Dalla UE regole dure sulle emissioni: la fine dell’acciaio europeo? E l’industria? Parla Carlo Mapelli

di Marco De' Francesco ♦︎ Il Cbam (Carbon border adjustment mechanism) è una tassa sul carbonio per alcuni beni importati da paesi al di fuori dell'UE. Un meccanismo che mette in difficoltà gli altoforni europei e avvantaggia quelli asiatici. La soluzione per i produttori in UE? Sostituire il carbone con metano o idrogeno. Ma siamo già in ritardo. E sulla situazione italiana... Ne parliamo con Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano

Marcegaglia Ravenna

«Con l’entrata in vigore del Cbam, l’acciaio primario europeo rischia l’estinzione, a causa del décalage previsto per le quote gratuite per le emissioni di anidride carbonica degli altoforni. A meno che non si riesca a sostituire il carbonio con l’idrogeno, il metano; ma per queste soluzioni siamo già in ritardo». Lo afferma Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano ed importante esperto di siderurgia. Peraltro, fino a maggio 2023 è stato consigliere designato di Acciaierie d’talia, l’ex-Ilva ora in amministrazione straordinaria costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia. Il riferimento è al Cbam, il Carbon Border Adjustment Mechanism. È un sistema europeo di aggiustamento che applica una tassa sul carbonio alle importazioni nel territorio comunitario di alcune categorie di beni realizzati in paesi extra-Eu.

Il problema, secondo Mapelli, è che l’accettazione di questo meccanismo è stata terreno di scambio con i paesi extra-UE, che hanno chiesto, come contropartita al loro consenso, il contenimento fino all’azzeramento delle quote gratuite di CO2. Queste però sono strategiche per l’altoforno: si teme che produrre acciaio con questa modalità in Europa costerà circa un terzo in più rispetto ad oggi, e che le imprese del Vecchio Continente finiranno fuori dal mercato. La soluzione è, come si accennava, nell’implementazione di tecnologie che consentano la sostituzione del carbone con il metano o l’idrogeno: minori emissioni, minore necessità di crediti. Il problema è che per adattare il 60% degli altoforni occorrono almeno 10 anni; per il 100% 15 anni; mentre il Cbam, ora in fase transitoria, entrerà definitivamente in vigore il primo gennaio 2026. Insomma, forse non ci sono i tempi.







Anche l’acciaio secondario, quello da forno elettrico, potrebbe incontrare dei problemi, in futuro. Il fatto è che “si nutre” di rottami, che ancor più potrebbero diventare oggetto di speculazione e di acquisti fatti da aziende di paesi che indebitamente ne sovvenzionano la compravendita. «La Commissione Europea è chiamata a vigilare contro queste pratiche che turbano il mercato» – afferma Mapelli.

Ricordiamo che la siderurgia è uno dei quattro pilastri della manifattura italiana, con grandi aziende quali Marcegaglia, Duferco, Feralpi, Acciaierie Venete, Arvedi e Acciaierie d’Italia, ovvero la ex Ilva.

D: Con l’entrata in vigore della Cbam si è anche stabilito un décalage nella concessione di quote gratuite per gli altoforni. Si teme che gli altoforni europei non reggeranno alla concorrenza di quelli asiatici. Condivide questa preoccupazione?

Secondo Mapelli, per adattare alle normative UE il 60% degli altoforni occorrono almeno 10 anni.

R: Per la verità il décalage è previsto in misura minore per l’acciaio secondario, in misura maggiore per quello primario. Sì, penso che gli altiforni europei potrebbero subire un ridimensionamento, o addirittura sparire. Questa è la loro sorte, a meno che non adottino delle tecnologie in grado di ridurre la loro impronta carbonica. Peraltro, questa misura è destinata a colpire anche gli altiforni extra-UE per la parte di produzione destinata all’Unione Europea. Per questo motivo anche i Cinesi stanno elettrificando la produzione di acciaio. Certo, la produzione globale cinese è destinata a diminuire; ma all’interno della loro quota aumenterà la parte realizzata con forno elettrico. La Cina, cioè, si prepara ad una contrazione dei valori assoluti; d’altra parte, l’intera economia di quel Paese sta entrando in una fase di sviluppo diversa, che obbliga Pechino a ripiegare sui consumi interni, dopo il periodo delle grandi esportazioni.

D: Quali effetti per l’industria? Con la siderurgia primaria si realizzano anche pezzi importanti per l’automotive, come quelli da stampaggio profondo. Per cui le quattro ruote europee si troveranno in una condizione di dipendenza dall’Asia quanto ad approvvigionamento di acciaio per le carrozzerie. Che ne pensa?

Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.

