Automazione, digitalizzazione e sostenibilità le nuove frontiere dell’industria fusoria

di Massimiliano Keller ♦︎ Con oltre mille imprese, il settore produce complessivamente 7 miliardi di euro di fatturato. La maxi commessa con Audi della bresciana Cromodora Wheels, che tra i clienti annovera Bmw, Volskwagen, Jaguar-Land Rover, Fca e Daimler

Fase di colata - Fonderie Palmieri. Fonte Assofond

La maxi commessa della Cromodora Wheels può essere un segnale di ripartenza per l’intero comparto delle fonderie italiane, che paga il doppio pegno dell’automotive in crisi e della Germania in affanno? «Abbiamo siglato con Audi un importante contratto di fornitura pluriennale per prodotti premium». Spiega il fondatore della società bresciana, Giancarlo Dallera, cavaliere del lavoro e già presidente dell’Associaziane Industriale Bresciana, meglio nota come Aib, una delle associazioni territoriali più influenti nel sistema Confindustria. «Per far fronte a questo impegno – spiega Dallera – l’azienda aumenterà la capacità produttiva dello stabilimento di Ghedi». Ma è già in programma l’apertura di un’ulteriore sede produttiva, entro il 2023, probabilmente in Europa centrale, tra Ungheria e Boemia, il sito preciso è ancora da stabilire.

Un secondo socio, Ermanno Pedrini, oltre mille dipendenti, 245 milioni di euro fatturati nel 2018 e, a fianco della già nominata sede italiana di Ghedi, lo stabilimento di Mosnov, in Repubblica Ceca, per una produzione complessiva di 4 milioni di tonnellate di cerchi in lega di alluminio per il settore automotive, installati soprattutto sui Suv. «L’avvio del nuovo stabilimento – conferma il numero uno del Gruppo – che sarà dotato delle tecnologie più avanzate, porterà a regime la nostra capacità produttiva annua a 5,5 milioni di cerchi». Sono queste le dimensioni di una multinazionale tascabile, che fornisce cerchi in lega di alta gamma a Bmw, Volskwagen, Jaguar-Land Rover e, in misura minore, Fca e Daimler. E di aziende come Cromodora Wheels ce ne sono tante tra il bresciano e il bergamasco, vedi infatti Brembo e Omr, che non sono solo fonderie, ma che realizzano i loro prodotti finali proprio a partire dal processo di fonderia.







L’industria di fonderia in Italia. Fonte Assofond

La sede di Ghedi è una specie di boutique, strutturata per la realizzazione, in volumi contenuti, di prodotti sofisticati dalle dimensioni particolari, ruote filoformate, diamantate, con trenta colori diversi. Dalla Boemia, a sua volta, vengono riforniti gli stessi clienti, ma per misure standard. Dopo il biennio 2017-18 molto positivo, in cui Cromodora ha messo in rete la maggior parte del piano triennale degli investimenti (con 80 milioni spesati, di cui 30 solo nel 2018), nel 2019 è arrivata l’onda lunga dell’industria tedesca in difficoltà. Le stime calcolano un rallentamento dell’8-10% dei volumi produttivi. L’affare concluso con Audi però può apparire come una pronta reazione. Bisogna capire se sia una questione limitata all’azienda, oppure se coinvolge tutto il comparto.

Il recente rapporto del Centro Studi Promotor prevede che le immatricolazioni in Italia nel 2020 supereranno i 2 milioni di unità, marcando quindi un aumento del 5% sull’anno appena concluso. È una proiezione che può indurre all’ottimismo anche i settori che fanno da fornitori all’automotive, fonderie incluse. Però si tratta di uno scenario limitato al nostro Paese.

 

Fonderie: di che si tratta?

Roberto Ariotti, Presidente Assofond. Photo credit Assofond

I cerchi delle automobili, la moka per il caffè, molte componenti per le pale eoliche, per i motori a reazione degli aerei o ancora per le macchine utensili. Cos’hanno in comune oggetti tanti differenti come questi e finalizzati a modi di impiego così palesemente distanti tra loro? Sono tutti manufatti realizzati secondo uno dei processi produttivi più antichi della storia. La fusione infatti risale a millenni prima che si potesse parlare di industria. Da allora e seguendo un lungo percorso di innovazione, automazione e sostenibilità ambientale, l’industria fusoria ha radicato le proprie radici nel made in Italy.

Oggi sono oltre mille le aziende che costituiscono l’industria di fonderia italiana. Con un fatturato complessivo di quasi 7 miliardi di euro e 29mila 400 addetti. Come Paese siamo secondi in Europa, dopo la Germania, per produzione di componenti metallici realizzati con la tecnologia della fusione. Le Fonderie di Torbole, le Mario Mazzucconi, 2A SpA, Ghial e Zml Industries, per citarne solo alcune, fra le più muscolose in termini di fatturato. Un’attività che si concentra prevalentemente nell’Italia settentrionale, nel Nord-est per essere più precisi, dov’è operativo il 25% delle imprese.

