Più veloce della luce: tutti i segreti di Cisco Photonics

di Marco de' Francesco ♦︎ Il centro di ricerca di Vimercate, dove il colosso guidato da Chuck Robbins investe 35 milioni all'anno, è figlio della tradizione Pirelli. Lì gli ingegneri realizzano l'infrastruttura che si interfaccia con la fibra e sviluppano software che permettono di gestire la rete tramite una sola dashboard

All’apparenza, un paradosso: quanto più imperiosamente cresce il traffico su rete fissa, tanto più risicati si fanno i margini per i provider, le Telco. In realtà, la contraddizione si spiega agilmente: la fibra costa. Costano i lavori di scavo e di posa, e pesano sui bilanci le spese di gestione della rete. Ma la competizione tra le società di telecomunicazioni è enorme, e nessuna di loro può evitare di dotarsi dei sistemi più avanzati e richiesti da una vasta clientela di consumatori e aziende.

Come uscire dal guado? Con la ricerca. In una stessa fibra, si possono inserire sempre più segnali, più canali. E particolari software possono consentire alle Telco di gestire la propria rete da una sola dashboard, riducendo i tempi di immissione sul mercato dei servizi in offerta. Di questo si occupa il centro di R&D Cisco Photonics di Vimercate (Monza e Brianza), che è parte di una rete di unità simili sparse in tutto il mondo e che fanno capo a Cisco, multinazionale specializzata nella fornitura di apparati di networking.







A Vimercate si testano i dispositivi per trasformare i segnali ottici in elettrici e viceversa, in modo da renderli sempre più efficienti; ed il software di gestione, simulando le particolari condizioni richieste dai clienti. Industria Italiana ha visitato il centro, e nell’occasione ha intervistato Alessandro Cavaciuti, Marco Croci e Paolo Campoli, rispettivamente manager engineering di Cisco Photonics, vice presidente senior di ingegneria di Cisco e direttore senior del segmento Telco di Cisco per Europa, Medio Oriente Africa e Russia.

Il centro di R&D Cisco Photonics di Vimercate

 

Cisco Photonics e l’eredità di Pirelli

Cisco Photonics è un centro di ricerca e sviluppo sulle tecnologie per le reti ottiche di nuova generazione. Inizialmente, nel Duemila, era stato insediato a Monza; poi, nel 2014, è stato trasferito nella vasta struttura di 6mila metri quadri di Vimercate, costruita appositamente per l’attività di R&D. Per saperne di più sulla nascita del centro, facciamo un passo indietro. Il colosso degli pneumatici Pirelli, a seguito di attività di diversificazione, disponeva, a cavallo del secolo, di due importanti divisioni tecnologiche, la Optical System e la Optical Technologies. La seconda, che si occupava di componentistica (modulatori, pompe laser, fibre ottiche speciali, filtri per la dispersione e la compensazione, strumenti all’arseniuro di gallio) fu venduta ad un prezzo assai elevato (3,43 miliardi di dollari, circa 165 volte il suo fatturato) ad una società americana specializza nella ricerca e nelle applicazioni tecnologiche del vetro, la Corning. Comunque sia, la somma incassata da Corning servì per ottenere il controllo di Telecom Italia; nel 2001, infatti, in un gioco di acquisizioni e partecipazioni e con l’appoggio della famiglia Benetton e attraverso Pirelli, Tronchetti Provera costituì la società Olimpia, che acquistò circa il 27% di Olivetti dalla società Bell di Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti, diventando prima l’azionista di riferimento e poi presidente di Telecom Italia.

