La lunga notte di componentisti auto e Oem

di Marco de' Francesco ♦︎ Parla Stefano Aversa (Alixpartners) fra più noti consulenti mondiali di strategie automotive. Il mercato auto, driver dell'industria mondiale, sta tentando una faticosa ripresa post-covid. Ma ci sono tante, troppe incognite. La capitalizzazione stellare di Tesla (700 volte gli utili!) potrebbe far crollare il titolo e danneggiare tutto il settore. La Ue col pacchetto "Fit for 55" dà troppo in anticipo il colpo di grazia al motore termico, rischiando di affossare molti componentisti. E poi le Gigafactory, le batterie, Fca e....

«Il fenomeno Tesla è uno dei più interessanti fra quelli sperimentati dal mercato automotive nell’ultimo decennio: è legato all’avanzata dei veicoli elettrici, che stanno raggiungendo il mass market e vedranno un poderoso aumento di vendite nel prossimo futuro. Tuttavia, occorre riflettere sulla valutazione del titolo che, com’è noto d’altra parte, sembra relativamente sproporzionato rispetto a utili e fatturato».

Lo pensa Stefano Aversa, uno dei consulenti più autorevoli al mondo nel settore automotive, nonché vice presidente globale e presidente Emea di AlixPartners, società di consulenza e di turnaround a livello globale. Il fatto è che il rapporto tra la capitalizzazione del carmaker green (655 miliardi di dollari, come il Pil della Svizzera) il fatturato 2020 (31,5 miliardi) e gli utili netti (690 milioni) è assai singolare: il primo valore è quasi 21 volte il secondo ed è 949 volte il terzo! Tesla è l’ottava società al mondo per marketcap, ma non risulta in nessuna classifica per aziende “most profitable”.







«C’e’ già stato  – continua Aversa  un adeguamento ai fondamentali del titolo Tesla che è cresciuto di circa 15 volte negli ultimi due anni; in compenso, anche gli altri titoli dei costruttori auto si sono finalmente apprezzati, con un raddoppio della capitalizzazione media nello stesso periodo». Il problema è che il mercato dell’auto green è attualmente alterato da fattori esogeni che tendono ad ampliarne incredibilmente le dimensioni e che incidono sulla valutazione dei titoli.   

Stefano Aversa, vice presidente globale e presidente Emea di AlixPartners

È vero che i carmaker globali si sono buttati a capofitto nell’impresa green, con un investimento che raggiungerà la cifra monstre di 330 miliardi di dollari entro il 2025, secondo le stime di AlixPartners, più o meno corrispondente al Pil della Danimarca; ma è anche vero che parte dell’operazione è finanziata dalle linee di credito aperte ai tempi del lockdown per tutt’altre questioni e rimaste inutilizzate a causa dei poderosi interventi governativi a sostegno di tutta l’economia, incluso il settore automotive.

Ed è soprattutto vero che i carmaker non vedono più altra forma di investimento: con il pacchetto di interventi “Fit for 55”, l’Unione Europea si prepara a dare il colpo di grazia al motore termico, anticipando i tempi alla fine di questo decennio. «Una sciagura», per Aversa, perché sarebbe troppo rapida e la sciabolata finale all’esercito di componentisti – tantissimi gli italiani – che per mestiere si occupano di impianti di scarico, sistemi di iniezione, parti specifiche per motori e cambi.

Non resta che produrre l’elettrico, ma è chiaro che questo passaggio richiederà cambiamenti ed investimenti importanti sulle tecnologie necessarie. Ad esempio, per fare l’auto green ci vogliono Gigafactory, e cioè fabbriche di batterie, proprio sul territorio, proprio vicino agli impianti di assemblaggio dei carmaker. Altrimenti questi dovranno accollarsi anche il costo ed i rischi del trasporto internazionale delle pesantissime celle, limando ancora di più i margini. Il governo italiano sta cercando un accordo con Stellantis per realizzarne una nel Belpaese, ma non è detto che la cosa vada a buon fine.

Tutto ciò secondo Aversa, che abbiamo intervistato.

  

D: Proprio l’altro giorno il titolo Tesla è lievitato sul Nasdaq, con un balzo del 4,5%. La domanda di auto di questo carmaker è praticamente esaurita, negli Usa. Ma Tesla è veramente il futuro dell’auto? È la Volkswagen del green?

Elon Musk. Di Maurizio Pesce from Milan, Italia – Elon Musk, Tesla Factory, Fremont (CA, USA), CC BY 2.0, commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38354348

R: Tesla è il pioniere, l’avanguardia; è chi ha investito prima e di più; ma ora anche gli altri costruttori si sono lanciati nell’impresa green: e la Volkswagen, da sola, si è impegnata per circa 110 miliardi di dollari. Finora, Tesla ha avuto campo libero, in assenza di una vera concorrenza, che però, prima o poi, si manifesterà.

