Dietro le parole di Tavares: veramente qualche stabilimento Stellantis è a rischio se non arrivano aiuti? Ne parliamo con Stefano Aversa, Alixpartners

di Filippo Astone ♦︎ Per il superconsulente, gli stabilimenti italiani del colosso italo-francese non sono a rischio e non c’è alcun ricatto. L’auto elettrica è incentivata ovunque. Occorre però una politica industriale che faccia crescere la componente più importante dell’auto nei prossimi anni: il software. E bisogna investire su ricerca e sviluppo, e infrastrutture. Portare in Italia Tesla o un altro produttore di automobili sarebbe molto positivo, ma non sarà facile. In ogni caso, i volumi di auto prodotte in Europa caleranno e i car makers come Renault, Volkswagen e Bmw quindi...

Carlos Tavares, ceo di Stellantis

«L’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel nostro Paese. Si tratta di un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia». Così il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, all’agenzia Bloomberg. Parole che hanno provocato un fiume di polemiche, interpellanze in Parlamento, dichiarazioni di ministri, ore di trasmissioni televisive. Che l’auto elettrica, essendo molto più cara di quella termica, abbia bisogno di essere sussidiata per poter essere venduta è cosa nota. E non a caso in Francia e Germania ci sono piani di incentivi, a tutto il mercato, ben più generosi di quelli italiani. Detto questo: che cosa significano esattamente le parole di Tavares? Come vanno interpretate? Qualche giorno dopo le polemiche ne abbiamo parlato con Stefano Aversa, managing director della società di consulenza Alixpartners per l’Europa e, soprattutto, fra i consulenti di strategie in tema di automotive più noti e autorevoli nel mondo. Aversa, che Industria Italiana ha intervistato più volte, è noto per la sua franchezza, per non fare giri di parole, per manifestare chiaramente la sua opinione anche quando sono in gioco aziende con cui ha lavorato. E, forse, anche per questo è considerato autorevole e viene molto ascoltato.

«La polemica su Stellantis a mio avviso va abbassata», dice Aversa. «Io non credo che gli attuali stabilimenti italiani possano essere a rischio. Tavares parlava in inglese, che non è la sua lingua madre, ed è stato a sua volta tradotto, magari enfatizzando le cose. E probabilmente gli è anche scappato qualcosa in più rispetto a quello che voleva effettivamente comunicare. Guarderei piuttosto il lato positivo emerso con tutta questa vicenda».







D: Lato positivo? Quale?

Per la prima volta da molti anni c’è un tavolo con dei sotto-tavoli che cerca di fare una politica industriale per far restare in Italia quel che resta dell’automotive o, addirittura, farlo crescere.

Stefano Aversa (Alixpartners)

D: Già. Politica Industriale. Ce ne sarebbe un gran bisogno, io personalmente la invoco da anni, anche con dei libri che ho scritto. Che sia finalmente la volta buona? Ne hanno parlato i ministri Urso e Giorgetti. Chissà… Ma come dovrebbe essere?

Il mondo dell’auto sta cambiando, è sotto gli occhi di tutti. La nuova direzione è quella dell’elettrico, ovviamente, e sotto questo profilo l’Italia è già indietro, e difficilmente recupererà il terreno perso rispetto ad altre economie. Le competenze maturate metalmeccaniche, che sono uno dei punti di forza dell’automotive made in Italy, sono molto importanti, ma a tendere avranno un peso sempre minore. Per guardare al futuro bisogna puntare all’elettronica e soprattutto al software, che fra 10 anni sarà la parte più strategica e a maggiore redditività di tutta l’industria automobilistica. Servono investimenti in ricerca e sviluppo e iniziative che facciano crescere queste competenze.

Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha recentemente incontrato John Elkann. Secondo Aversa, gli stabilimenti italiani non sono a rischio. Ma serve potenziare le infrastrutture. E puntare su nuove competenze

D: Stellantis, però, chiede (ancora) aiuti statali. E viene lecito chiedersi se sia giusto, considerando che a tutti gli effetti oggi è una società francese e che il governo oltralpe, tramite Bpi, ne controlla il 6,1%.

