Rielezione di Trump? Frenerebbe la transizione energetica in tutto il mondo. Giulio Sapelli analizza con noi le ricadute del quadro geopolitico sull’industria

di Marco De' Francesco ♦︎ Nel mirino di Trump c'è infatti l'Inflation Reduction Act, che vale 370 miliardi di dollari e mira a ridurre l’inflazione orientando orientando i fondi verso energia pulita e auto elettriche. E a quel punto, l'UE sarebbe costretta a rivedere le proprie politiche green. Con Sapelli parliamo anche delle possibili ricadute industriali ed energetiche dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente...

«La rielezione di Donald Trump comporterebbe, se non l’arresto, il rallentamento della Transizione Ecologica. E non solo negli Usa, ma anche in Europa, dove si è puntato tutto sul Green». Parole di Giulio Sapelli, economista, storico e accademico torinese – già docente alla London School of Economics and Political Science nonché all’Università autonoma di Barcellona, a quella di Buenos Aires e a quella di Milano, dove era ordinario di storia economica. Già consulente di Olivetti ed Eni, è noto per le sue posizioni disallineate rispetto alla narrazione mainstream dei fenomeni economici e industriali. Il ragionamento di Sapelli riguarda l’ipotesi di una possibile rielezione di Donald Trump alle presidenziali del 5 novembre. Non è un’ipotesi astratta: secondo un recente sondaggio del Wall Street Journal, Trump è in vantaggio sul contendente ed attuale presidente Joe Biden in sei stati “in bilico” su sette; in pratica, sarebbe ad un passo dal successo. E Trump non ha mai fatto mistero della sua contrarietà alla Transizione Green al passo serrato, quella imposta da Biden. La prima “vittima” della sua politica potrebbe essere l’Inflation Reduction Act, la legge del valore di 370 miliardi di dollari volta a ridurre l’inflazione attraverso varie misure, tra cui l’orientamento dei fondi verso settori specifici dell’economia, come l’energia pulita e i veicoli elettrici. E di conseguenza alla fine anche Bruxelles sarebbe costretta a fare un passo indietro nelle proprie politiche green.

Giulio Sapelli, economista e accademico

Tutto l’entourage di Trump, nonché i suoi alleati repubblicani e la parte della finanza che lo sostiene, sono ferocemente contrari all’Inflation Reduction Act. I repubblicani, saltati a piè pari da Biden all’atto della firma, chiederanno a Trump di affossare la norma, se non come primo atto, il prima possibile. Con qualche possibilità di rafforzare la propria politica, visto che l’Inflation Reduction Act ha sollevato dubbi tra i lavoratori e i sindacati, preoccupati per i possibili cali occupazionali a lungo termine. Quali sarebbero i riflessi per l’Europa? Se gli Stati Uniti continuassero a produrre beni con un’elevata intensità di carbonio a prezzi più competitivi, ciò potrebbe ridurre la domanda di prodotti europei nei mercati internazionali, compromettendo le esportazioni e l’industria manifatturiera del Vecchio Continente. Inoltre, se gli Usa riducessero gli investimenti nelle tecnologie verdi e nell’energia pulita, potrebbero mantenere un vantaggio competitivo nei settori industriali tradizionali legati alle fonti energetiche non rinnovabili. Ciò potrebbe mettere sotto pressione l’industria europea.
Un altro importante effetto della rielezione di Trump sarebbe una maggiore suddivisione dei costi del sostegno all’Ucraina, impegnata nel conflitto con la Russia. È un altro caposaldo della politica di Trump: le spese della Nato e delle sue operazioni vanno spartite fra i Paesi aderenti, per lo più europei. Ciò impatterebbe sul debito pubblico di questi Paesi; e, in proporzione, il danno maggiore ricadrebbe sull’Italia, che è già indebitata fino al collo.







D: Trump: quali effetti avrà sulla nostra industria la sua possibile rielezione? Nuovi dazi?

Il presidente Usa Joe Biden. Attualmente, gode di un minore sostegno elettorale in sei dei sette stati chiave per le elezioni.

R: La rielezione di Trump, in effetti, non è per niente improbabile. Donald Trump attualmente si trova in una posizione di vantaggio rispetto al presidente Joe Biden in sei dei sette Stati considerati più competitivi per le elezioni. Ciò significa che secondo le attuali proiezioni e analisi politiche, Trump gode di un maggiore sostegno elettorale rispetto al suo avversario in questi stati; il che potrebbe avere un rilievo significativo sull’esito delle presidenziali del 2024. Direi che il primo impatto sull’industria europea potrebbe derivare dal fatto che Trump chiederà che il costo dello sforzo bellico in Ucraina non ricada sulle casse del Dipartimento di Stato americano, ma che anzi sia maggiormente condiviso con gli altri paesi della Nato, e quindi con i paesi europei. E ciò corrisponderebbe ad un vantaggio ridotto e al contempo ad un danno per l’Europa.