 

D: Quanto alla valutazione di mercato, dal 2019 ad oggi quella di Toyota è passata da 74 miliardi di dollari a 247; quella di Volkswagen da 87 miliardi a 150; quella di Tesla da 38 miliardi a 655. Una crescita pari al 1600%. È normale?

R: «Si vede chiaramente che la capitalizzazione di alcune case automobilistiche “tradizionali” è raddoppiata, mentre quella di Tesla è letteralmente esplosa. Ora Tesla vale tre volte Toyota, che però, solo negli Stati Uniti, vende ancora sei volte le auto di Tesla e con buona profittabilità. È evidente che ciò pone diversi interrogativi».

 

D: Quali sono i dubbi a proposito della capitalizzazione di Tesla?

R: Normalmente esiste un rapporto tra la capitalizzazione e l’ebitda atteso di una società, almeno nel medio termine. Qui le attese sono stratosferiche e non è chiaro in che misura gli azionisti verranno remunerati sul capitale investito, fatto salvo il potenziale guadagno di breve dalle fluttuazioni del titolo; la profittabilità, con l’auto elettrica, è relativamente più bassa, anche nel settore premium, e saranno necessari ancora alcuni anni prima che i volumi siano paragonabili a quelli dei corrispondenti modelli con motori endotermici. 

 

D: Abbiamo citato l’investimento di Volkswagen nell’elettrico; quello complessivo dei carmaker sarà tre volte tanto entro il 2025. Quali effetti avrà tutto questo sul mercato dell’auto?  

La Volkswagen e-Golf sarà utilizzata nel servizio di chiamata sostenibile “Uber Green”

R: Nei prossimi cinque anni le case automobilistiche lanceranno almeno cento nuovi modelli; e nel 2030 il 24% delle auto al mondo sarà dotato di un propulsore puramente elettrica. La percentuale più alta si riscontrerà in Europa, con il 32%.

 

D: Quali sono le ragioni di questo colossale investimento nell’elettrico?

R: Due sono le ragioni principali. La prima una accelerazione di un trend di successo: nel 2020 le vendite delle auto elettriche o ibride ricaricabili sono triplicate – anche se si partiva da numeri davvero contenuti. Questo relativo successo è promosso con vigore da politiche governative sull’ambiente, che da una parte puntano sull’elettrificazione e dall’altra ostacolano i propulsori tradizionaliLa seconda è che, con i limiti di emissioni in vigore da quest’anno ed ancor più con l’EURO7, il mix di auto vendute dai produttori deve includere una percentuale crescente di auto elettrificate per evitare multe di decine o centinaia di milioni. D’altra parte, nel corso del 2020, sono state vendute solo 77 milioni di auto, con una Cina in leggera crescitaUSA nella media ed Europa in calo; nel periodo di lockdown, con il mercato azzerato, i carmaker hanno accumulato un debito aggiuntivo considerevole, pari a 72 miliardi di dollari. Questi soldi alla fine non sono stati spesi, grazie a risparmi, ma anche incentivi e ammortizzatori sociali  da parte degli Stati. Queste linee di credito non utilizzate, sono ora utili per accelerare la ricerca e gli investimenti nella produzione di auto green

 

D: A proposito di politiche sull’ambiente, il 14 luglio la Commissione Europea presenterà un pacchetto di interventi noto come “Fit for 55”.  L’obiettivo è quello della riduzione delle emissioni di gas serra del 55% al 2030. A quanto se ne sa, potrebbe essere inserita una norma relativa alle auto che mira alla diminuzione della CO2 del 60% a partire dal 2030, e del 100% a partire dal 2035. Quali effetti avrebbero queste iniziative per le case automobilistiche e per i loro supplier?

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea

RSi tratta di vedere come questi obbiettivi saranno tradotti in limiti per produzione delle autovetture, mpotrebbe significare la fine del motore termico, che avverrebbe anche prima del 2035, visto che i carmaker dovrebbero organizzarsi diversamente. E poi un effetto boomerang sulla produzione europea: si pensi soltanto ai cento stabilimenti che nel Vecchio Continente si occupano di powertrain per propulsori non elettrici: sarebbero costretti a riconvertire la propria attività o a chiudere. Ciò che sgomenta è il brevissimo lasso di tempo che l’Europa concederebbe per un cambiamento così epocale: mi sembrerebbe una forzatura, oltre che una scelta irrealistica e irrazionale.

 

D: Il pacchetto è fortemente sostenuto dalla presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen.  

R: Non è un problema di direzione generale, in buona parte condivisibile, ma di gradualità e tempi per salvaguardare l’importante filiera dellautomotive europea. E poi, l’elettrico non è la soluzione migliore in tutti i casi.

 

D: In quali casi l’elettrico non va bene?

