Microsoft e i suoi alleati puntano a formare mezzo milione di italiani digitali

di Gaia Fiertler ♦ Partner di “Ambizione Italia” sono Invitalia, Cariplo Factory, Linkedin e altri. Adecco ha stanziato 6 milioni per la piattaforma Phyd, che farà il check-up delle competenze digitali degli italiani, sia tecniche che soft. La piattaforma sarà anche un luogo fisico e indirizzerà i profili verso percorsi formativi dedicati per colmare i gap. Una ricerca con EY fa il punto sulle competenze in tema di Intelligenza Artificiale

A che punto siamo in Italia con cultura digitale e Intelligenza Artificiale? Che dimestichezza c’è in termini di applicazioni e nuovi modelli di business? La risposta è chiara: siamo solo agli inizi, c’è molto da fare e per questo Microsoft ha deciso di investire 100 milioni di euro per alzare il livello delle competenze anche in funzione dell’Intelligenza Artificiale. “Ambizione Italia” è il progetto con cui il colosso del software vuole estendere in modo veloce e capillare un nuovo mindset e skill tecniche: 50mila le persone certificate, 500mila quelle con nuove competenze e 2 milioni quelle coinvolte nel progetto. Questo agirà su sei fronti: educazione, competenze IT, occupabilità (reskilling, upskilling), trasformazione digitale, etica digitale (promuovere una innovazione responsabile) e società.

 







Candiani
Silvia Candiani, ad Microsoft Italia

«Dobbiamo essere più ambiziosi» – ha dichiarato Silvia Candiani, amministratore delegato Microsoft Italia. «Come i francesi, dobbiamo avere più autostima; oggi serve uno sforzo corale di tutte le parti sociali se vogliamo un futuro migliore. Sono convinta che per questo si debba ripartire dalle competenze e quindi dal lavoro. Iniziamo con un manipolo di partner, ma il progetto è aperto a tutte le imprese che vogliano unirsi a noi in questa ambiziosa avventura.»

Partner del progetto ad oggi sono Adecco Group, Invitalia, Cariplo Factory, Linkedin, Grow it up, Fondazione Mondo Digitale. In particolare, Adecco Group ha stanziato 6 milioni di euro per realizzare la piattaforma Phyd con tecnologia Microsoft, che farà il check-up delle competenze digitali degli italiani, sia tecniche che soft. Phyd sarà anche un luogo fisico, con una sua sede a Milano entro la fine dell’anno, e indirizzerà i profili verso percorsi formativi dedicati per colmare i gap. L’Italia si colloca infatti al 25mo posto in Europa per competitività digitale e competenze digitali, prima solo a Bulgaria, Grecia e Romania (fonte Desi, l’indicatore della Commissione europea che misura, annualmente, il livello di attuazione dell’Agenda Digitale in termini di digitalizzazione). Al contempo, sta raddoppiando il mismatch tra domanda e offerta di competenze informatiche: si parla di 135mila nuovi posti di lavoro nell’Information Technology che potrebbero sfumare, e una disoccupazione giovanile ancora al 31,7% con il 40% delle ragazze tra i 25 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non cercato (i Neet al femminile). La disoccupazione complessiva è al 10,9%, la terza più alta in Europa, che al Sud sale al 19,4%. E sulla frontiera avanzata del digitale, l’Intelligenza artificiale, a che punto siamo?

L’Italia fanalino di coda

Gli investimenti in Intelligenza artificiale in Europa sono progressivamente cresciuti negli ultimi dieci anni, con una particolare impennata nel 2017, per un totale di 10,5 miliardi di dollari. Le aziende più grandi stanno investendo in sistemi e competenze, anche con l’acquisizione di start up innovative, ma sono il private equity e le imprese controllate dai fondi i principali investitori nei 35 Paesi considerati, con il 75% del volume totale. Sono segnali di come questa economia viva una prima fase ad alto rischio-alta crescita, rispetto alla quale le aziende mostrano ancora prudenza. A conferma di questo trend, dalla ricerca Microsoft-EY emerge che solo il 10% delle imprese intervistate in 15 Paesi procede ad acquisizioni per portarsi a bordo competenze di Intelligenza artificiale; questo sembra in linea con quanto sta avvenendo anche in Usa e Asia.

 

 

Dalla ricerca Microsoft-EY

 

Al momento, UK, Francia e Germania la fanno da padrone in Europa, con l’87% degli investimenti totali; in particolare abbiamo il Regno Unito con 533 operazioni su di un totale di 1.372 totali con un investimento di 7.262 milioni di dollari, la Francia con 165 deal e 1.357 milioni di dollari e la Germania con 140 operazioni e 540 milioni di dollari. Anche Danimarca e Svezia attirano investimenti, rispettivamente con 330 milioni di dollari e 254 milioni di dollari. L’Italia si posiziona invece nella fascia bassa di investimenti, 47 milioni di dollari per 27 transazioni, seguendo comunque la tendenza generale a investimenti consistenti concentrati in poche operazioni. Sul questo fronte fa ben sperare in una ulteriore evoluzione l’annuncio della Unione Europea che prevede un incremento del 70% entro il 2020, con un impegno diretto negli investimenti.

