Auto: l’insostenibile pesantezza del ticket ecobonus-ecotassa

di Marco de’ Francesco ♦ L’automotive, settore strategico del sistema  industriale, va male dappertutto per ragioni di carattere internazionale. Ma in Italia va peggio che altrove a causa delle nuove disposizioni legislative. Che succederà? Il punto di vista di due esperti:  Gian Primo Quagliano e Stefano Aversa

Perché in Italia le immatricolazioni – dati di gennaio alla mano – segnano il passo in misura quasi doppia rispetto alla media europea? Perché da noi pesa il caos generato sul mercato dal ticket ecobonus-ecotassa, norme scritte per favorire l’acquisto e di auto elettriche o ibride e disincentivare quello di vetture a motore termico. In realtà l’incertezza è destinata a perpetuarsi per tre ragioni: i beneficiari del bonus non sono tanti quanti i colpiti dal balzello; il malus va a impattare giusto sulle auto a benzina, lì dove si erano diretti mercato e produzione dopo la malaparata internazionale del diesel; l’elettrico è un’alternativa costosa per il consumatore, ed è un campo nel quale per ora l’Italia ha poco o niente da offrire. Il bonus-malus previsto dalla legge di Bilancio è operativo dal primo marzo. Allo stato, avvantaggia carmaker coreani, tedeschi e giapponesi. Ne abbiamo parlato con il direttore del centro studi Promotor Gian Primo Quagliano e con Stefano Aversa, vice presidente globale e presidente Emea della società di management consulting AlixPartners, che ha realizzato studi specifici sull’automotive.

 







Stefano Aversa, vice presidente globale e presidente Emea della società di management consulting AlixPartners

Un sistema poco equilibrato

«Quanto al combinato disposto eco bonus-ecotassa, sospetto che prevarrà il valore disincentivante – afferma Aversa -. Del resto, l’ecotassa si applica da valori di emissioni di anidride carbonica relativamente bassi; anche se è vero che poi ci sono diversi scaglioni, superati i quali aumenta il tributo». Per la precisione, nella prima fascia la tassa sembra colpire anche auto a portata di portafoglio medio. Il sito motor1.com inserisce nella lista, fra le vetture tricolori, l’Alfa romeo Giulietta 1.4 turbo 120cv, che ha un costo base di 26.500 euro. Nella seconda, terza e quarta fascia, invece, quanto a produzione nazionale, sono ricomprese auto più costose, come rispettivamente l’Alfa Romeo Stelvio AT8 Q4 Business (51.750 euro); l’Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio (85mila euro); e la Ferrari 488 3.9 Gtb Coupè Pista Dct (293mila euro).

Ora, è abbastanza evidente che chi compra una macchina come l’ultima citata non può essere demotivato dal balzello; ma per auto rientranti nella prima fascia l’imposizione può essere impattante.Quanto invece all’ecobonus, favorisce pochi. Questo, «sia perché si parte da una base di partenza molto bassa», con sole 301 auto elettriche immatricolate a gennaio 2019 e 8.514 ibride, che perché «gli incentivi sono finanziati con solo 60 milioni». Secondo Aversa, «avrebbe avuto senso recuperare soldi dall’ecotassa e ridistribuirli in egual misura con gli incentivi; così si è creato un sistema diseguale, più disincentivante che incentivante». Aversa si augura che «il quadro sia modificato presto, non appena i dati dimostreranno che l’esperimento non sta raggiungendo i risultati attesi».

 

 

Una centralina Bosch per il controllo delle emissioni diesel

 

L’ecotassa colpisce al cuore l’automotive, che stava reagendo al declino del diesel

In Italia nel 2017 erano state immatricolate più di 1,1 milioni di auto diesel; l’anno dopo, 978mila, a causa delle tante restrizioni che le amministrazioni locali hanno posto alla circolazione dei veicoli a gasolio.«È un mondo in cui l’assessore comunale incide sulle ragioni dell’industria» – commenta Quagliano. La percentuale sul parco autovetture era passata dal 56,5% al 51,2%, con un calo del 12,1%. Parabola inversa per i mezzi a benzina: da 628mila a 678mila, e quindi dal 31,9% al 35,5%, con un progresso dell’8%. Il gasolio era caduto in disgrazia agli occhi delle amministrazioni di mezzo mondo già dai tempi dello scandalo Dieselgate, che in realtà non riguardava le emissioni di ossido di azoto del diesel, ma un software per la manipolazione illegale dei dati relativi a queste in vista dei test di omologazione delle auto in Usa.

