India, da slumdog a… millionaire. Crescita record del 6%

di Marco de’ Francesco ♦︎ Il Paese è una destinazione top per gli investimenti globali, che tra l’aprile del 2014 e giugno 2019 hanno raggiunto i 307 miliardi di dollari. Ferrero, Perfetti Van Melle, Magneti Marelli sono già attivi sul territorio. Ma il modo migliore per entrare nel mercato indiano è tramite joint venture con un partner locale. I case study di Fima – Carlo Frattini, Sei Laser e Wittur

«Dall’inizio della Storia, l’India è stata il Klondike del mondo», affermava più di un secolo fa l’avvocato e docente di giainismo Virchand Gandhi. Ciò è vero anche oggi; o meglio, soprattutto da qualche anno a questa parte. Per le imprese italiane, l’oro è a portata di mano. Gli investimenti miliardari in infrastrutture materiali e immateriali, la crescita miracolosa del Pil, l’alto livello tecnologico, l’attenzione della giovane borghesia per lo stile e il design costituiscono, per le nostre aziende, occasioni di business. Ma come per ogni Klondike che si rispetti, il pericolo è dietro l’angolo: le barriere burocratiche, una normativa fiscale indecifrabile, le errate aspettative sul ritorno del capitale possono scoraggiare qualsiasi impresa. E dunque?

La regola è che il passaggio in India non si compie da soli. È un cammino che si percorre in joint-venture con un socio indiano, uno influente che conosca l’ambiente, l’amministrazione locale (con i suoi tempi e i suoi metodi), i canali commerciali, e tutto ciò che serve per prosperare nel subcontinente. Ma come si seleziona il partner giusto? Una delle funzioni di Messe Frankfurt, il più grande operatore al mondo specializzato nell’organizzazione di fiere, congressi ed eventi, è appunto quello di fare incontrare aziende e operatori qualificati. E gli Indiani, alle fiere, non ci vanno tanto per comprare o vendere, quanto per stringere relazioni. Tutto ciò è emerso giorni fa a Milano all’ottava edizione del Fimi, il Forum Internazionalizzazione Made in Italy, organizzato da Messe Frankfurt Italia.







 

Una crescita poderosa e tante opportunità di investimento

Varda Taneja, assistant vice president di Invest India

Quest’anno l’India crescerà del 6,1%. Il prodotto interno lordo nominale, e cioè espresso in moneta attuale, supererà la soglia dei 2,7 trilioni di dollari, che è poi quella del Regno Unito e della Francia. I calcoli sul Gdp differiscono sempre un po’, a seconda dell’ente che li compie e sulla scorta di caratteri secondari presi o meno in considerazione; ma la verità è che l’India, dagli anni Novanta, ha fatto segnare tassi di crescita superiori a quelli delle economie consolidate. All’inizio, quasi nel silenzio generale, perché si partiva da una base molto bassa; ora, invece, Bloomberg stima che l’economia indiana possa superare quella degli Stati Uniti nel giro di cinque anni. Comunque finiranno le cose, l’avanzamento è iperbolico. E visibile. Perché si è puntato molto su infrastrutture moderne e tecnologiche. Non c’è quasi rapporto tra l’aeroporto di Mumbai del 2014 e quello avveniristico realizzato nel 2018. La stessa cosa si può dire della Meerut Highway, o della stazione dei treni di Varanasi. Il Paese è una destinazione top per gli investimenti globali, che tra l’aprile del 2014 e giugno 2019 hanno raggiunto i 307 miliardi di dollari. La popolazione, dagli attuali 1,3 miliardi di persone, è destinata a raggiungere quota 1,5 miliardi nel 2025; sempre fra cinque anni, i consumi interni supereranno quota 4 trilioni di dollari. D’altra parte, quello indiano è un mondo di giovani, che puntano a standard di vita sempre più elevati; la metà degli abitanti non ha più di 25 anni.

Da destra: Nitin Nagrale, Hitesh Bhatt e Manish Khemka, rispettivamente founder & general secretary de Hospitality Purchasers manager Forum, direttore Marketing and Communication di Retail Association India e direttore di Vivono Designs

Secondo Varda Taneja, assistant vice president di Invest India, l’agenzia nazionale di promozione e facilitazione degli investimenti (e che sviluppa partnership a livello globale) ci sono, da qui al 2015, opportunità per complessivi 4,8 trilioni di dollari: nell’automotive, per 300 miliardi; nelle costruzioni, per 640, nel food per 320, nell’It per 350, nella chimica per 400, nel tessile per 223, nel turismo per 419 e così via. Sono previsti investimenti poderosi nei trasporti di terra, visto che si tratta di realizzare nuovi 10mila km di ferrovie ad alta velocità; in quelli aerei, con nuovi 400 aeroporti; in quelli fluviali, con 11 nuovi percorsi; nelle infrastrutture urbane, con più di 100 smart city, 35 nuovi parchi logistici, 5 corridoi industriali, e 225 Gw da ottenere grazie alle energie rinnovabili.  L’India, peraltro, è un’importante destinazione per la ricerca e lo sviluppo. Centri di R&D sono stati di recente fondati nel sub-continente da società del calibro di IntelSamsungGoogleAmazon e Apple. Ha un senso. Le università indiane sono fra le migliori al mondo quanto a materie scientifiche e alle alte tecnologie; il Paese, poi, ospita la seconda popolazione mondiale di start-up: ogni giorno ne nascono cinque. All’India sembra non mancare niente per mettere al tappeto le economie consolidate dell’Occidente: nel 2018, ha aggiunto alla lista 11 unicorn. Paytm Mall e Udaan sono diventate tali in due anni; Ola in tre, RivigoInMobi e Swiggi in quattro. Il Paese guidato dal premier Narendra Modi, al secondo mandato, ha anche un locale piano Calenda: si chiama Agnii, accelerating growth of new India’s innovations; mentre India Investment Grid (Iig), un’iniziativa del governo, mostra le opportunità di investimento in tutti gli stati che compongono il Paese su un’unica piattaforma interattiva.

 

 

 

Alessandro Biamonti, docente al dipartimento di Design del Politecnico di Milano e delegato del Rettore per relazioni internazionali con l’India

Sono registrati 11mila investitori di 135 Paesi; il sito sottolinea le 5.420 opportunità, per un controvalore di 218 miliardi di dollari. Attualmente, in India sono operative più di 140 grosse imprese, tra cui FerreroPerfetti Van MelleMagneti Marelli (che però nell’ottobre 2018 è stata ceduta al gruppo giapponese Calsonic Kansei da Fca), e Fca (che si fonderà con Psa); e 700 considerate le medie, come Maschio Gaspardo e quelle più piccole. Le aziende sono operative per lo più a New Delhi, Kolkata, Mumbai, Bengaluru e Chennai. L’Italia è il quinto partner commerciale dell’India in Eu; intense relazioni diplomatiche si tengono da 70 anni. Gli investimenti diretti del Belpaese sono stati pari, tra l’aprile del Duemila e il giugno dell’anno in corso a 2,8 miliardi di dollari. I settori più interessanti per le aziende italiane sono il food processing, le costruzioni, il tessile, l’aviazione, l’It, i metalli, il turismo, la chimica e altri. In particolare, Nitin NagraleHitesh Bhatt e Manish Khemka, rispettivamente founder & general secretary de Hospitality Purchasers manager Forum, direttore Marketing and Communication di Retail Association India e direttore di Vivono Designs, hanno illustrato le opportunità per le aziende italiane nei settori del turismo, del retail e del design. A proposito di quest’ultimo comparto, Aamir Sharma, direttore di Aamir – Hameeda Design Studio e il noto architetto Matteo Nunziati, dell’omonimo studio, hanno spiegato l’interesse del mercato indiano per le soluzioni di stile italiane. Alessandro Biamonti, docente al dipartimento di Design del Politecnico di Milano e delegato del Rettore per relazioni internazionali con l’India, ha invece approfondito il tema delle influenze reciproche tra lo stile italiano e quello indiano.

 

In India, però, da soli non si entra

Luciano Pettoello Mantovani, segretario Icci, Camera di Commercio Indiana per l’Italia

Il governo indiano si è dotato di un programma per incrementare l’attrattività del Paese. Si tratta di “Make in India”, un insieme di riforme e di piani di investimento teso a trasformare il panorama industriale del sub-continente. Alla base, l’idea del citato primo ministro, quella di fare del suo Paese l’hub manifatturiero del mondo. L’obiettivo più immediato è quello di incrementare il contributo del manufacturing sul Pil dal 16% al 25% entro il 2025. Il piano ha avuto delle conseguenze positive in termini di investimenti stranieri diretti, passati dai 39,9 miliardi di dollari del 2015 ai 46,4 dell’anno successivo. Tra le iniziative del piano, anche l’armonizzazione del sistema fiscale e la semplificazione della burocrazia. Ma nell’esperienza delle imprese, questi due fattori costituiscono ancora degli ostacoli abbastanza impegnativi. Attualmente, ha spiegato Luciano Pettoello Mantovani, segretario Icci, Camera di Commercio Indiana per l’Italia, si può entrare (teoricamente) nel mercato indiano in via diretta, e cioè come importatori, in franchising o con agenti; e in via indiretta, e cioè associandosi ad aziende indiane o ad imprese straniere che già lavorano lì.