Gli aiuti – quelli al mercato e non certo a un singolo soggetto – sono una misura temporanea che serve ad abbassare le valli della domanda e a normalizzare Il mercato – spiega Aversa – ma sono anche una droga a cui non bisogna abituarsi. Gli aiuti veri, quelli strutturali, quelli che servono a creare competenze e investimenti, dovrebbero essere i sostegni agli investimenti: occorre lavorare su quelli. Sarebbero importanti incentivi su R&S, formazione, riqualificazione del personale. Oltre a quelli sulle infrastrutture per assicurare che posti come Melfi abbiano delle strade di collegamento migliori delle attuali, che ci siano dei punti intermodali, che ci siano porti.

D: Uno dei motivi per cui l’auto elettrica stenta a prendere piede (dopo l’euforia iniziale, la domanda in Europa e soprattutto Italia è in calo) è l’elevato prezzo. Difficile chiedere ai consumatori di pagare il doppio rispetto a un’utilitaria con motore termico. In questo senso, gli aiuti di Stato potrebbero avere un effetto positivo, abbattendo i costi per gli utenti finali.

Linee di montaggio a Mirafiori. Attualmente la produzione è ferma per due mesi e 2.000 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione.

Non solo hanno senso, ma sono particolarmente importanti per questa fase iniziale della transizione. Tuttavia sul lungo termine, non possono reggere. E da qui al 2030 dovranno diminuire tantissimo. Venendo al prezzo delle auto, non solo i modelli elettrici costano di più, ma anche quelli termici sono aumentati molto, con la recente inflazione.

D: E quindi, che cosa devono fare i car maker?

Abituarsi a lavorare su volumi inferiori a quelli soliti. Noi in Alixpartners prevediamo che difficilmente nei prossimi anni si tornerà alle quantità di auto prodotte e vendute del 2019, cioè al pre-covid. Noi prevediamo un mercato europeo e in particolare dell’Europa Occidentale, che diminuirà del 2/3% l’anno per i prossimi 10 anni. Ma questa non è una tragedia. Anche con meno quantità di veicoli prodotti, gli Oem possono continuare a essere profittevoli e a rappresentare la spina dorsale dell’industria e di tutta l’economia in Europa. Anche perché i margini aumenteranno.

D: A proposito di politica industriale, il Governo ha dichiarato di lavorare per portare a produrre in Italia un grosso car maker. Magari Tesla, che dopo aver concordato un grosso impianto di produzione in Germania, ha dichiarato di voler costruire un ulteriore stabilimento in Europa. Oppure potrebbe arrivare un grande car maker cinese.

Il governo ha annunciato l’intenzione di portare in Italia la produzione di un importante car maker. Si parla della Tesla di Elon Musk, ma anche di produttori cinesi.

È sicuramente possibile. Ma dipende dalla capacità di essere convincenti». La Germania lo è stata, nonostante alcuni problemi. E anche l’Italia ha molto da dire, a partire da una forza lavoro qualificata e non eccessivamente cara, e un indotto che vede molte realtà eccellenti dal punto di vista tecnologico. Pesano però i costi fiscali e sociali, che rendono il Bel Paese meno competitivo di altre realtà UE, Spagna in primis. Per convincere un carmaker a portare da noi la produzione bisognerebbe lavorare sulle infrastrutture. Proporre zone dove sia possibile realizzare nuovi stabilimenti produttivi in tempi brevi. Oppure riconvertire gli impianti esistenti. Non è semplice. Ma si può fare.

Interni dello stabilimento Tesla a Berlino. Per spingere un car maker come Tesla a portare la produzione in Italia, bisogna essere convincenti. La Germania ci è riuscita

D: E comunque perché non un cinese in fondo? Personalmente penso che ci siano molte preclusioni insensate verso i cinesi. In fondo, quando hanno comprato fabbriche in Europa, penso al fortunato caso di Candy rilevata da Haier, le hanno fatte crescere, hanno investito, hanno assunto operai. Allora perché avere preconcetti negativi?

Non mancano barriere psicologiche all’ingresso di realtà cinesi in Italia, certo. Ma forse non è questo il nodo centrale. Ciò che è davvero importante è produrre auto che siano competitive. Auto che si vendano. Costruire uno stabilimento serve a poco se poi non ci sono volumi adeguati. Anzi: diventa un boomerang.

 (Ha collaborato Alberto Falchi)














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