Nonostante ciò, e nonostante il fatto che il diesel sia molto più efficiente dei motori a benzina quanto a emissioni di Co2, il primo è stato ostracizzato. Mercati come quello italiano, dove l’alternativa elettrica riguarda una percentuale minima di consumatori, e dove i processi industriali non sono stati convertiti al green, avevano virato verso la benzina. «L’attacco al diesel – afferma Quagliano – ha colpito l’Europa, dove era molto diffuso. Stati Uniti e Giappone, dove di fatto non esisteva, hanno avuto gioco facile nel criminalizzarlo. La Cina, poi, è un grosso produttore di litio, che è un componente delle batterie: anche lei aveva interesse al declino del diesel. E ora il regolatore, anche in Europa, spinge sul passaggio all’elettrico».

In pratica: in termini industriali, in Europa, la benzina era un’alternativa credibile e possibile al gasolio in attesa che ci fossero le condizioni per la diffusione di veicoli green. «Invece – continua Quagliano – c’è stata una fuga in avanti con il ticket bonus-malus. Un’iniziativa inutile nella migliore delle ipotesi, molto dannosa nella peggiore». L’ecotassa, infatti, non colpisce il diesel, ma la benzina, che era diventata la temporanea ancora di salvezza del settore. Insomma, ora sono sotto scacco entrambi i driver dell’automotive tradizionale.

Esiste una problema europeo, ma l’Italia è un caso a parte, in negativo

Se guardiamo i dati, a gennaio le immatricolazioni sono scese del 4,6% in Europa, e del 7,5% in Italia. Quanto allo scorso anno, in Europa ci sono stati due periodi distinti; nella prima parte una crescita del 2,8%, nella seconda una decrescita del 3,3%. «Da noi – afferma Aversa – questa flessione è stata più imponente, tanto che alla fine abbiamo perso il 3,1% nel 2018». Secondo Aversa, c’entrano l’incertezza politica, quella economica, «e quella di mercato» dovuta non solo alle misure di bonus-malus in sé, ma anche «ai tempi rapidissimi con i quali sono state applicate, circostanza che le rende complessivamente più penalizzanti». La fuga in avanti, così precipitosa, non ha concesso all’industria la possibilità di organizzare contromisure. L’ha colta di sorpresa.

 

Gian Primo Quagliano, direttore del centro studi Promotor

 

Un’alternativa improbabile nonostante l’ecobonus

«Al momento – afferma Quagliano – il costo delle auto elettriche è troppo alto per il portafoglio medio; anche perché su di esse vanno spalmati almeno un po’ dei soldi spesi per la ricerca e sviluppo». Anche tra le ibride, quelle premiate dall’ecobonus sono le plug-in, e cioè quelle che dispongono di un propulsore a combustione interna, di un motore elettrico e di una presa di corrente. La parte innovativa è importante, e costa; e poi in Italia manca una rete di colonnine di ricarica. Ora è prevista una detrazione fiscale per chi installa impianti del genere; ma non sembra esserci una corsa alla realizzazione di questi macchinari. «Bisogna riflettere – continua Quagliano – sul fatto che in Italia c’è un parco macchine di 39 milioni di auto. La sostituzione in chiave green della parte maggioritaria di esso non è immaginabile neppure alla fine degli anni Venti del secolo in corso».

Quanto a prodotti e processi industriali, in Italia siamo in ritardo. «Speriamo che la produzione Fca della 500 elettrica venga confermata – afferma Aversa – e che abbia un costo al di sotto dei 30mila euro; perché in questo caso potrebbe essere leader di mercato sui prezzi. Altrimenti, tutta l’operazione non avrebbe un gran senso». Si è parlato di una versione elettrificata della Maserati Alfieri e di una Grand Commander, sempre elettrica per la Cina. Il piano industriale Fca prevede anche qualche modello di auto ibrida plug-in; ma dovrebbero uscire sul mercato nel periodo 2020-2022. Attualmente tra le prime 10 plug-in diffuse in Italia, non c’è nessuna marca nazionale: Hyundai, Kia, Bmw, Volvo, Mini, Audi, Mitshubishi, Toyota, Range Rover e Mercedes si contendono il mercato tricolore. Ed è singolare che l’ecobonus di un esecutivo anti-mainstream (quanto a soluzioni economiche e di bilancio) e tendenzialmente “sovranista” finiscano per incentivare l’acquisto di auto coreane, giapponesi e tedesche.

 

Tra le difficoltà alla diffusione dell’auto elettrica in Italia, la carenza nella rete distributiva specifica
Caos sull’ecotassa

Quanto all’ecotassa, il Sole 24 Ore riporta anticipazioni Dataforce sulle immatricolazioni di febbraio: il mercato indoor sarebbe calato del 2,34%; ma il 44,5% delle operazioni sarebbero state compiute negli ultimi tre giorni del mese, per evitare il balzello. Sempre per il noto quotidiano di economia, ci sarebbe stato peraltro un boom del 40% delle cosiddette importazioni parallele: si tratta di quelle auto immatricolate all’estero negli ultimi sei mesi e ritargate in Italia. Si è corso da matti perché questa operazione avvenisse prima dell’entrata in vigore della norma.

Che presenta peraltro alcuni aspetti non chiari. Di per sé, infatti, la misura si applicherebbe solo sul nuovo di fabbrica; questo però, solo in caso di acquisto in territorio nazionale. A quanto si capisce, però, se un italiano decidesse di riportare in Italia una macchina acquistata all’estero anche anni fa, dovrebbe pagare la tassa; e dovrebbe farlo anche se si trovasse nella condizione forzosa di immatricolare in Italia un’auto con targa estera, per effetto del recente giro di vite contro i “furbetti” delle targhe straniere; stretta realizzata con una norma del Decreto Sicurezza che ha colpito anche gli stranieri residenti in Italia da più di 60 giorni.

Gelo sull’ ecobunus

Quanto all’Ecobonus, sempre il Sole 24 Ore fa notare che nei primi giorni di applicazione non si è registrato alcun fermento. Neppure a titolo informativo. Peraltro, il Ministero dello sviluppo Economico ha aperto un sito specifico (ecobonus.mise.gov.it): tecnicamente, spiega il quotidiano, dovrebbe servire ai venditori per prenotare l’ecobonus una volta concluso il contratto; in pratica, però, per ora ci si può soltanto iscrivere, perché il decreto attuativo non è stato pubblicato. Questo però, non inficia il diritto del compratore che abbia effettuato l’acquisto dal primo marzo con un contratto che menziona l’ecobonus. La pratica va risolta dal venditore una volta attivata la piattaforma. Naturalmente, c’è il rischio che contratti relativi a compravendite precedenti l’entrata in vigore della norma vengano appositamente postdatati.

Chi ha comprato in passato un’auto che ora sarebbe tassata, ha un bene che vale di meno. Secondo Aversa, non c’è dubbio che il valore residuo di molte auto a benzina di fascia media e alta è stato penalizzato. «Quando si scrivono leggi di questo genere, bisognerebbe fare valutazioni di mercato più approfondite, per non danneggiare i proprietari delle vetture». Un fatto singolare, peraltro, è che «a gennaio le vendite delle auto sono scese di due cifre al Nord, mentre al Sud hanno retto. Questo perché ad essere preoccupata, per ora è la parte produttiva del Paese. È quella che soffre di più. Al Sud l’effetto è attutito, ma poi si farà sentire anche lì».

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Ecotassa ed ecobonus

Per capire meglio  bisogna anzitutto chiarire come sono state definite le due misure. L’ecotassa è strutturata in base alle emissioni di anidride carbonica, distinguendo quattro fasce: la prima, dal 161 a 175 grammi al kilometro, prevede un’imposizione di 1.100 euro; la seconda, da 176 a 200, una di 1.600 euro; la terza, da 201 a 250, una di 2mila; e la quarta, per tutte le auto sopra i 250 grammi al kilometro, una di 2.500 euro. L’ecobonus parte dallo stesso principio, indicando due categorie: per la prima, con emissioni inferiori a 20 grammi al kilometro (e quindi riferibili ad auto elettriche) è previsto un incentivo di 4mila euro, aumentati a 6mila in caso di contemporanea rottamazione; per la seconda, con emissioni tra i 20 e i 70 grammi al kilometro (e quindi ibride plug-in), è stata studiata un’agevolazione un più ridotta, 1.500 euro che diventano 2.500 sempre in caso di rottamazione.

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