Per Mantovani, il sistema migliore è quello della joint venture. Perché in realtà il passaggio in India è irto di ostacoli, almeno quanto accade ai protagonisti del libro di Edward Morgan Forster. Tra i rischi potenziali: le barriere burocratiche, e le differenze culturali; la selezione scorretta del capitale umano e le errate aspettative sulla tempistica del Roi; la non-compliance con leggi e regolamenti e i problemi per la protezione dell’Ip e del proprio patrimonio tecnologico. Ma forse i pericoli più grandi sono tre: il modo sbagliato di entrare; l’errata posizione sul mercato e, qualora si decida per la via indiretta, la scelta di un partner inadeguato. Comunque sia, considerata la via crucis, meglio selezionare un partner indiano, che potrà assistere l’azienda italiana nell’adozione di tecnologie dirompenti; nell’introduzione di prodotti innovativi nel mercato; nella distribuzione di servizi e prodotti di qualità sia per il B2b che per il B2c; nella divulgazione del brand; e nell’identificazione dei costi effettivi, sia in termini di produzione che di catena dei fornitori. «È un mondo complicato – ha affermato Mantovani -: se non conosci il contesto; se non sai che il sistema normativo è in continuo aggiornamento ed è veramente difficile da interpretare, rischi qualche brutta sorpresa».

 

Aziende italiane e non in India: portare qualità e avere pazienza

L’ottava edizione di Fimi

La strada della joint-venture è stata intrapresa anche dalla Fima – Carlo Frattini, azienda novarese di rubinetterie di gamma medio-alta. Con un partner indiano, selezionato al seguito di una ricerca meticolosa. «Abbiamo scelto – ha affermato il responsabile comunicazione e marketing dell’azienda Mattia Fiorindo – un socio che potesse guidarci nel mercato e che conoscesse bene i canali commerciali; e, insieme, abbiamo dato vita ad una società per la distribuzione dei nostri articoli. Un errore da evitare, in India, è puntare al ribasso, contando sull’enorme numero dei potenziali acquirenti: quel segmento è già occupato dai locali. Bisogna invece scommettere sui prodotti di grande qualità, che risentono di una concorrenza minore». Ha una filiale di vendita nel subcontinente la Sei Laser di Curno (Bergamo). Come si evince dal nome, l’azienda offre un vasto portafoglio di sistemi laser, sviluppati internamente dal suo dipartimento di ricerca e sviluppo. Ha installato, in 50 Paesi, circa 6.500 macchine da taglio e foratura, operative nel food, nel packaging, nella moda e in altri settori. Per il sales director Andrea Monti «in India ci vuole pazienza»: anzitutto perché il Paese è vasto, e la logistica è impegnativa; e poi perché in India è richiesto un rapporto di fiducia “biunivoca” con i partner, che richiede tempo. Per Roberto Zappa, membro del board del gruppo tedesco Wittur, che si occupa di componenti per ascensori, in realtà in India c’è una grande competizione, «perché anche gli indiani vogliono trarre profitto dalle opportunità che nascono dal loro mercato». L’India è «faticosa». Anche Wittur ha optato per un’entrata nel subcontinente in joint-venture con un socio locale.

 

Messe Frankfurt in India

Detlef Braun, membro del board esecutivo di Messe Frankfurt

Nel 2019 Messe Frankfurt ha continuato a crescere, mantenendo i suoi indicatori chiave di performance a un livello elevato. La società prevede vendite a quota 733 milioni di euro. In India, l’azienda ha un portafoglio di oltre 20 marchi fieristici e oltre 30 conferenze tematiche; in breve, anche nel subcontinente si è affermata come impresa leader di settore. Nel comparto delle tecnologie costruttive, ad esempio, rilevano i due eventi Led Expo di New Delhi e di Mumbai; ma anche l’Ish, che riguarda invece il plumbing, le rinnovabili, i sanitari, i bagni e le cucine; l’Iee Expo, focalizzato sugli ascensori; l’Electrical building technology India e il Light India, sull’illuminazione green. Quanto al consumer goods, si tengono nel subcontinente Interiorlifestyle India sull’homeware, Fitex sul fitness, Paperworld India sugli articoli scolastici e il Corporate Gifts Show sull’industria del merchandising. C’è tanto altro, in altri settori. Le fiere, ha poi spiegato il membro del board esecutivo di Messe Frankfurt Detlef Braun, sono interpretate dalla nuova generazione di imprenditori indiani non tanto come luoghi dove vendere e comprare qualcosa, quanto come centri di incontro dove istaurare e sviluppare relazioni commerciali profonde – quei rapporti fiduciari “biunivoci” di cui ha parlato Monti. Gli operatori indiani ne fanno espressa richiesta alla fiera. Ed è proprio in queste circostanze che un’impresa italiana può conoscere i propri futuri partner locali, per entrare con efficacia nel mercato subcontinentale. Naturalmente, non è l’unica modalità per selezionare i propri soci: ad esempio, ci si può rivolgere ad una multinazionale della consulenza operativa nel matching. Ma è una opportunità.














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