D: In che senso? Come la condivisione dello sforzo bellico può comportare un vantaggio ridotto e al contempo un peso per l’Europa?

Donald Trump è attualmente in vantaggio rispetto al suo avversario in sette stati chiave per le elezioni.

R: In casi come questo, l’industria bellica europea sarebbe maggiormente coinvolta. Questo comparto è sicuramente una risorsa; ma la sua mobilitazione non comporta un aumento dell’occupazione, visto che non c’è un’offerta sufficiente di lavoratori specialisti sul mercato. Politiche di questo genere, peraltro, hanno un forte impatto sul debito pubblico degli Stati coinvolti; e quello dell’Italia è già abbastanza ampio. Inoltre, l’investimento in armamenti certo non favorisce quello in altre attività, come i servizi pubblici o la ricerca.

D: Quali altri impatti sull’industria europea?

L’America First Policy Institute, organizzazione affiliata a Trump, hanno definito le politiche ambientali di Biden come “fantasie verdi apocalittiche”.

R: Ad esempio alcune figure di spicco nell’America First Policy Institute, un’organizzazione affiliata a Trump, hanno espresso forti critiche nei confronti delle politiche ambientali promosse dall’amministrazione Biden, definendole “fantasie verdi apocalittiche”. Hanno sottolineato l’importanza di avere condizioni regolatorie eque per tutte le fonti di energia, implicando che attualmente ci sia una mancanza di bilanciamento tra di loro. Pertanto, hanno indicato la necessità di abolire le disposizioni sull’energia e sull’ambiente contenute nell’Inflation Reduction Act – appunto per raggiungere questa parità regolatoria.

D: E tutto ciò cosa può implicare?

R: In caso di vittoria di Trump, i suoi alleati repubblicani si concentreranno sull’abrogazione o sulla revisione di questa legge, che è stata firmata da Biden senza il loro sostegno e che ed è stata definita da alcuni di loro come una “grande sconfitta”. Ora, l’Inflation Reduction Act è orientata verso il sostegno a progetti legati all’energia pulita e ai veicoli elettrici. Con un’agenda politica più conservatrice, i repubblicani cercheranno di favorire maggiormente le fonti tradizionali. E ciò non potrà non avere un impatto anche sulle politiche europee, visto il grande peso che gli Usa hanno in Europa e nel mondo – sia per l’industria che per la finanza.

D: Queste politiche conservatrici sulla Transizione Green sarebbero un male, per noi?

Biden mentre firma l’Inflaction Reduction Act. Una legge del valore di 370 miliardi di dollari volta a ridurre l’inflazione orientando fondi verso settori specifici, come l’energia pulita e i veicoli elettrici. (Fonte: Wikipedia)

R: Possono ritardare la Transizione Green – che però ha avuto un risvolto negativo sullo sviluppo dell’economia mondiale. La Transizione, del resto, non è stata gradita da alcuni settori industriali né in Usa né in Europa, perché è l’effetto di scelte prese dall’alto, senza che l’industria sia stata nemmeno consultata. Eppure c’erano tante cose di cui discutere: non c’è dubbio che la Transizione comporti costi aggiuntivi, rischi di dislocazione, vincoli normativi, perdita di competitività e preoccupazioni per l’occupazione. Per la verità, non sono stati coinvolti neppure i lavoratori. E in America i sindacati sono molto preoccupati, perché si sono accorti che l’offerta iniziale di posti di lavoro per le infrastrutture green c’è, ma che poi queste possono essere gestite da una piccola frazione di lavoratori. Inoltre, non è sfuggito loro che la maggior parte delle fabbriche di batterie per veicoli elettrici, pannelli fotovoltaici e altre fabbriche annunciate dall’approvazione dell’Inflation Reduction Act si trovano in stati con leggi che rendono più difficile la sindacalizzazione. In Europa, invece, i sindacati dicono che non c’è una transizione giusta senza il coinvolgimento dei lavoratori; il che è vero, ma i giochi sono già stati fatti dalla Commissione Europea.

D: Perché Trump è così avversato dalla finanza internazionale, che ha sempre sostenuto i suoi avversari?

R: Siamo sicuri che sia davvero? Trump è certamente avversato dalla finanza più visibile, quella telegenica, quella che va a braccetto con lo star system; ma c’è una parte meno visibile che sta con Trump. Direi che una fetta consistente della ricchezza americana appoggia Trump.

