Il Pnrr varrà oltre 222 miliardi, ma la dote per Transizione 4.0 cala: ecco perché

di Silvia Santoro e Marco Scotti ♦︎ All'appello mancano più di 4 miliardi che il governo Conte aveva destinato al fratello minore di Industria 4.0. Ma la decisione dell'esecutivo è di puntare sulla realizzazione di infrastrutture eccellenti che supportino una manifattura di nuova concezione, prima ancora di allargare la platea delle aziende che hanno diritto agli incentivi. E per il futuro via alla riforma della proprietà industriale

Il Pnrr approvato con formula piena dalla Camera – e che dovrebbe vedere stessa sorte anche al Senato – è più robusto delle attese: 222,1 miliardi, frutto della somma tra i 191,5 miliardi finanziati dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza – strumento chiave del Next Generation Eu – e i 30,6 miliardi del Fondo complementare finanziato dallo scostamento di bilancio. A fronte di questa maggiore dotazione, è da segnalare che sono state ridotte di oltre quattro miliardi quelle relative al Piano Transizione 4.0, che passa da oltre 18 a 13,97 miliardi.

Nel testo in discussione alle Camere si legge che “il Piano Transizione 4.0, dal valore di circa €14 miliardi di euro, di cui almeno il 10 per cento destinato a incentivare l’acquisto di beni intangibili innovativi quali i servizi di cloud computing e big data analytics; lo stanziamento di €750 milioni di contributi a sostegno di progetti industriali ad alto contenuto tecnologico, tra i quali ricade la produzione di semiconduttori; e la migrazione al cloud delle pubbliche amministrazioni centrali e locali stimolerà lo sviluppo di un ecosistema di servizi basati sul “cloud”, accelerando così lo sviluppo dell’offerta italiana”.







Il premier Mario Draghi

L’analisi puntuale del documento del Pnrr, inoltre, consente di capire quale sia la ratio che sta dietro alla riduzione della cifra complessiva destinata a Transizione 4.0. “Nel dettaglio – si legge nel testo del Piano – la misura consiste nel riconoscimento di tre tipologie di crediti di imposta alle imprese che investono in: a) beni capitali; b) ricerca, sviluppo e innovazione; e c) attività di formazione alla digitalizzazione e di sviluppo delle relative competenze”.

Il calo della dote del Piano Transizione 4.0

Il piano di riforme per il rilancio del Paese in termini economici e strutturali, tuttavia riduce le risorse per la Transizione 4.0 pilastro della trasformazione digitale e dell’innovazione del sistema produttivo del Paese.

Se nella bozza del Recovery Plan del precedente Governo Conte il budget complessivo destinato al Piano Transizione 4.0 ammontava a oltre 18 miliardi di euro, ora le risorse stanziate per il PNRR ammontano a 13,97 miliardi, cui si aggiungono 4,48 miliardi a valere sul Fondo complementare.

I motivi del ridimensionamento vanno ricercati nel fatto che si è teso a “spacchettare” l’intervento, aumentando la dotazione per la realizzazione delle infrastrutture e partendo dall’assioma che un macchinario di ultima generazione con una connessione lenta sia quasi inutile. Meglio, quindi, puntare sulla rimodulazione della rete. Ecco perché ad essere potenziato è invece il piano per la banda larga e il 5G che incassa 5,3 miliardi a valere sul Recovery e 1,4 di fondi nazionali, a fronte dei 4,2 miliardi della vecchia versione.

Inoltre, nel Pnrr si dichara l’intento di riformare il sistema della proprietà industriale, ritenuto un elemento fondamentale per proteggere idee, attività lavorative e processi generati dall’innovazione e assicurare un vantaggio competitivo a coloro che li hanno generati. Questi elementi hanno sempre caratterizzato il sistema produttivo italiano e rappresentano fattori distintivi delle produzioni “Made in Italy”. La riforma intende definire una strategia pluriennale per la proprietà industriale, con l’obiettivo di conferire valore all’innovazione e incentivare l’investimento nel futuro. La riforma sarà elaborata dopo un processo di consultazione pubblica che avrà luogo nel 2021.

Il fulcro del Piano Transizione 4.0, lo ricordiamo, è il sistema di incentivi fiscali 4.0 – che punta soprattutto sul credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali e sul bonus ricerca e sviluppo – con aliquote e massimali maggiorati per il biennio 2021-2022, come previsto dalla Legge di Bilancio 2021.