R: Non funziona per i mezzi pesanti e per le lunghe percorrenze. Inoltre, un’auto green costa da 8mila a 11mila dollari in più di una a benzina. Una Tesla costa come una Bmw di gamma medio-alta, e questo ci sta; ma è irrealistico pensare che il consumatore spenda un terzo di più per una utilitaria. Anche se la spesa per la batteria sarà ammortizzata nel lungo periodo, perché l’energia elettrica è ad oggi più economica della benzina o del gasolio, in realtà la differenza di costo iniziale resta e dovrà essere attutita con offerte di noleggio a media e lunga durata. Inoltre, un’auto viene utilizzata solo per il 7% o l’8% della sua vita operativa. Per questo i costruttori hanno sviluppato offerte innovative per i consumatori e le aziende. Per esempio Renault ha lanciato Mobilizecon offerta di noleggio dvetture compatte e app dedicateIn futuro si potrà pagare con varie formule: a tempo, a consumo o persino con abbonamenti.

 

D: Sempre in tema di elettrico, c’è l’ipotesi di dar vita ad un partenariato pubblico privato tra lo Stato e Stellantis per la realizzazione di una Gigafactory, e cioè di una grande fabbrica di batterie per auto green. Il governo è pronto ad aprire il portafoglio per 600 milioni, ma l’ultima parola spetta al carmaker, che sul punto si esprimerà a luglio? Qual è l’importanza di questa partita?

Fca Mirafiori, ora Stellantis. Linea robotizzata per la produzione della 500 elettrica

R: È una partita di enorme rilievo: ogni Paese ambisce ad avere una o più Gigafactory, e questo per un insieme di motivi. Anzitutto, queste industrie sono fondamentali, se si vuole produrre automobili sul territorio. Una batteria è fatta di celle, che a loro volta compongono dei moduli e poi pacchetti. Se non si dispone di una Gigafactory nelle vicinanze, si possono acquistare le celle in estremo oriente e poi formare i pacchetti vicino agli assemblaggiMa la soluzione migliore per ridurre rischi e costi di trasporto è costruire fabbrica di batterie nei pressi del carmaker. E poi, la Gigafactory è destinata ad attenuare il calo di occupazione nel powertrain tradizionale. Non a caso le prime due Gigafactory annunciate da Stellantis sono in zone della Germania e della Francia dove sono ubicati stabilimenti powertrain dell’Opel e di Psa.   

 

D: Si farà la Gigafactory?

R: Spero di sì e più di una.

 

D: A proposito di Stellantis, sia in Italia che in Francia si teme per i livelli di occupazione. In Italia, ad esempio, a Termoli; in Francia a Douvrin. Che cosa accadrà?

R: Bisogna guardare in faccia alla realtà: in Europa la capacità produttiva è già ben superiore rispetto a volumi che non crescono. I carmaker sono chiamati ad essere particolarmente selettivi nell’allocazione del capitale. Una razionalizzazione delle attività si renderà necessaria. E in questo contesto l’Italia è sfavorita rispetto alla Francia. Ma non per questioni di campanile; il fatto è che diversi stabilimenti ex-Fca del Belpaese – come Mirafiori o Cassino – sono relativamente poco utilizzati. Con l’elettrico, questa situazione potrebbe peggiorare, perché dal punto di vista meccanico l’auto elettrica è relativamente più semplice di quella a motore termico. Si è detto che a Melfi si faranno due o tre vetture elettriche, ma su una linea sola a parità di occupazione.

 

D: Come ci si salva dall’eventuale razionalizzazione di Stellantis?

Cpm agv Profleet nello stabilimento di Mirafiori per  500 BEV2

R: Rendendosi “appetibili”. Ad esempio i sindacati, invece di fare battaglie di retroguardia, dovrebbero puntare a far allocare sugli stabilimenti piattaforme di volume e di successo: nessuno salva la fabbrica di prodotti invendutoE poi il governo deve trovare il coraggio di prendere delle scelte di politica industriale anche non gradite dai rappresentanti dei lavoratori.

 

D: Quali iniziative non gradite ai sindacati dovrebbe prendere il governo?

R: È vero che il ceo di Stellantis Carlos Tavares ha affermato che le fabbriche italiane sono troppo costose, appunto perché molte linee lavorano a ritmo ridotto; ma è anche vero che al Sud, con un sistema di gabbie salariali, si potrebbero rendere gli “impianti” più interessanti. Simili sistemi di calcolo delle retribuzioni esistono anche negli Usa: è ben diverso lo stipendio, in Michigan o in Tennessee. E poi c’è da neutralizzare un extra costo logistico, visto che le auto prodotte al Sud vengono verosimilmente vendute al Nord ed in Europa.  Il problema è che è un argomento tabù, e questo è un problema aggiuntivo per gli stabilimenti del Meridione.    














Articolo precedenteL’auto? Un computer con le ruote! Ma molti componentisti e oem falliranno
Articolo successivoÈ arrivato SEWy, il chatbot di Sew-Eurodrive per il supporto clienti






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui