Green, Cina, nuove geografie e… che cosa c’è nel futuro della siderurgia italiana?

di Laura Magna ♦︎ L’Italia importa commodity siderurgiche. L’import di Dri ha decuplicato i volumi tra il 2009 e il 2018, è crollato nel 2020 e si è ripreso nel 2021 (1,044 milioni di tonnellate). Ghisa e ferroleghe sono calate ed è stabile il rottame. Rischi per le commodity dell’acciaio: anomalie di prezzo, dipendenza da Ucraina e Russia, competitor mediterranei. Le soluzioni? Nuovi fornitori, materie prime alternative, portafoglio clienti internazionale, servizi di stoccaggio. Il punto con Siderweb

Tra le materie prime – tutte in forte stress per la rottura delle supply chain nella pandemia e poi per la guerra ucraina – ce n’è una, il rottame d’acciaio, che è un termometro dell’economia. «Se le industrie funzionano e c’è lavoro aumentano produzione, scarti di lavorazione e consumo di rottame. Se questi parametri sono in discesa è il sintomo di un’economia che rallenta». A dirlo è Massimo Pennacchio, amministratore delegato di Bicomet, società di Brescia che lavora e commercia rottami ferrosi e non ferrosi, laminati e prodotti siderurgici. Pennacchio è intervenuto a un evento online organizzato da Siderweb, insieme a Gianmichele Foglia, direttore commerciale di Metalleghe, altro gruppo del bresciano focalizzato nel commercio delle ferroleghe, con stabilimenti in Italia, Bosnia, Francia, Romania, che commercia ferroleghe.

La visione dei due manager è quella di chi, a monte della supply chain dell’acciaio, rileva i primi cambiamenti di tendenza e può dare indicazioni anche strategiche a un settore che in Italia è portante, con un fatturato complessivo di 47 miliardi di euro nel 2020 (-15% sul 2019) ma con un utile superiore del 22%. Il 2022 si è rivelato per la siderurgia un anno inaspettatamente complesso, caratterizzato da un boom di acquisti innescato dalla guerra (che ha avuto effetti per tutta l’estate, abbattendo i prezzi) e da un impatto fortissimo della bolletta energetica sulle marginalità già risicate delle industrie siderurgiche.







Fino ad oggi in cui l’Italia, che di commodity siderurgiche è un importatore netto, ha visto un aumento rilevante degli scambi di Dri, cresciuti negli ultimi 15 anni: si tratta del minerale di ferro che viene ridotto a ferro tramite gas naturale anziché carbonio, una tecnologia pulita che strizza l’occhio al trend della decarbonizzazione; ghisa e ferroleghe sono invece calate ed è stabile il rottame. È in sintesi il risultato dell’analisi del mercato italiano delle materie prime realizzata da Stefano Ferrari, responsabile dell’ufficio studio di siderweb.

 

L’Italia e le materie prime siderurgiche: boom delle materie più pulite (stabile il rottame)

Più nel dettaglio, «per quanto riguarda l’import di ferroleghe – afferma Ferrari – dopo il picco del 2011 c’è stata una netta discesa fino ai minimi del 2020 (489.196 tonnellate), prima della ripresa del 2021. Il trend appare però discendente, mentre, di contro, nei 15 anni l’export ha visto volumi sestuplicati». Opposta, invece, la situazione del Dri, che ha decuplicato i volumi tra il 2009 e il 2018 (da 147.249 a 1,245 milioni di tonnellate), prima di crollare nel 2020 e riprendersi nel 2021 (1,044 milioni di tonnellate). Il nostro Paese è storicamente un grande importatore di ghisa (nel 2021 i volumi sono stati pari a 1,393 milioni di tonnellate, in aumento sul 2020 ma ancora sotto il livello medio del 2014-2018). Il rottame nel corso del quindicennio è stato il prodotto più costante, con volumi medi all’import pari a circa 5,1 milioni di tonnellate annue, ma con un importante balzo avanti nel 2021 (6,5 milioni di tonnellate).

Per quanto riguarda l’import di ferroleghe dopo il picco del 2011 c’è stata una netta discesa fino ai minimi del 2020 (489.196 tonnellate), prima della ripresa del 2021. Il trend appare però discendente, mentre, di contro, nei 15 anni l’export ha visto volumi sestuplicati

I rischi per le commodity dell’acciaio ancora sul tavolo: anomalie di prezzo e dipendenza da Ucraina e Russia

Sul fronte degli elementi di rischio, Ferrari ne individua due. Il primo sono le anomalie del prezzo. «Storicamente tra rottame (lamierino) e tondo per cemento armato, il gap di prezzo si è sempre attestato sui 200 euro la tonnellata, mentre oggi viaggia a quota 700. Ma anche all’interno della gamma del rottame, si è verificata una rottura tra lamierino e torniture, con un picco del gap a 120 euro la tonnellata rispetto a una media storica di 40. Oggi questo differenziale è tornato sui 60 euro, bisognerà capire se si tratta di movimenti contingenti o di un nuovo assetto strutturale che segna una nuova era per l’acciaio da forno elettrico e i suoi input produttivi». La seconda voce di forte rischio è legata al conflitto ucraino. «Preoccupa la dipendenza dalle ferroleghe ucraine (13% del fabbisogno nazionale), dal Dri russo (87%) e dalla ghisa sia russa (30%) sia ucraina (51%), che chiaramente sono nell’occhio del ciclone».

Il Dri ha decuplicato i volumi tra il 2009 e il 2018 (da 147.249 a 1,245 milioni di tonnellate), prima di crollare nel 2020 e riprendersi nel 2021 (1,044 milioni di tonnellate)

Pennacchio (Bicomet): «Alla scoperta di nuove geografie per far fronte alla scarsità attuale e futura»

Massimo Pennacchio, amministratore delegato di Bicomet

«La guerra ucraina ci ha aperto gli occhi su quanto fossimo dipendenti per le materie prime dai Paesi dell’Est. Per rottame, Dri e ghisa dobbiamo trovare delle alternative». A dirlo è Massimo Pennacchio, amministratore delegato di Bicomet, società di Brescia fondata nel 1983 come attività specializzata nella lavorazione e nella commercializzazione di rottami ferrosi e non ferrosi per l’acciaieria e la fonderia. Con 3 impianti produttivi ubicati in Italia (San Zeno, Piombino e Cassano Maggiore), oggi l’azienda gestisce recupero (raccolta, cernita e stoccaggio) di materiali ferrosi e non e la lavorazione di laminati e prodotti siderurgici destinati alle industrie nazionali ed internazionali. Nel 2021 ha fatturato 335 milioni di euro, raddoppiando il valore del 2020. E anche per il primo semestre 2022 i numeri sono buoni, secondo quanto dice Pennacchio. «Subiamo gli effetti dei rincari energetici anche se non indirettamente: le acciaierie sono state costrette a produrre a singhiozzo e questo si è riversato sulla filiera degli approvvigionamenti. Si è generato nervosismo che ha creato forte volatilità sui mercati. Speriamo che nel 2023 si abbia un po’ di stabilità».

La svolta green della siderurgia costringe a ricercare nuove forme di acciaio

Ma il tema delle materie prime alternative resta cruciale, anche in vista della svolta green dell’acciaio, che renderà l’acciaio scarso con la produttività a ritmi normali. «Immagino che al Dri si affiancheranno altre tipologie che ancora non si conoscono. Difficile pensare di inserire la ghisa nei forni elettrici perché sarebbe un ritorno alla dipendenza da ciclo integrale, in contrasto con le politiche di decarbonizzazione europee». E assisteremo a un rafforzamento del trend di integrazione di commercianti di rottame da parte delle acciaierie.

Il rottame nel corso del quindicennio è stato il prodotto più costante, con volumi medi all’import pari a circa 5,1 milioni di tonnellate annue, ma con un importante balzo avanti nel 2021 (6,5 milioni di tonnellate)

Foglia (Metalleghe): «I competitor mediterranei pronti a erodere quote di mercato alle acciaierie europee»

Gianmichele Foglia, direttore commerciale di Metalleghe

Il contesto attuale è talmente incerto da rendere impossibile fare previsioni, secondo Gianmichele Foglia, direttore commerciale di Metalleghe, gruppo internazionale con sede nel Bresciano, a Flero, che commercia ferroleghe. E che ha stabilimenti in Italia, Bosnia, Francia, Romania, uffici e magazzini in diverse nazioni europee e clienti di tutta Europa. Nel 2021 ha fatturato circa 200 milioni di euro, in crescita dai 160 milioni del 2020. «L’auspicio è che per il 2023 si possano tornare a vedere una richiesta più stabile e un recupero delle quotazioni – dice Foglia – Ma siamo ancora in una fase in cui le direzioni cambiano in maniera repentina». Ma per Foglia è comunque quasi impossibile il ribaltamento degli extra costi a valle, che i fornitori devono affrontare anche perché nel contesto attuale non hanno visibilità: i contratti di fornitura si sono ridotti, passando da quotazioni semestrali a orizzonti mensili. «Dobbiamo offrire una sorta di servizio di stoccaggio, potenziando la struttura logistica per consegne più tempestive».