Le principali novità per gli incentivi 4.0 previsti dalla Manovra 2021 riguardano:

il credito d’imposta per beni strumentali materiali 4.0 che è riconosciuto:

• per investimenti fino a 2,5 milioni di euro: nella misura del 50% del costo nel 2021 e nella misura del 40% nel 2022

• per investimenti superiori a 2,5 milioni e fino a 10 milioni di euro: nella misura del 30% del costo nel 2021 e nella misura del 20% nel 2022

• per gli investimenti superiori a 10 milioni e fino a 20 milioni di euro (nuova soglia): nella misura del 10% del costo nel 2021 e 2022.

il credito d’imposta per beni strumentali immateriali 4.0:

• con l’aliquota che sale dal 15% al 20%

• la soglia degli investimenti ammissibili, che aumenta da 700mila euro a un milione di euro

il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design, con aliquote e massimali che salgono:

• per ricerca e sviluppo, nella misura del 20% (prima era il 12%) della relativa base di calcolo, nel limite massimo di 4 milioni di euro, non più 3 milioni

• per l’innovazione tecnologica, nella misura del 10% (prima era il 6%) della relativa base di calcolo, nel limite massimo di 2 milioni di euro, non più 1,5 milioni

• per design e ideazione estetica, nella misura del 10% (prima era il 6%) della relativa base di calcolo, nel limite massimo di 2 milioni di euro, non più 1,5 milioni

• per l’innovazione tecnologica finalizzata alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorati per il raggiungimento di un obiettivo di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0, nella misura del 15% (prima era il 10%) della relativa base di calcolo, nel limite massimo di 2 milioni di euro, non più 1,5 milioni.

La Missione 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si pone l’obiettivo
di dare un impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività del
Sistema Paese

Ricordiamo che la Manovra nel 2021 ha aumentato anche l’aliquota del credito d’imposta per beni strumentali materiali e immateriali non 4.0, dal 6% al 10%, nel limite massimo di costi ammissibili pari a 2 milioni di euro per i beni materiali e di un milione per i beni immateriali. Per i beni funzionali allo smart working, invece, l’aliquota aumenta fino al 15%.

A questi si aggiunge poi il credito d’imposta formazione 4.0, con un ampliamento delle spese ammissibili.

Il Recovery Plan

Il pacchetto di misure di riforma è significativo, soprattutto per quanto riguarda la pubblica amministrazione, la giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza. Si tratta di un intervento epocale volto a riparare i danni economici e sociali causati dalla crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana e accompagnare il Paese sulla via della trasformazione ecologica e ambientale. Il piano vede le donne, i giovani e il Sud come i principali beneficiari e punta in modo significativo a promuovere l’integrazione sociale e ridurre il divario territoriale.

Nel complesso, il 27 per cento del Piano è dedicato alla digitalizzazione, il 40 per cento agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico, e più del 10 per cento alla coesione sociale.

Prossime tappe del piano

La Componente 2 della Missione 1 ha l’obiettivo di rafforzare la competitività
del sistema produttivo rafforzandone il tasso di digitalizzazione, innovazione
tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi tra loro
complementari.

Il Recovery Plan è stato strutturato dal Consiglio dei Ministri, con la stesura dettagliata di progetti, riforme, investimenti e impatti su occupazione e crescita.

La bozza ha già avuto un primo via libera da Bruxelles. Il testo, per diventare ufficiale e definitivo deve adesso passare l’esame parlamentare.

Il 26 e 27 aprile vedono il presidente del Consiglio Draghi impegnato a relazionare alla Camera e al Senato, che voteranno le risoluzioni sul piano.

Una volta approvato da deputati e senatori, il Recovery Plan tornerà in CdM per la stesura finale e incorporando eventuali modifiche richieste dal Parlamento.

Entro il 30 aprile il piano sarà inviato a Bruxelles, per essere valutato dalla Commissione UE. L’organo esecutivo europeo avrà a disposizione due mesi per analizzare il Recovery Plan in base ai criteri indicati da Bruxelles. Se approvato, passerà poi al Consiglio UE per avere il via libera. A quel punto inizierà l’erogazione di primi fondi.

Si presume che per l’estate possa essere finanziato il 13% delle risorse.

Cosa prevede il Recovery Plan?

La seconda missione, “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”, stanzia complessivamente 68,6 miliardi – di cui 59,3 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 9,3 miliardi dal Fondo. I suoi obiettivi sono migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico e assicurare una transizione ambientale equa e inclusiva.

Il nucleo del Recovery Plan è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che si compone di 6 missioni:

  1. Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura
  2. Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica;
  3. Infrastrutture per una Mobilità Sostenibile;
  4. Istruzione e Ricerca;
  5. Inclusione e Coesione;
  6. Salute

In più, sono previste importanti riforme, i cui ambiti principali sono: pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza.

In totale, l’Italia spenderà 222,1 miliardi di euro comprensivi dei 195,1 miliardi finanziati da Bruxelles (Pnrr e Fondo React-EU) e 30,6 miliardi di euro provenienti dal Fondo nazionale complementare.

Da sottolineare, che il Governo italiano ha richiesto il massimo disponibile delle risorse europee, divise in 68,9 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti.

