Packaging: sfide, opportunità e ostacoli di un cardine della manifattura italiana

di Marco de' Francesco ♦︎ Con 8 miliardi di fatturato, i costruttori nazionali di macchine confezionatrici sono sul gradino più alto del podio globale. E il settore, secondo Ucima, crescerà ancora a ritmo sostenuto grazie a digital transformation, automazione avanzata e IoT. La maggiore concentrazione di stabilimenti produttivi è nella Packaging Valley, distretto emiliano che conta nomi quali Ima e Tetra Pak

C’è un settore industriale dove l’Italia domina la scena mondiale. Con otto miliardi di fatturato, i costruttori nazionali di macchine per il packaging hanno messo tutti in fila, Germania compresa. Il comparto è uno degli architravi della manifattura del Belpaese, insieme alla componentistica per auto, alla farmaceutica e alla chimica. La più alta concentrazione di stabilimenti produttivi è nella Packaging Valley, distretto emiliano cresciuto per gemmazione da impresa madre a imprese figlie grazie a operai che si sono “messi in proprio” nella seconda metà del secolo scorso: conta “nomi” come la Ima di Ozzano dell’Emilia e la Tetra Pak di Modena. Per il 2020 e per il 2021 l’associazione italiana dei Produttori, Ucima, prevede una crescita sostenuta, con un rialzo medio annuo dell’export pari al 3,1%.

Riusciranno le nostre imprese ad approfittare delle chance di mercato? Dipende. Ci sono due sfide da affrontare. Anzitutto, l’adeguamento tecnologico. La customizzazione di massa si fonda sulla capacità delle imprese di offrire prodotti e servizi personalizzabili.Ciò però determina la riduzione quantitativa dei lotti. Occorre produrre macchine che sappiano realizzare confezioni a misura di azienda-cliente. Poi la sostenibilità. Il mercato è sempre più orientato verso l’imballaggio eco-friendly e verso la riduzione degli sprechi. Anche qui, il packaging va riprogettato.







E poi ci sono due ostacoli da superare. Anzitutto, la tassa sulla plastica, esempio di politica “tafazziana” che rischia di colpire, seppure indirettamente, un’eccellenza del Made in Italy. Infine, le continue turbolenze geopolitiche in diversi mercati, i dazi e le tensioni commerciali a livello internazionale. Ne abbiamo parlato con il direttore di Ucima (propriamente: Unione costruttori italiani macchine automatiche per il confezionamento e l’imballaggio) Paolo Gambuli.

  

La situazione attuale: l’Italia, superpotenza del settore, ha messo in fila pure la Germania

Il mercato del packaging. Fonte Ucima

Nel 2019 il settore delle macchine per il packaging ha fatto registrare una buona crescita, pari all’1,9% sull’anno precedente: del balzo di fatturato abbiamo già detto, così come di quello del Belpaese in cima alla classifica mondiale di comparto. «Abbiamo superato per un buon miliardo anche la Germania, il nostro storico concorrente – afferma Gambuli – e ora noi e i tedeschi facciamo circa la metà delle revenue a livello globale». Negli anni, siamo diventati la superpotenza di comparto. È un settore fondato largamente sulle esportazioni – che rappresentano il 78,6% del fatturato complessivo – e che sono aumentate dell’1,4%, raggiungendo il valore assoluto di 6,3 miliardi. Anche il mercato interno è cresciuto molto, del 3,2%, per un totale di 1,7 miliardi. Tornando all’export, i Paesi più importanti per i produttori italiani sono gli Stati Uniti (11,6% del valore delle esportazioni di comparto), la Francia (7,6%), la Germania (5,8%), la Cina (5,5%), la Spagna (4,6%) e il Regno Unito (4,3%). Come per altri settori nazionali, si assiste al prevalere numerico delle Pmi: su 631 aziende, solo 27 hanno un fatturato superiore a 50 milioni

In Italia le imprese sono per lo più dislocate in Emilia-Romagna, in Lombardia, Piemonte e Veneto, regioni che assieme rappresentano più dell’80%  delle unità di comparto. Tra le società più importanti, la G.D. di Bologna; le già ricordate Ima e Tetra Pak; le parmensi SidelCft e Ocme; il gruppo Marchesini di Pianoro (Bologna); il gruppo Aetna di Verucchio (Ravenna) e la Fava di Cento (Ferrara). Circa 250 aziende sono operative nella Packaging Valley, il distretto emiliano cresciuto per gemmazione da impresa madre a imprese figlie grazie a operai che si sono “messi in proprio” nella seconda metà del secolo scorso: fa registrare la più alta concentrazione di stabilimenti produttivi al mondo e finora ha saputo adeguarsi alla richiesta di servizi e di innovazione del mercato. Secondo Ucima, food e beverage si confermano i principali settori clienti (più del 50% totale). Poi tabacco e tissue, quindi farmaceutico, cosmetico e chimico. Lato produttori, invece, le famiglie di macchine più importanti sono, in ordine, le riempitrici e dosatrici; le formatrici, chiuditrici e termoformatrici; gli strumenti per palettizzare e de-paletizzare; le astucciatrici e incartonatrici, le avvolgitrici e altre.