I 4 livelli di maturità dell’Intelligenza artificiale: pianificazione, pilota, rilascio graduale, fase avanzata

Dalla ricerca emerge una generale consapevolezza sul fatto che l’impatto dell’Intelligenza Artificiale ci sarà e sarà dirompente, anche se è difficile dire ora come e su che ambiti; anzi il 57% pensa che sarà su aree di business ora sconosciute, o al momento addirittura inimmaginabili. Sono soprattutto manager e capi azienda consapevoli del cambiamento in arrivo (71%), mentre c’è meno attenzione man mano che si scende nella scala gerarchica e tra gli impiegati è al 28%. Di fatto, però, solo il 4% delle aziende campione si considera maturo, con sistemi presenti in più processi aziendali e con applicazioni avanzate di machine learning e deep learning, mentre il 61% è ancora in fase di pianificazione (22%) o di sperimentazione con progetti pilota (39%).

 

Dalla ricerca Microsoft-EY

 

E l’Italia? Le venti aziende intervistate sono sotto la media europea rispetto allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Nessuna si considera nella fascia più matura, solo il 15% dichiara di esser andata oltre lo sviluppo di progetti pilota, con la presenza in un processo o poco più di sistemi “intelligenti” che restituiscano previsioni e, a tendere, prendano decisioni, rispetto alla media europea del 32%. Una su quattro è ancora in fase di pianificazione e il 45% in fase pilota. Le interviste con i capoazienda confermano che la maggior parte delle imprese è ancora principalmente impegnata nella raccolta dei dati e degli strumenti necessari per sviluppare modelli predittivi (fase di prototipazione); le aziende stanno esplorando come capitalizzare dalle informazioni restituite dai dati. Edison per esempio, una delle 20 imprese del panel, in questo momento è fortemente impegnata con un team di data scientist, nella raccolta e analisi di Big Data e Iot; l’obiettivo è sviluppare modelli predittivi e spingersi sull’intelligenza artificiale per uno sviluppo sostenibile e un sempre maggiore focus sul cliente.

 

Headquarters Tenova
Headquarters Tenova

 

Conferma questo trend Giovanni Bavestrelli, Digital Engineering Director di Tenova, la società del Gruppo Techint che disegna e sviluppa impianti e servizi per l’industria metallurgica e mineraria: «Noi siamo nella fase di raccolta dei dati, serve infatti una considerevole massa critica per “allenare” gli algoritmi di machine learning. Ci siamo dotati di quattro data scientist, due formati internamente e due assunti dal mercato, e ora siamo in fase di prototipazione in vari progetti di ottimizzazione di processi industriali. Raccogliere i dati non è facile perché ogni azienda nostra cliente è concentrata sul proprio business industriale e nel nostro settore c’è ancora un certo timore rispetto alla condivisione dei dati.»

Ma a cosa servirà l’AI?

Anche su questo punto c’è un ritardo culturale, e non solo italiano, sugli effetti e le implicazioni delle applicazioni di intelligenza artificiale. I più oggi ne colgono il vantaggio di ottimizzare i processi e quindi ridurre i costi grazie a sistemi integrati e modelli predittivi (89%). In seconda battuta, sono convinti migliorerà il rapporto con il cliente grazie a una conoscenza sempre più accurata, che consentirà un maggiore coinvolgimento con una evoluta user experience, personalizzazione dei contenuti, una maggiore rapidità nelle risposte (74%). Le aziende più mature non hanno dubbi al proposito (100%), mentre ne è convinto solo il 63% nelle aziende meno mature. Ma la percentuale scende in generale al 65% circa la capacità di trasformare prodotti e servizi, e quindi di impattare sui modelli di business, e ancora più in basso, al 60%, circa il convincimento che sarà d’aiuto e di supporto ai dipendenti per prendere decisioni più razionali o a intravvedere nuove opportunità. Su questo punto ci scommettono le aziende più mature, che salgono al 76%, contro il 42% delle meno mature. In generale, però, è ancora sottostimato il valore strategico dell’intelligenza artificiale nella creazione di nuovi modelli di business “nativi digitali”, in grado di surclassare i modelli tradizionali, come già dimostrano i casi Amazon, Google, Alibaba.

 

Dalla ricerca Microsoft-EY

 

Una recente ricerca di SapThe European House Ambrosetti che, insieme, hanno creato un Ceo Digital Council con una trentina di grandi aziende italiane, ha rilevato come per l’83% dei Ceo italiani il tema dell’intelligenza artificiale sia sì rilevante, ma resti un tema in prima battuta dell’area innovazione tecnologico-digitale, ossia il Chief Innovation Officer, il Chief Technology Officer o il Chief Digital Officer, quindi non tale da poter mettere in discussione l’intera architettura del business. Il punto è che anche vent’anni fa con l’arrivo di Internet non sarebbe stato pensabile che delle piattaforme avrebbero potuto capitalizzare mille miliardi di dollari, come invece annunciato da Amazon a inizio settembre. «Chi capirà prima degli altri il potenziale dell’Intelligenza artificiale in termini di nuovi modelli di business, farà le scarpe a chi sarà rimasto legato a un modo più tradizionale di intendere il business e avrà sfruttato i dati solo per migliorare il proprio business», commenta Paolo Borzatta, senior partner di The European House Ambrosetti.

È dunque urgente, come sottolinea Silvia Candiani di Microsoft Italia, sviluppare a tutti i livelli una cultura digitale diffusa sul potenziale e la ricchezza che possono portare con sé le data driven organization, a maggior ragione perché nelle aziende non c’è ancora neanche consapevolezza su cosa sia questa Intelligenza artificiale, come sostiene uno su due i business leader della ricerca di Sap. «Spesso l’impatto delle nuove tecnologie è sovrastimato nel breve termine e sottostimato nel lungo periodo, e mentre c’è un po’ di confusione intorno all’Intelligenza artificiale, c’è stata una mancanza di discussione profonda su come realmente trasformerà il modo di fare business», ha commentato Nigel Duffy, Global AI Innovation Leader di EY.

 














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