Scendendo nel dettaglio delle 6 missioni previste dal Recovery Plan, si evidenziano i seguenti aspetti, contenuti nel testo della presentazione del MEF allegata al PNRR:

  • per la missione digitalizzazione vengono stanziati in tutto 49,2 miliardi, al fine di promuovere e sostenere la trasformazione digitale del Paese e l’innovazione del sistema produttivo e investire in due settori chiave per l’Italia: turismo e cultura. Tra le azioni principali previste figura l’estensione della Banda Ultra larga e connessioni veloci in tutto il Paese, incentivi per la transizione digitale e l’adozione di tecnologie innovative nel settore private, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione ed il rilancio del turismo, con un approccio digitale e sostenibile;
  • per la missione Rivoluzione verde e transizione ecologica vengono stanziati 68,6 miliardi, con il fine di migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico assicurando una transizione equa e inclusiva. Le azioni principali prevedono investimenti e riforme per l’economia circolare e la gestione dei rifiuti, promozione di fondi di energia rinnovabili, incentivi fiscali per incrementare l’efficienza energetica degli edifici ed investimenti per ridurre i rischi del dissesto idrogeologico. Non c’è un’indicazione chiara nel Recovery Plan sulla proroga del superbonus al 2023, misura che in ogni caso “si intende estendere” anche per favorire gli investimenti nel settore edilizio;
  • Sul fronte di Infrastrutture e mobilità sostenibile vengono stanziati 31,4 miliardi, per consentire lo sviluppo razionale di una infrastruttura di trasporto moderna, sostenibile ed estesa a tutte le aree del Paese. Le azioni previste vanno dallo sviluppo dell’alta velocità alla modernizzazione delle linee ferroviarie regionali, fino agli investimenti sui porti verdi e sulla digitalizzazione della catena logistica;
  • la missione Istruzione e Ricerca poggia su 31,9 miliardi di risorse, con il fine di rafforzare il sistema educativo, le competenze digitale e STEM, la ricerca e il trasferimento tecnologico. Potenziamento di asili nido, materne e servizi per la prima infanzia, Scuola 4.0, formazione degli insegnanti e riforma dell’orientamento, del dottorato e dei corsi di laurea sono alcune delle azioni previste;
  • Donne e giovani sono al centro della missione Inclusione e Coesione, per la quale vengono stanziate un totale di 22,4 miliardi di risorse. Superare il gender gap, migliorare l’accesso al mondo del lavoro per giovani, potenziare le misure di politica attiva ed i centri per l’impiego, accanto ad interventi per persone in situazione di fragilità e disabili sono i pilastri sui quali si fonda la missione prevista dal testo del Recovery Plan;
  • c’è poi la missione Salute, per la quale si impegnano 18,5 miliardi di risorse. L’obiettivo è creare un sistema di prossimità, con il potenziamento delle strutture sul territorio e della telemedicina. Le “case della Comunità” saranno il punto di riferimento per l’assistenza integrata, ma tra le azioni è previsto il potenziamento dell’assistenza domiciliare, con il fine di far diventare la casa il primo luogo di cura, anche mediante telemedicina e assistenza remota.

Recovery Plan: le riforme

Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Le riforme rappresentano una delle ambizioni principali – nonché tra le più difficili – all’interno del piano.

Sono 5 le riforme che possono essere individuate nella bozza, anche se quella più massiccia, la riforma della pubblica amministrazione, ne comprende al suo interno altre. Le aree di fatto possono essere così ripartite:

  • Riforma della pubblica amministrazione, che comprende al suo interno trasformazione, accesso e competenze;
  • Riforma del sistema della proprietà industriale;
  • Riforma della formazione obbligatoria per la scuola;
  • Riforma delle politiche attive del lavoro;
  • Riforma della medicina territoriale

L’impatto sul PIL dell’Italia

La crescita dell’Italia attraverso il piano è stata così stimata: “Nel 2026 il Pil sarà di 3,6 punti percentuali più alto rispetto allo scenario di base. Nell’ultimo triennio dell’orizzonte temporale (2024-2026), l’occupazione sarà più alta di 3,2 punti percentuali”. Un effetto importante si avrà anche nel Mezzogiorno. Su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio, il 40% è destinato alle riforme per il Sud.

 

Governance: chi gestirà i fondi per il Recovery Plan?

L’ex presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Sul tema della gestione la prima bozza del Recovery, quella del governo Conte, non si presentava esattamente chiarissima, dando allora adito a uno scontro politico tra Conte e Italia Viva. Di fatto a richiedere la precisa strutturazione di una governance per i progetti alla base del piano è proprio l’Unione Europea, va da sé che si tratta quindi di un punto cruciale.

Punto che contiene di sicuro specifiche e indicazioni più chiare nell’attuale bozza, che è possibile trarre dalle stesse parole di Mario Draghi nella premessa, con un esplicito riferimento a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio per la gestione del Recovery Plan:

“La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti.”

Si tratta – ancora nelle parole di Draghi – di una “struttura di coordinamento centrale” presso il ministero dell’Economia che svolge un’attività di coordinamento e supervisione, affiancata da “una struttura di valutazione e una di controllo”: “Il comitato supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione Ue”.














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