  

Un mare di occasioni nel presente e nell’immediato futuro

Il mercato del packaging. Fonte Ucima

«Si apre uno scenario di crescita sistemica» – afferma Gambuli. In effetti, secondo le proiezioni Ucima, nel 2020 e nel 2021 la crescita media annua del mercato sarà, a livello globale, del 2,9%. «E noi abbiamo la capacità di fare meglio dell’avanzamento globale, di fare un passo in più rispetto alla concorrenza» – continua il direttore. Infatti abbiamo già segnalato l’aumento previsto per le esportazioni nazionali. Tornando al mercato, l’area che crescerà di più sarà quella che associa l’Africa e l’Australia, con un rialzo del 4,8%; poi quella che unisce il Medio Oriente e l’Asia Meridionale, con un progresso del 4,2%; poi l’Unione Europea (considerato anche il Regno Unito), con un avanzamento del 2,5%; poi l’America Centrale e Latina,  con un aumento dell’1,9% e infine Stati Uniti e Canada, con uno sviluppo limitato all’1,4%. «Non una crescita folle, ma le chance certo non mancano; soprattutto in riferimento ad alcuni settori di destinazione, come il farmaceutico e il food» – termina Gambuli.  In realtà, come vedremo, non ci sono solo luci all’orizzonte.

  

La prima sfida: trasformazione digitale e mass customization

Gima 590, macchina per il confezionamento di cialde di caffè

Per mantenere la posizione in vetta alla classifica e per cogliere le chance che si presentano sui mercati, le aziende italiane del packaging devono avanzare al passo serrato con l’assunzione delle tecnologie in grado di dar vita a quel salto di qualità di cui hanno bisogno. Al centro, la mass-customization: questa comporta la realizzazione di macchine sempre più veloci, flessibili e personalizzate, capaci di fabbricare confezioni su misura. Ad esempio, macchine che spostano a gran velocità (fino a 5 metri al secondo) i prodotti su carrelli magnetici indipendenti (ma controllati da software anticollisione) lungo binari dove sono posti gli strumenti per lo stampaggio, l’etichettatura o l’astucciatura; così, si diminuiscono tempi e costi per i cambi di lotto, che non richiedono più l’intervento umano. Va detto che i cambi lungo il processo possono essere realizzati soltanto controllando real time le macchine. Si deve acquisire la possibilità di produrre modifiche funzionali in remoto.

È stato osservato in altri contesti che l’IoT è «il controllo effettivo delle cose» (si legga, a proposito, questo articolo di Industria Italiana); e che «delle tre C in inglese, connectivity, compute e control, quella che conta veramente è la terza». Per Gambuli, «alla fine la flessibilità è un prodotto dell’analisi dei dati. Ci sono aziende che sono già molto forti, in materia; ma altre sono lontane dall’obiettivo». Ma si può anche pensare di ridurre il tempo di delivering delle macchine. Ad esempio con il virtual commissioning, il collaudo effettuato non sul mezzo fisico, ma sul digital twin, il gemello digitale. Si prova il software inserito nel controllore della macchina, e si simula la fisica del prodotto (ad esempio l’attrito tra le componenti), ottenendo feedback grafici immediati. Ma, soprattutto, si supera il sistema dei processi lineari. È la strada intrapresa dalla già citata Ima. Infine, grandi sono le aspettative per il 5G, uno standard avanzato di comunicazione mobile che consente elevate prestazioni e velocità di scambio dati. «Secondo i nostri esperti costituirà un’innovazione dirompente e aprirà scenari di progresso, nel packaging» – ha terminato Gambuli.

 

La seconda sfida: la sostenibilità

Paolo Gambuli, direttore di Ucima

Altra sfida determinante è quella del packaging sostenibile. Già nel 2015, uno studio della Tetra Pak, condotto su seimila consumatori provenienti da 12 Paesi diversi, mostrava come l’imballaggio eco-friendly orientasse, in senso positivo, le scelte dei consumatori. Partendo dal cliente finale, passando per la confezione e arrivando alla macchina, si crea un trend capace di condizionare i costruttori. Secondo studi più recenti, la tendenza riguarda non solo l’agroalimentare, ma anche i cosmetici e il lusso, dove il rapporto con la sostenibilità appare meno evidente. Si parla pertanto di biodesign, che mette insieme designer e biologi nel packaging destinato a sostituire la plastica. E poi c’è tutto il tema del riciclo, legato alla cosiddetta economia circolare: un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi.  Infine, sono in corso progetti di packaging a impatto zero: addirittura esistono confezioni edibili, che quindi non lasciano traccia di sé.