Il laboratorio software di Cisco Photonics

La divisione fotonica per applicazioni terrestri di Pirelli Optical Systems venne invece venduta a Cisco Systems, colosso mondiale degli apparati di networking. Secondo il manager di ingegneria del centro Alessandro Cavaciuti «gran parte dei manager attualmente presenti nel centro si è formata ai tempi della proprietà di Pirelli – sotto la guida di Giuseppe Morchio, che condivideva con Tronchetti Provera la grande capacità di visione; questa eredità, unita alla proiezione globale di Cisco, rende la nostra unità più forte e strutturata. Altro personaggio notevole è Giorgio Grasso, che nel 1987 aveva fondato la Pirelli Photonic Unit. Al di là delle considerevoli competenze scientifiche, Grasso si è dimostrato capace di attrarre e formare talenti. Comunque sia anche oggi, all’interno di Cisco, il centro mantiene la sua unicità: noi non solo aumentiamo la proprietà intellettuale di una divisione già esistente, ma diamo vita anche a nuove linee di business; d’altra parte, attorno al trasporto ottico si è aggregato tutto il mondo del routing It, che in definitiva è il core business di Cisco». Cisco Photonics dispone di un personale di 150 dipendenti, composto per il 74% da ingegneri e per il resto da tecnici. Per Cisco è un investimento a cui destina mediamente 35 milioni di euro l’anno. Grazie ai laboratori del centro, la multinazionale ha ottenuto 150 brevetti. La collaborazione con le università è molto stretta; ad esempio in italia con il Politecnico di Torino. In partnership con gli atenei, sono stati realizzate più di cento pubblicazioni scientifiche peer-reviewed. Cisco Photonics è parte della rete dei laboratori della multinazionale: i principali sono a San Diego (Usa), a Norimberga (Germania), a Ottawa (Canada), in Israele e a Bangalore (India).

Alessandro Cavaciuti, manager engineering di Cisco Photonics

 

Convertitori optoelettronici e software di gestione per le trasmissioni al centro della attività di Cisco Photonics

Va subito chiarito che Cisco Photonics non produce fibra ottica. Si occupa invece, nel senso che studia le condizioni per migliorarne l’efficienza, dell’infrastruttura che si interfaccia con la fibra. Parliamo soprattutto di convertitori optoelettronici, cioè di dispositivi in grado di trasformare un segnale ottico in elettrico e viceversa. E del software di gestione che serve alla trasmissione del segnale. La tecnologia della fibra non è cambiata molto dagli anni Ottanta dello scorso secolo; ciò che è profondamente mutato è stato il modo di utilizzarla. La fibra è un sottile filamento vetroso o polimerico, all’interno del quale i dati non viaggiano come impulsi elettrici ma come punti di luce: ognuno di essi equivale ad un bit. Perciò è così importante per le connessioni di tipo digitale: basta convertire il segnale elettrico in uno luminoso e viceversa.

Secondo Cavaciuti, negli anni Novanta Pirelli ha inventato un sistema di amplificazione ottica, per trasmettere a grande lunghezza d’onda nello stesso cavo, accrescendo il segnale; tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, c’è stata poi un’altra novità: il digital signal processing, e cioè l’elaborazione numerica dei segnali. Il lavoro è svolto da particolari processori che digitalizzano impulsi molto rapidi; è ciò che ha consentito il passaggio dal modem 56 kbit/s all’Adsl – la linea asimmetrica di sottoscrizione digitale, quella utilizzata per l’accesso ad internet su doppino telefonico (un tipo di cablaggio).  Con questa tecnologia si arriva a velocità di trasmissione pari a  600 Gigabit per secondo, e ciò su una sola “lunghezza d’onda”, mentre in una fibra sola ne passano ben 96. Le reti costituite da nodi hardware collocati in parti diverse del globo e collegati tramite cavi di fibra sono essenziali per la digitalizzazione dell’industria, visto che questa comporta la trasmissione di enormi volumi di informazioni e per i le connessioni tra fibra e antenne nel 5G. A Expo 2015, ad esempio, erano stati posati ben 70 chilometri di cavi.

Laboratorio software del centro Cisco Photonics

 

I quattro driver di sviluppo legati alla fibra

Ci sono quattro driver di crescita, secondo Croci. Il primo è legato all’aumento costante della domanda di banda ultra larga. Della vicenda si era occupato l’anno scorso il Politecnico di Milano, con il noto “Rapporto sulla filiera delle telecomunicazioni in Italia”. Il traffico dati su fisso è aumentato di cinque volte in sette anni: se nel 2010 era pari a 3mila petabyte, nel 2017 era equivalente a 15.699 petabyte. È avanzato anche quello su rete mobile, di 13 volte, ma su scala più piccola: da 128 petabyte a 1676 petabyte, nello stesso arco temporale.