R: In effetti attualmente gli acciai di stampaggio profondo possono essere realizzati solo partendo da una quota significativa di metalli provenienti dalla riduzione dei minerali. Insomma, oggi questo genere di metallo si ottiene con l’altoforno. Ma esistono già delle tecnologie alternative per sostituire quelle basate sul carbone e quindi anche per produrre diversamente l’acciaio da stampaggio profondo.

D: Quali sono queste tecnologie?

R: Ad esempio, quelle legate all’utilizzo del gas naturale, dell’idrogeno, e anche lo smelting. Quest’ultimo è un processo metallurgico utilizzato per estrarre metalli puri da minerali o concentrati. È un metodo ampiamente utilizzato nell’industria mineraria per produrre metalli come rame, piombo e altri e può essere opportunamente declinato nella produzione siderurgica. Delle due l’una: o l’Europa è in grado di sviluppare e implementare queste nuove tecnologie o la sopravvivenza sia dell’acciaio primario che dello stampaggio profondo europeo sono a rischio. C’è anche un problema di tempi.

D: C’è un problema di tempistica nell’implementazione di queste tecnologie?

R: Razionalmente, occorrono almeno 10 anni per sostituire il 60% degli altiforni, e 15 anni per il 100%. Peraltro, si è perso tanto tempo, e così ne resta poco. Si poteva iniziare questa trasformazione nel 2015, o al massimo nel 2020. D’altra parte alcuni paesi hanno già iniziato.

Per centinaia di anni, l’acciaio è stato prodotto impiegando il carbone per rimuovere l’ossigeno dal minerale ferroso, emettendo enormi quantità di CO2. Tuttavia, ora Ssab si appresta a rivoluzionare l’intero settore con la tecnologia Hybrit, utilizzando l’idrogeno al posto del carbone per il processo di riduzione del minerale ferroso ed emettendo acqua anziché CO2.

D: Quali sono questi paesi che hanno iniziato ad implementare nuove tecnologie per l’acciaio primario?

R: La Svezia è all’avanguardia nella sperimentazione dell’uso dell’idrogeno per la produzione di acciaio primario, in una mossa verso processi più sostenibili e a basso impatto ambientale. Si tratta di sostituire il carbone. Una delle iniziative più note in questo ambito è il progetto Hybrit, una collaborazione tra Ssab (produttore di acciaio), Lkab (compagnia mineraria) e Vattenfall (azienda energetica). Hybrit ha già iniziato a produrre piccoli lotti di acciaio senza fossili e prevede una produzione su larga scala entro il 2026. Ma le prospettive non sono del tutto rosee, per via della questione dei costi. La Spagna, invece, ha iniziato a sostituire il carbone con il gas naturale. Lo ha fatto “sottotraccia”, ma in modo efficace e con un piano sostenibile e lo si vede sia in termini di contenimento dell’inflazione sia in termini di crescita economica. Così operando si ottiene una contrazione netta delle emissioni di anidride carbonica del 66% rispetto all’utilizzo del carbone. Ma, anche qui, la sfida è grande.

D: Secondo alcuni industriali di settore il Cbam, che costringe gli europei a spese enormi, non funziona bene. Sarebbero oggetto di valutazione all’ingresso solo i semi-lavorati, ma non i pre-finiti. E poi non è detto che se arriva in porto la barra d’acciaio, il funzionario doganale sia in grado di riconoscerla in quanto prodotto finito o non finito. Se invece della barra arriva poi un prodotto stampato, non si paga più niente.

Il forno ad arco elettrico di Tenova installato presso l’Acciaieria Arvedi. La siderurgia è uno dei quattro pilastri della manifattura italiana, con grandi aziende quali Marcegaglia, Duferco, Feralpi, Acciaierie Venete, Arvedi e Acciaierie d’Italia, ovvero la ex Ilva.

R: In realtà, il Cbam sta compiendo i primi passi in modo ordinato, e credo che i sistemi europei siano in grado di gestire il meccanismo che è stato disegnato. Attualmente siamo in fase transitoria, iniziata il primo ottobre 2023 e destinata a terminare il 31 dicembre 2025. Dunque la fase attuativa comincerà il primo gennaio 2026. Nella fase attuale, l’attività richiesta agli importatori per essere conformi alla normativa è principalmente di rendicontazione dell’impronta carbonica dei prodotti. Chi importa merci soggette a Cbam (o il suo rappresentante doganale) deve comunicare ogni tre mesi alla Commissione Europea la quantità di prodotti importati, insieme alle emissioni dirette e indirette di CO2 contenute in tali beni, e i costi delle emissioni, inclusi quelli relativi al carbonio eventualmente sostenuti nel Paese di origine. Queste dichiarazioni sono inserite in un registro digitale. Ora: possono esserci delle criticità, ma l’Eu ha le competenze per amministrare questo passaggio correttamente. Almeno nel caso dell’acciaio. Va ricordato infatti che il Cbam riguarda anche altre categorie di prodotto, come l’idrogeno, il cemento, i polimeri, l’alluminio, i fertilizzanti e l’elettricità. In questi casi, l’applicazione del Cbam è più complessa. Quanto alla questione dei prodotti finiti, l’Unione europea sta predisponendo misure per evitare l’importazione senza restrizioni di prodotti finiti (ad esempio un’automobile) realizzati con materie Cbam (ad esempio, alluminio e acciaio).