 

Il primo ostacolo: la tassa sulla plastica

Le relazioni tra i produttori di macchine per il packaging e le aziende clienti costituiscono un meccanismo complesso, che comporta un confronto continuo sui materiali, sulle tecnologie e sui prezzi. Non puoi muovere una pedina senza considerare gli effetti sull’intera scacchiera. E la tassa sulla plastica, seppure nella versione ridotta a 0,5 euro al kg, sarebbe, secondo Gambuli, frutto di una decisione presa con leggerezza: «Nel nostro campo, non puoi decidere nulla facendo surf sui sentimenti popolari, sull’emotività, e avendo come riferimento ideologico la comparsa di isole di rifiuti galleggianti nel Pacifico. Il mondo della trasformazione dei prodotti è troppo delicato per non considerare le ripercussioni su questa o quella categoria di operatori. Ora, è evidente che, dopo la norma sulla plastica, se per mestiere un’azienda fa contenitori, è meglio che cambi Paese. Noi non utilizziamo tanta plastica per le nostre macchine; ma i nostri clienti sì, però; ed ecco che il loro problema diventa il nostro, perché ad un loro calo di marginalità corrispondono una loro difficoltà di rinnovare il parco macchine e un ostacolo alle nostre vendite». 

Presidente IMA_S.p.A
Alberto Vacchi, Presidente e ad Ima

Secondo Gambuli il provvedimento è spropositato: «Il problema, a livello globale, non è la plastica; è che questa non è riciclata da alcuni grandi Paesi come l’India e la Cina, per cui finisce in mare. In Europa, però, ciò non accade. Siamo penalizzati da una soluzione abnorme. Anche perché i contenitori di plastica sono facilmente riciclabili, con una spesa energetica e con una liberazione di Co2 molto inferiori rispetto a quelle dell’alluminio e del vetro, che fondono a più di mille gradi centigradi. Ma a questo nessuno pare aver pensato». In generale, il modus operandi del governo non è piaciuto ad Ucima. «In tutti i Paesi – continua Gambuli – prima di toccare un sistema complesso economico complesso come il nostro, si consultano gli operatori, si prevedono gli effetti e si aprono scenari di programmazione, con piani di lungo termine: un anno modifichi un certo parametro, l’anno dopo una data misura e così via. Non è accaduto nulla di questo; e si è forse palesata una carenza di competenze che ci preoccupa parecchio». Ma l’Italia potrebbe essere l’apripista della sperimentata attitudine autolesionista continentale: secondo il Financial Times, anche la Commissione Europea starebbe pensando di introdurre una tassa sugli imballaggi in plastica.

 

Il secondo ostacolo: i fattori esogeni

Tra le preoccupazioni per gli operatori di settore, le questioni internazionali. Quanto al capitolo Brexit, attualmente nessuno sa quale effetto potrà produrre. Neanche da parte britannica. Si pensi alla regolamentazione dell’etichettatura: tecnicamente, quella continentale dovrebbe essere sostituita, e ciò non può non produrre effetti sulle macchine. Quali requisiti saranno definiti dal Regno Unito – che rappresenta per importanza il sesto Paese-cliente? Si dice che sarà adottata una normativa simile a quella europea ma semplificata; stiamo a vedere. 

Gima 590, macchina per il confezionamento di cialde di caffè

Preoccupa il settore anche il rallentamento della Germania, terzo Paese di sbocco per le nostre macchine. L’anno scorso l’economia tedesca è aumentata dello 0,6%, molto poco rispetto ai trend cui ci aveva abituato l’economia di Berlino. Negli ultimi tre mesi del 2019 la Germania ha fatto registrare una crescita zero. Per l’anno in corso, l’economista Carsten Brzeski di Ing parla, in un’intervista al Guardian, di «stagnazione, con rischi di recessione tecnica».  Non sono buoni segnali. Era prevista una forte crescita del mercato del packaging in Cina; ma il coronavirus potrebbe complicare le cose.  Il fondo monetario internazionale parla di un possibile impatto sulla crescita, non solo di quella cinese ma anche di quella globale. Tutto dipenderebbe dalla capacità della Cina di contenere la diffusione della malattia. Quanto infine alla questione della guerra dei dazi tra Usa e Cina, la questione sembra avere perduto un po’ di peso specifico, dopo la firma del mini-accordo commerciale del gennaio scorso; ma negli ultimi anni la tensione fra le due superpotenze è riemersa carsicamente, per cui è presto per affermare che la partita è chiusa definitivamente.














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