«Sostenibile, circolare, sociale. Così oggi è una fonderia e ancor più lo sarà in futuro». Lo spiegava il Presidente di Assofond, Roberto Ariotti, all’assemblea generale dell’Associazione. Una definizione, questa, che potrebbe esser presa come paradigma della cultura d’impresa dell’intero settore. L’industria di fusione infatti rappresenta un modello di economia circolare, che altri comparti produttivi stanno cercando di seguire. Le fonderie hanno sviluppato tecnologie in grado di accrescere l’utilizzo di materiali di recupero come materia prima per tutti i tipi di forno fusorio. Le percentuali vanno dalla quota più bassa del forno rotativo, dove i rottami costituiscono il 47% del materiale fuso, a quello elettrico, con il 75% circa di rottami utilizzati. Questo vuol dire impattare in maniera sensibilmente inferiore nelle attività di estrazione, trasporto e lavorazione del materiale estratto, quanto anche contribuire allo smaltimento dei rifiuti. Sempre nell’ambito dell’economia circolare, il 95% delle acque impiegate negli impianti è recuperata e riutilizzata.

Controllo tridimensionale – Zanardi Fonderie. Photo credit Assifond

A dare man forte a questa parte operativa, le imprese hanno imboccato da qualche anno la strada della tracciabilità del prodotto e della digitalizzazione dei processi. «Lavoriamo all’insegna della conformità con le norme Ue e della trasparenza», aggiunge Ariotti, che ci tiene a sottolineare la giustezza del Green New Deal, al varo in queste settimane e voluto espressamente dalla Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. «Va nella giusta direzione», commenta. «Nell’elaborazione dei progetti, soprattutto relativi alla componentistica, lavoriamo con i nostri clienti seguendo logiche Blockchain. Questo ci permette di assegnare al nostro prodotto una garanzia di sostenibilità ambientale e di sicurezza sul lavoro che non è esclusiva di ciò che avviene nei nostri stabilimenti, ma lungo tutta la filiera».

A questo proposito Assofond, a nome delle fonderie associate, ha sposato fin da subito il progetto Effige, un’iniziativa pilota finanziata dall’unità Life della Commissione Europea e coordinata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. L’iniziativa prevede la sperimentazione di un metodo di calcolo dell’impronta ambientale (Product Environmental Footprint, Pef) dei prodotti realizzati da alcune filiere rilevanti del Made in Italy. Utilizzando il metodo Pef come strumento di supporto al processo decisionale nelle aziende, Effige contribuisce a far comprendere alle aziende dove e come migliorare, rafforzando anche l’immagine dell’industria sul mercato finale, grazie all’introduzione di prodotti e servizi effettivamente eco sostenibili.

 

Un 2020 fluido. Troppo presto per preoccuparsi. Troppe incognite per non essere cauti

Controllo qualità – Fonderie di Montorso. Photo credit Assifond

Nei primi nove mesi del 2019 la produzione industriale delle fonderie italiane è calata del 4,5% rispetto all’anno precedente. «Si è trattato di una flessione importante», dice Ariotti, che elenca velocemente le motivazioni: «la frenata del commercio internazionale, la guerra dei dazi e le difficoltà dell’auto». E si concentra soprattutto su quest’ultimo punto, per spiegare che non è ancora possibile esporsi in previsioni davvero attendibili per l’anno appena iniziato.

«Il settore auto è certamente l’epicentro della crisi. È in corso un cambio rivoluzionario dei modelli in vendita». Aggiungiamo noi: oltre che dei modelli, anche dell’utilizzo della macchina in quanto tale. Zero emission, zero accident, zero ownership, per utilizzare il felice paradigma di Lukas Neckermann, nel suo “Mobility Revolution”. Il mercato insiste per l’elettrico perché meno impattante in termini ambientali. Anche se questa è una considerazione superficiale. Vuole sicurezza. Il che vuol dire sistemi di controllo altamente sofisticati, sempre più legati all’intelligenza artificiale, ma anche strutture sempre più robuste. Si dovrà quindi far ricorso a materiali più resistenti ed elastici. Spetta ai fornitori delle grandi case automobilistiche rispondere a questo flusso di novità, spesso contrastanti tra loro. Ma i desideri dei mercati, si sa, non sempre sono lineari e razionali.

Realizzazione di un’anima -FonderiediMontorso. Fonte Assofond

«Nei prossimi cinque, se non addirittura dieci anni – prosegue Ariotti – l’ibrido sarà sempre più dominante. Questo significa motori a doppia trasmissione, nei quali i componenti in alluminio continueranno a svolgere una funzione di primaria importanza». È sul fronte innovazione che si aprono quindi degli spiragli che il 2020 non sia un anno da dimenticare. «Lavoriamo nell’alta gamma, la nostra clientela è esigente e sempre più sofisticata. Siamo presenti in Paesi economicamente avanzati, dove il cliente è disposto pagare di più, pur di avere un prodotto di migliore qualità e che risponda ai propri standard di auto del Terzo millennio». Insomma, se l’auto può tornare a crescere, la fonderia c’è ed è pronta a fare altrettanto.














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