 

Nuovo portafoglio clienti internazionale e più flessibilità

Nel caso di Metalleghe, l’azienda ha rivisto il portafoglio clienti, passato da un 100% di Italia a un 30% di aziende nazionali, 60% di aziende europee e un 10% extraeuropee. «Con un focus – precisa Foglia – su Nordafrica e Turchia, mercati che investono e stanno crescendo. Con l’obiettivo dichiarato di conquistare le quote di mercato lasciate libere dal rallentamento delle acciaierie europee. L’Ue ha il dovere di tutelare le proprie realtà». E non lo fa, secondo Foglia, con le politiche di decarbonizzazione applicate alle ferroleghe. «I grandi produttori extra europei non hanno alcuna intenzione di abbandonare le tecnologie produttive attuali anche se impattanti. Come Metalleghe abbiamo avviato un progetto interno per mappare i fornitori che invece sono compliance alle richieste di tutela ambientale, al fine di poter garantire ai clienti materie prime certificate green».

Il nostro Paese è storicamente un grande importatore di ghisa (nel 2021 i volumi sono stati pari a 1,393 milioni di tonnellate, in aumento sul 2020 ma ancora sotto il livello medio del 2014-2018)

Recupero e riciclo: la crisi del consumo mette a rischio i volumi futuri

Domenico Rinaldini, presidente di Ricrea, il Consorzio Nazionale per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio

C’è un altro settore in forte rallentamento. È quello della raccolta di imballi in acciaio da avviare al riciclo. Lo afferma Domenico Rinaldini, presidente di Ricrea, il Consorzio Nazionale per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio. «Fino a luglio abbiamo segnato una crescita nell’acciaio ma anche in altre materie prime (come plastica e alluminio) di cui si occupa il Consorzio Conai di cui facciamo parte – spiega Rinaldini – Poco prima della pausa estiva c’è stata un’inversione di tendenza sul fronte del consumo, mentre sul fronte della raccolta degli imballaggi in acciaio non ci sono criticità. In un contesto simile, resta molto complesso fare previsioni sui prossimi mesi. Di norma per gli imballaggi industriali questo è un periodo di calma, ma stiamo notando un rallentamento superiore rispetto agli anni precedenti».

Il rallentamento della domanda è un trend europeo, i margini di calo sono nell’ordine del 10-12%, ed è plausibile che perdurerà per tutto l’inverno. «Nel medio termine questo potrebbe incidere sui volumi assoluti di raccolta», dice Rinaldini. Quello della raccolta e del riciclo è un tema importante nello scenario di scarsità che si prospetta. «Come Conai abbiamo stabilito delle maggiori premialità economica per il materiale che arriva al riciclo con una migliore condizione – spiega Rinaldini – Stiamo lavorando per certificare la percentuale di acciaio riciclato in un imballaggio vergine, in maniera che anche da parte degli utilizzatori ci sia la consapevolezza della circolarità del prodotto che vanno ad acquistare».

 

Uno sguardo sul futuro: segnali in arrivo dalla Cina

La Cina è senza dubbio un mercato di riferimento a livello globale, e quello che accade può dare una misura di cosa dobbiamo aspettarci anche in Occidente. Le attese sono di un calo del 5-6% a tutto il 2022 per produzione, consumo apparente e domanda degli utilizzatori finali delle materie prime. Ne è convinto Emanuele Norsa, analista di Kallanish che osserva come «i primi sette mesi dell’anno abbiano mostrato una contrazione importante in Cina. Le motivazioni vanno dalle restrizioni per l’emergenza Covid e dall’approccio attendista in vista del congresso del Partito Comunista da cui emergeranno i nuovi vertici di Pechino».

In Cina le attese sono di un calo del 5-6% a tutto il 2022 per produzione, consumo apparente e domanda degli utilizzatori finali delle materie prime

La reazione delle materie prime al crollo estivo della siderurgia di Pechino

Emanuele Norsa, analista di Kallanish

Nel mese di luglio si è osservato un crollo verticale nella redditività della siderurgia cinese che ha segnato un punto di cesura, a cui il mercato delle materie prime ha reagito con vigore. «Il minerale di ferro dopo una fase discendente immediata, si sta stabilizzando – spiega Norsa – mentre diversa è la situazione sul rottame per cui i prezzi restano su livelli molto superiori al pre-Covid, dopo un anno caratterizzato da una volatilità mai osservata prima, per effetto degli acquisti intermittenti da parte degli operatori turchi. Crediamo però che ci sarà una maggiore stabilità nella parte finale dell’anno». Le forniture di ghisa del Mar Nero restano molto importanti, mentre i prodotti finiti, barre, tondi, coils che vengono venduti all’industria auto o delle costruzioni principalmente, registrano una brusca frenata. La causa, spiega Norsa, sta nella combinazione di overstocking e calo della domanda. Una congiuntura quindi che ha squilibrato l’offerta rispetto alle richieste soprattutto sui piani. «Ma anche questo squilibrio dovrebbe rientrare – dice l’analista – il mercato a questo punto dovrebbe aver assorbito gli elementi negativi e acquisito qualche certezza, al netto di nuovi cigni neri che possono sparigliare di nuovo le carte in tavola».














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