D: Come finirà la vicenda di Israele? Come inciderebbe l’elezione di Trump?

R: Come finirà, è difficile dirlo. Cosa possa fare Trump, sinceramente non lo so: siamo nel vivo di un’epoca di accettazione del genocidio. Si pensi al conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, che ha avuto luogo tra il 1988 e il 1994. Questa guerra, che i più neppure conoscono, ha causato vittime tra le popolazioni civili di entrambi i paesi. Ci sono state segnalazioni di violenze e atrocità commesse da entrambe le parti, inclusi attacchi contro villaggi e civili. È un esempio fra tanti. Ora accade che da una parte la gente fatichi a distinguere tra Hamas e la Palestina, dall’altra si tende a sottovalutare che l’aggressione di Hamas del 7 ottobre, nel cuore di Israele, aveva come obiettivo lo sterminio degli Ebrei. C’è un odio crescente verso Israele.

D: Come si manifesta questo odio crescente contro Israele?

Alla Cina e all’Iran importerebbe meno di Israele se quest’ultimo non fosse coinvolto nel trasporto di petrolio e gas naturale attraverso condotte. Una delle principali rotte è rappresentata dal gasdotto Eilat-Ashkelon, che collega il porto di Eilat sul Mar Rosso al porto di Ashkelon sul Mar Mediterraneo.

R: L’Iran, la Cina, vogliono far fallire gli Accordi di Abramo, una serie di patti diplomatici che sono stati firmati nel settembre 2020 tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, sotto la mediazione degli Stati Uniti. Questi atti hanno stabilito la normalizzazione delle relazioni tra questi Paesi, e rappresentano un importante sviluppo nelle dinamiche geopolitiche del Medio Oriente. In realtà, alla Cina e all’Iran importerebbe meno di Israele se quest’ultimo non fosse coinvolto nel trasporto di petrolio e gas naturale attraverso condotte. Una delle principali rotte è rappresentata dal gasdotto Eilat-Ashkelon, che collega il porto di Eilat sul Mar Rosso al porto di Ashkelon sul Mar Mediterraneo. Questo gasdotto è stato utilizzato per trasportare petrolio e gas naturale dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa e altre destinazioni internazionali. Inoltre, Israele ha sviluppato anche infrastrutture per l’esportazione di gas naturale dalla sua piattaforma offshore nel Mar Mediterraneo, come il gasdotto Leviathan, che trasporta gas verso l’Egitto e potenzialmente verso altri paesi della regione. Le ambizioni di Iran e Cina sono tipicamente imperialiste. Parallelamente all’odio per Israele cresce l’antisemitismo, un po’ in tutto il mondo. L’antisemitismo è un’antica forma di idiotismo contadino che si è riversato sulle città.

D: Trump però ha affermato di poter svolgere un ruolo forte per far terminare la guerra in Ucraina.

R: E come potrebbe fare? Trump è un’espressione dell’imperialismo riluttante che caratterizza la politica degli Stati Uniti da qualche anno a questa parte.

D: In cosa consiste l’imperialismo riluttante degli Usa?

R: Gli Stati Uniti non hanno più la stessa capacità di leadership mondiale del passato. Ciò va attribuito ad una serie di fattori, tra cui la crescente complessità del contesto geopolitico internazionale, i cambiamenti nelle dinamiche di potere globale e le sfide interne che gli Usa devono affrontare. In ogni caso, Washington agisce come una potenza dominante a livello mondiale, ma mostra riluttanza nell’assumersi pienamente le responsabilità associate a tale ruolo. In buona sostanza, pratica l’unilateralismo, cioè prende decisioni e intraprende azioni senza coinvolgere o consultare altri attori internazionali. Questo comportamento porta spesso gli Usa a fare un passo indietro quando vengono richiesti di assumersi responsabilità globali. Con Trump le cose andrebbero peggio, sotto questo profilo; e appunto per questo non farebbe niente per l’Ucraina.

D: E allora, come se ne esce?

R: Con il ritorno della diplomazia. Può aiutare a negoziare soluzioni politiche sostenibili che tengano conto delle preoccupazioni e degli interessi di entrambe le parti. Ciò potrebbe includere la definizione di un accordo di cessate il fuoco, la creazione di zone cuscinetto o la ricerca di una soluzione politica più ampia che affronti le questioni fondamentali del conflitto. Ma, in qualche misura, bisognerà tener conto anche dello status quo e delle rivendicazioni russe sulla Crimea. Non si fa niente, con la diplomazia, senza partire da una base realistica.














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