Il secondo driver che stimola la ricerca e lo sviluppo nel settore della fibra è senza dubbio il costo intrinseco delle operazioni di posa e di esercizio. È un punto centrale, sul quale torneremo a breve. Il terzo trend, invece, è quello della sicurezza. Le reti sono infrastrutture critiche, che presidiano non solo le industrie, ma anche altri settori fondamentali della società moderna, come la Sanità o la Difesa. Ma l’informatizzazione delle reti comporta pericoli. Secondo Croci, anche per le reti si parla sempre più di security by design, un approccio allo sviluppo di software e hardware che cerca di rendere i sistemi privi di vulnerabilità e impermeabili all’attacco, e ciò grazie a misure come test continui, salvaguardie dell’autenticazione e aderenza alle migliori pratiche di programmazione. Si lavora sempre più in base a standard internazionali, parametri che definiscono le procedure per l’implementazione di sistemi di controllo.

«Si pensi alle sequenze di boot – afferma Croci – e cioè all’insieme dei processi che vengono eseguiti da un computer durante la fase di avvio, in particolare dall’accensione fino al completo caricamento in memoria primaria del kernel (il software che ha il compito di fornire ai processi in esecuzione sul computer un accesso sicuro e controllato all’hardware) del sistema operativo a partire dalla memoria secondaria: se qualcuno dalla rete mette le mani su queste cose, è un grosso guaio». Assumono sempre più rilievo le tecnologie di encription, e cioè gli algoritmi di cifratura (talora “a blocchi”, come il modello americano Aes, Advanced encryption standard) che consentono il trasferimento sicuro dei dati dal punto A al punto B.

Marco Croci, vice presidente senior di ingegneria di Cisco

Va precisato che gli avanzamenti in termini di cyber security devono essere conseguiti senza appesantire le reti. Si fa l’esempio di Tim Safe Web, servizio realizzato in collaborazione con Cisco e integrato nella rete Tim. Unisce le tecnologie di Tim alle potenzialità della piattaforma di sicurezza cloud Cisco Umbrella, che a sua volta si avvale di un database delle minacce informatiche note a livello globale costantemente aggiornato. Senza la necessità di hardware specifico per le aziende clienti o di installare software sui loro dispositivi, cioè, si offrono funzionalità anti-phishing e di contenimento del malware. Grazie all’applicazione delle policy di sicurezza a livello del Dns (Domain name server), si possono bloccare le richieste di indirizzi IP pericolosi prima che si attivi la connessione.

Infine, c’è un quarto driver, che è l’automazione, e cioè la gestione automatizzata della rete. I sistemi che si stanno realizzando sono sempre più “intelligenti”, sempre più permeati dalla Ai, sempre più in grado di scoprire “da soli” i guasti e di individuare il luogo esatto dove l’interruzione si è verificata. E di comprendere, grazie alle nuove tecnologie, quando uno stop potrebbe verificarsi, dando il via ad attività di manutenzione preventiva e predittiva. È la rete del prossimo futuro.

Laboratorio software del centro Cisco Photonics

 

Solo gli investimenti in ricerca e sviluppo sulle nuove reti in fibra possono salvare le Telco dal fallimento

