare l’onda può – e deve – essere il sistema produttivo italiano che ha dimostrano di avere la necessaria resilienza sopravvivendo alla crisi, spiega. “La grande rivoluzione dell’Internet of things comincia della manifattura – continua Baban – oggi abbiamo una prateria enorme di Pmi che con la Iot possono avere una grandissima accelerazione”. Ovviamente non sarà un processo indolore, a maggior ragione in Italia, e ci sono alcuni problemi da superare. “Il maggiore – spiega Baban – è che l’applicazione della Iot non rappresenta la capacità della singola impresa di agire e reagire, ma funziona solo se gli ecosistemi funzionano. Sto parlando del fatto che le informazioni passano innanzitutto se c’è un buon sistema di education, se ci sono infrastrutture, imprese dotate di mercati di destinazioni, mercato di destinazione, centri per l’innovazione, finanza e supporti governativi. Senza questi contenitori non c’è trasferimento di informazione, non c’è Iot”.

Utilizzo dei sensori
Utilizzo dei sensori

A che cosa serve
E se perde questo treno l’Italia è tagliata fuori. Ma proviamo ad andare con ordine, partendo dalla definizione. L’Internet of Things è una delle tecnologie emergenti che avrà maggiore velocità di propagazione e pervasività di adozione nel corso dei prossimi anni: si stima che nel 2020 ci saranno 25 miliardi di oggetti collegati in rete (esclusi pc, tablet e smartphone), 30 volte in più di quelli presenti nel 2009. Più importante ancora, il 50% delle soluzioni interconnesse per le aziende che arriveranno sul mercato entro il 2017 saranno inventate e realizzate da start up attive da non più di tre anni. Questi sviluppi prefigurano una rivoluzione nel modo di lavorare, oltre che di vivere. La rivoluzione 4.0, la quarta rivoluzione industriale degli ultimi 200 anni, argomento affrontato a Milano nel convegno organizzato da The Ruling Companies Association. “Noi siamo stati testimoni di due di queste rivoluzioni – continua Baban – e non escludo che ne arrivi una quinta a stretto a giro. Nella terza rivoluzione, quella di Internet, l’Italia ha inventato tutto dall’algoritmo su cui funziona Google ai chip, al multimedia su cui si basa lo smartphone. Tuttavia lo sfruttamento di queste invenzioni tecnologiche appartiene a chi ha la proposizione del mercato e ha il mercato di sbocco. Se la tecnologia viene inventata in un posto ma viene venduta e il suo processo che crea valore aggiunto e non la tecnologia in sé”.







Tradurre l’hi-tech in beneficio
La questione è appunto se manager e leader di organizzazioni siano in grado di comprendere veramente come questo trend si traduca in valore e beneficio per l’azienda. E se saranno in grado di trasformarlo in prodotti e servizi per i clienti finali. Così l’Iot potrà essere il volano del nostro business o la tempesta perfetta che ci farà naufragare.
“Le parti del mondo o d’Italia in cui la Iot avverrà sono quelle dove ci saranno tutte le condizioni. Un esempio eclatante è la capitale del mondo dell’innovazione che è la Silicon Valley dove l’ecosistema di formazione, infrastrutture e supporto ha funzionato. Sono fattori che favoriscono le metropoli, altra realtà che l’Italia non ha. Ma abbiamo 23mila Pmi skillate, dotate di ecosistema interno, di un prodotto corrispondente a un megatrend in divenire, innovative perché dotate di resilienza e rimaste solide dopo 8 anni di crisi, che hanno una media di fatturato di 20 milioni: se prendono il treno possono portare il fatturato da 400 a 800 miliardi domani. La Germania non può farlo. Ma succede adesso, non domani”.
Bisogna dunque abbandonare le vecchie tradizioni: non più un uomo solo al comando ma una comunità. E poiché non esiste la possibilità di fare una replica della Silicon Valley si devono creare “luoghi fisici di contaminazione, luoghi fisici dove gli imprenditori possano scambiare competenze, ci vuole una grandissima azione culturale per trasformare le imprese e gli imprenditori devono agire come evangelisti di questo processo con l’aggravante che tutto succederà molto velocemente”. Gli innovation hub sono un progetto su cui Confindustria sta già lavorando: saranno punti di riferimento dove si insegnerà alle imprese come cambiare.