D: Ma perché i paesi extra-Eu dovrebbero accettare il Cbam?

R: In realtà, diversi paesi extra-Eu lo stanno già facendo, o lo hanno già fatto. Il consenso è frutto di una pattuizione: hanno accettato il Cbam perché ha appunto definito il décalage delle quote gratuite di CO2, insomma, dei certificati assegnati in Europa senza pagamento, che erano visti come penalizzanti dai produttori extra UE.

D: Quanto agli Ets, (Emission trading system), alla fine di ogni anno le aziende devono rendere abbastanza crediti per coprire le emissioni; se hanno inquinato più del previsto, possono acquistarne di aggiuntivi da altre che ne hanno in surplus. Il problema è che si consente alla finanza di intervenire in questo meccanismo: ci sono finanziarie che comprano a 30 e rivendono all’industria a 70. Ha senso?

R: Sarebbe corretto confinare il sistema degli Ets a soggetti industriali e manifatturieri, escludendo quindi le finanziarie. Ma al di là del fatto che vincolare lo scambio non è così semplice, in quanto questi titoli sono parte del patrimonio di una società, va anche sottolineato che sono state spesso le grandi imprese a vendere i certificati alle finanziarie, dopo aver abbattuto le proprie emissioni: hanno trovato questa soluzione più conveniente dal punto di vista economico. In un certo senso, hanno monetizzato i propri progressi ambientali.

D: Sulla scorta di tutto ciò, come valuta l’impatto del Cbam sul lungo termine per la siderurgia europea?

Per Mapelli l’impatto sulla siderurgia italiana del Cbam sarà minore rispetto a quello che subiranno le acciaierie di altri paesi europei.

R: A lungo termine è molto difficile fare delle previsioni. Penso però di poter dire che l’impatto sulla siderurgia italiana sarà minore rispetto a quello che subiranno le acciaierie di altri paesi europei. Infatti l’Italia è un paese che ha intrapreso da tempo la strada dell’elettrificazione di questo importante settore. Ci sono paesi, come ad esempio la Germania, dove l’acciaio primario, da carbone, è più rilevante, e quindi sono più esposti agli effetti di scomparsa dei titoli di emissione assegnati gratuitamente al Cbam. Per l’Italia, casomai, si pone un altro problema: quello delle forti tensioni che possono crearsi sul rottame e sull’approvvigionamento del pre-ridotto. Se l’Europa sarà in grado di creare le condizioni per un normale rifornimento di queste materie, per noi non ci saranno guai insormontabili, altrimenti ci saranno degli effetti negativi.

D: Quanto alla siderurgia secondaria, non si è mai riusciti a far riconoscere dall’UE il rottame come “materia prima critica”, oggetto di una tutela particolare.

R: Ciò è vero, ma i regolatori europei hanno ben presenti le criticità del rottame. Ci dovrebbe essere più sorveglianza per evitare che il rottame sia soggetto a distorsioni di mercato.

La produzione di acciai speciali in Italia è cambiata dal 2010 al 2022. I piani in acciai speciali hanno perso il 22% di output, mentre i lunghi hanno guadagnato il 25% nello stesso periodo, con il 2021 che li ha visti salire sopra la soglia dei 4 milioni di tonnellate.

D: Per gli industriali siderurgici italiani il risultato è che quest’anno 20 milioni di tonnellate di questo materiale europeo andranno ai turchi, che lo sovvenzionano a livello statale e poi lo rivendono a prezzi più alti sui mercati europei. Che ne pensa?  

Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco.

R: Penso che l’Eu dovrebbe essere pronta a colpire quei paesi che utilizzano gli aiuti di stato per rifornirsi di rottame. Ma poi sorge sempre il problema della triangolazione: si esporta verso Paesi che non fanno sovvenzioni, e poi il rottame finisce da lì in paesi che sovvenzionano con aiuti di stato l’importazione di rottame. Insomma, è un tema delicato, ma è giusto che la Commissione europea vigili con più attenzione.

D: Sulla scorta di tutto ciò come valuta il futuro della siderurgia italiana ed europea?

R: Quanto a quello italiano, vedo un quadro relativamente sicuro per il prossimo decennio e ciò grazie ai citati progressi nell’elettrificazione e nella generazione di anidride carbonica. Resta il tema delle dinamiche del rottame.














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