Si diceva dell’imperiosa crescita del traffico dati su fisso. Le Telco hanno investito pesantemente, 75 miliardi dal 2007 al 2017, ma secondo il citato “Rapporto” a ciò non è conseguito un ritorno economico. Si pensi che i ricavi lordi da rete fisa sono diminuiti del 27% nel periodo considerato, da 22,2 miliardi di euro a 16,2 miliardi. L’ebitda, il margine operativo lordo, è calato da 16,8 miliardi a 11,8 miliardi; di questi ultimi, tolto il capex (spese in conto capitale, e cioè l’ammontare di flusso di cassa che una società impiega per acquistare, mantenere o implementare le proprie immobilizzazioni operative, come edifici, terreni, impianti o attrezzature) e le licenze ne restano 2,9. Le cose, insomma, non vanno bene. Secondo Paolo Campoli, responsabile del segmento Telco di Cisco Europa, Medio Oriente ed Africa «normalmente una Telco spende tra il 15% e il 20% del fatturato per l’acquisizione degli apparati necessari alla sua attività, e fra il 60% e il 70% in costi operativi: all’interno di questi, quelli per far funzionare le reti valgono almeno il 30%. Insomma: il traffico cresce in maniera esponenziale, mentre i ricavi sono piuttosto piatti. O i costi operativi, e quelli legati alle reti sono altissimi, vengono contenuti, o altrimenti le Telco sono destinate a bilanci sempre più difficili da sostenere». Di qui lo sforzo di società come Cisco, nella miniaturizzazione e nell’efficienza energetica delle reti. Cisco in effetti investe 6,3 miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo, per garantire l’integrità end-to-end delle infrastrutture.

Paolo Campoli, direttore senior del segmento Telco di Cisco per Europa, Medio Oriente Africa e Russia

 

Il laboratorio di hardware

Abbiamo visto che Cisco produce convertitori optoelettronici. Questi vanno testati, per capire se i prodotti realizzati siano efficienti e rispondenti alle caratteristiche richieste dai clienti e per valutare possibili miglioramenti. I test sono per lo più svolti in maniera automatica, e cioè da remoto: nel laboratorio, che dispone di una strumentazione avanzata, sono presenti pochi tecnici. L’automazione, d’altra parte, garantisce l’efficacia e la ripetibilità dei risultati. È operativo uno strumento in grado di testare, da solo, 40 dispositivi al contempo. Un altro verifica la funzionalità dei convertitori al variare della temperatura, da zero a 50 gradi centigradi. Per leggere i risultati dei test, talora si ricorre a diagrammi “a occhio”, grafici che assumono questa forma tipica quando i segnali informatici (composti da serie di 1 e 0) vengono “ripiegati” per contenerli in uno spazio confinato. Possono sembrare complicati, ma tecnici esperti possono tuttavia interpretarli senza difficoltà. La distanza tra i due punti principali di un diagramma “a occhio” equivale a circa 36 picosecondi in ordine di tempo: cioè 36 millesimi di miliardesimi di secondo. Sono grandezze che si fatica ad immaginare, ma che le macchine possono cogliere.

Fibra

 

Il laboratorio di software

La multinazionale di San Jose dispone di un particolare software – Epn Manager – che consente a provider di telecomunicazioni di gestire la propria rete. L’argomento sarà approfondito in un apposito articolo di Industria Italiana. In via preliminare, possiamo anticipare che consente alle Telco di visualizzare i collegamenti, di valutare se i canali siano disponibili o saturi, di chiedere all’amministratore di rete l’ampliamento della “propria” con canali aggiuntivi. Permette di verificare real time se un certo percorso stia funzionando correttamente, o se ci sia qualche problema da risolvere. Anche questo software va testato, così come vanno testati i nodi che costituiscono una rete: si tratta di apparati hardware che collegano Paesi e continenti attraversati da cavi di fibra ottica.

Il laboratorio software del centro Cisco Photonics di Vimercate

Nel laboratorio di Cisco Photonics il rumore è molto intenso: l’hardware va raffreddato da ventole. Sono presenti 20mila Km di fibra, quasi due volte il diametro della Terra. Il software viene testato in configurazioni molto simili a quelle che riscontreranno le aziende clienti. I sistemi devono risultare resilienti ed efficienti, perché trasmettono centinaia di gigabit al secondo, e perché le interruzioni costano. Dunque il software e le infrastrutture sono oggetto di migliaia di prove svolte da remoto, anche da altri centri di Cisco in America o in Asia. Il laboratorio è attivo tutti i giorni, anche di notte.

 

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 13 novembre 2019)














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