Progetto di domotizzazione con l'Internet of things
Progetto di domotizzazione con l’Internet of things

Sfida da non perdere
“Se non saremo in grado di cogliere il cambiamento sarà colpa nostra. E lo pagheremo: le imprese o saranno veloci e innovative o conservative e destinate al sicuro declino. Ci sono aspetti pionieristici in questa rivoluzione 4.0: è la prima volta che la ricerca non deve necessariamente svolgersi dove avviene l’innovazione perché le informazioni viaggiano in tempo reale e possono essere reperite ovunque e essere trasformate in processi produttivi lontano da dove sono state create. E c’è la sovraccapacità produttiva di tutto per la prima volta in 200 anni, dalle materie prime di base come il petrolio, ai prodotti in ambito siderurgico”. Tutti elementi che vanno a favore del sistema Italia, che però non deve cercare di competere né sull’innovazione né sui costi, entrambe battaglie perse negli anni Ottanta e Novanta. “Il modello italico deve puntare sulla customizzazione – dice Baban – è qualcosa che le nostre imprese sanno fare, l’evoluzione artistica del modello produttivo, parliamo di imprese che hanno industrializzato l’artigianato e la bellezza è un plus che al di là del trasferimento tech non ci hanno copiato. Puntiamo su quello, sul valore aggiunto del design”. E possiamo cambiare con l’Iot anche turismo e agroalimentare “per cui il marchio made in Italy è un valore altissimo e come nella meccanica o nella produzione industriale si compete sull’intelligenza: vince chi mette nel processo produttivo l’intelligenza”.

Internet of things
Internet of things

Tornare alla manifattura 

La manifattura resta però il fulcro del sistema. Oggi pesa per il 15% sul Pil, e ha perso negli anni della crisi il 5% di valore. Se si riuscisse a tornare sui livelli pre-crisi ripartirebbero i servizi e con essi anche il Paese. Chi è digital intensive cresce del 10% in termini di giro di affari e del 5% in termini di utile. L’89% delle imprese italiane fallite nel 2014 non avevano un sito web. C’è un legame? Non è scientifico, ma i numeri sono impressionanti.
“Queste tecnologie sembrano fatte apposta per trasformare i nostri distretti in qualcosa di molto più potente – continua Baban – il 99% delle Pmi italiane ha una radice sostanzialmente legata all’execution del prodotto – siamo capaci di fare cose, e questa radice sta subendo una metamorfosi fin troppo violenta. Una metamorfosi che non agisce solo sui modelli produttivi e di servizio ma anche sui modelli di consumo”. E proprio su questi secondo Baban si basa la maggior sfida del futuro. “Le rivoluzioni vanno raccontate anche dal punto di vista della percezione del consumatore – spiega il presidente della piccola industria – che negli ultimi 20 anni ha avuto a disposizione modelli molto accessibili ma allo stesso tempo limitanti perché fruibili nelle loro potenzialità. Direi che dei device multi-tasking di cui disponiamo usiamo il 3 o al massimo il 5%. Stiamo costruendo modelli che si sovrappongono: l’evoluzione hi-tech non corrisponde all’evoluzione di utilizzo. Stiamo costruendo qualcosa che va nella direzione di pensare che si sia evoluto anche il consumatore, ma non è così. Tutto ciò che oggi è disponibile esprime una sovraccapacità rispetto al consumatore e sarà sempre più così: ci saranno sempre più strumenti che offrono mille possibilità che vengono sfruttate”.

Interno di fabbrica
Interno di fabbrica

Gli effetti da iperconnessione

L’idea nuova non cambia solo i prodotti ma indirizza anche i costumi, cosa che il sistema non è ancora stato in grado di comprendere. “Siamo già in overbooking di informazione senza capire che il consumatore non è in grado di elaborarle. L’effetto è una iperconnessione. Che da un lato porta con sé lo sviluppo della ciber-security, dall’altro richiede la semplificazione dell’utilizzo, lo studio dell’evoluzione del consumatore tipo e la comprensione di cosa vuole. O, altrimenti, nel futuro la troppa offerta ridurrà la capacità di utilizzo del consumatore”. E siamo solo all’inizio: stiamo trasferendo informazioni e possiamo solo immaginare – o meglio progettare – i prodotti di domani. “Se siamo incapaci di inventare qualcosa e se il nostro indirizzo è il mercato abbiamo un problema – conclude Baban – perché siamo in un mercato stanco che non risponde come i mercati globali e allora costruiamo prodotti e servizi vicini ai mercati che comprano. Se l’intelligenza è il pivot della manifattura dobbiamo cambiare strada. Creare un modello che al centro abbia il cervello e che solo in seconda battuta faccia vedere il prodotto”.

Alberto Baban
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