Marelli: anatomia di una ristrutturazione industriale

di Marco de’ Francesco ♦︎ Il colosso giapponese della componentistica auto (azionista KKR, quasi 11 miliardi di ricavi) ristruttura il debito e razionalizza gli stabilimenti. Non una crisi drammatica ma nemmeno indolore, con un prezzo da pagare per l'Italia. Le prospettive delle fabbriche di Venaria, Sulmona, Bari e Caivano. Inchiesta sulle ragioni della crisi, dal rapporto con Stellantis all'elettrificazione. Parla Ferdinando Uliano, responsabile automotive Fim Cisl

Lo stabilimento di Crevalcore è a rischio, quello di Venaria Reale si avvia verso la cessazione, Sulmona e Bari hanno un surplus di lavoratori. Cosa sta accadendo a Marelli? Perché parliamo di crisi? Marelli, per intenderci, è un gigante italo-nipponico della componentistica auto guidato dal presidente e Ceo David Slump (nonché dal presidente esecutivo Dinesh Paliwal): l’azienda si occupa di powertrain convenzionali ed elettrici, lighting, sensori, interior, sospensioni, ammortizzatori, sistemi di scarico e di post-trattamento per l’endotermico, elettronica per macchine da corsa e tanto altro; conta 170 fra stabilimenti e centri di Ricerca e Sviluppo in Asia, America, Europa e Africa e un fatturato (ultimo noto, del 2021) attorno agli 11 miliardi di euro.

Marelli nasce nell’ottobre del 2018 quando Fca vende l’italiana Magneti Marelli per 5,8 miliardi di euro alla giapponese Calsonic Kansei, a sua volta integralmente controllata dal fondo americano Kkr. Per potersi permettere un’operazione di questa portata, il fondo ha caricato un debito imponente sulla nuova azienda. Ora Marelli è italiana nel marchio, ma non nella governance. Il Belpaese non è rappresentato né nel management team né nel board of directors. Ermanno Ferrari, ex amministratore delegato di Magneti Marelli e presidente di Marelli Europe, ha lasciato il gruppo il 31 dicembre dell’anno scorso.







Comunque sia, la fusione doveva essere la mossa vincente, l’operazione “win-win” tesa a dar vita ad un gigante capace di confrontarsi alla pari con i big del settore, i vari Bosch, Magna International, Denso, Aisin Seiki, Hyundai Mobis, Forvia, Johnson Controls, ZF Friedrichshafen, Lear, Valeo, Trw, Delphi, e Yazaki. E invece, a luglio del 2022, a fronte di un debito di circa 7,9 miliardi di euro, Marelli ha proposto un piano di ristrutturazione accettato dai creditori bancari e dal tribunale nipponico incaricato di seguire la vicenda. Fulcro del piano, l’iniezione di capitale da parte di Kkr e la cancellazione di parte del debito bancario: in questo modo si è previsto di eliminare circa 3,1 miliardi di euro di gravame. Il piano prevede più di tremila tagli del personale (di cui circa 500 in Italia), e la chiusura di alcune sedi nel mondo. In Italia si procede, almeno per ora, con spostamenti e incentivi all’esodo.

Marelli. Land Rover Evoque. Nel Lightning Marelli ha realizzato il primo proiettore di serie al mondo (Digital Light) da 1,3 milioni di pixel, micro-specchi tutti controllati elettronicamente; Foto: Uli Deck dpa – Bildfunk

Ma veniamo al perché sta accadendo. Certo, hanno inciso il Covid e la crisi dei semiconduttori; ma l’impressione è che la ragione sia un’altra: la filiera è presidiata soprattutto da Forvia (ex Faurecia: ha cambiato nome dal marzo 2023) pivot assoluto e orchestratore della più organizzata supply chain francese: orienta la politica di fornitura di Stellantis e ne disciplina i flussi. Sede a Nanterre, è un colosso da 25,5 miliardi; peraltro era responsabile, già prima della nascita di Stellantis, per il 7% sull’acquisto dei componenti di Fca e per il 13% di quelli di Psa. Come vedremo, è rimasta saldamente all’interno del perimetro Stellantis (tramite Psa). Marelli, invece, fatica a trovare gli spazi che potrebbe occupare. D’altra parte, una volta fuori dall’ambito diretto di Fca, ha anche perso l’occasione di guidare l’industria componentistica auto del Belpaese, disaggregata e acefala. Secondo gli ultimi dati disponibili (Anfia, 2021) la filiera è composta da 2.202 imprese che impiegano oltre 168.mila addetti; il fatturato stimato è pari a 54,3 miliardi di euro. Il settore è uno dei pilastri dell’industria italiana. È composto da un parco di Pmi, si diceva; ma ci sono anche realtà industriali globalizzate dai nomi illustri: fra le più grandi, Sogefi, Brembo, Landi Renzo, Cln, Omr, Ufi Filters. E alcune di dimensioni più ridotte, come Costamp Group, Dell’Orto, Atop Brovedani, Cornaglia, Sigit – sono innovative, tecnologicamente avanzate nonché grandi campioni dell’export.

La stessa Marelli produce, anche in Italia, dei componenti molto all’avanguardia. Si pensi al Lightning: in questo campo, Marelli ha realizzato il primo proiettore di serie al mondo (Digital Light) da 1,3 milioni di pixel, micro-specchi tutti controllati elettronicamente; e, in collaborazione con Osram, un modulo di illuminazione compatto h-Digi, una soluzione intelligente che consente un funzionamento dinamico e completamente adattivo dei fari anteriori. Ma non è detto che ciò faccia la differenza. L’impressione è che in Stellantis si assista al “conflitto” tra un esercito strutturato, quello francese, e la truppa disunita di tutti gli altri, di cui fa parte anche Marelli. Ora c’è una fitta serie di incontri tra Stellantis e i sindacati, che peraltro premono sul governo perché sostenga la posizione “italiana” e di Marelli in termini di fornitura. Una questione complessa, sulla quale abbiamo sentito il responsabile nazionale per l’automotive di Fim Cisl, Ferdinando Uliano.

 

Le problematiche nate con il passaggio di mano

  1. La nascita forzosa di Marelli

Il Segretario nazionale Fim-Cisl Responsabile del settore automotive Ferdinando Uliano

Quando l’allora Magneti Marelli passò di mano, non fu una sorpresa. Infatti, un mese prima dell’operazione Fca aveva bocciato un’offerta di 5 miliardi da Kkr, ma aveva tenuto la porta aperta per più fruttuosi tentativi del fondo; e poi perché il “primo passo” l’aveva fatto già Marchionne, lanciando l’idea di fare di Magneti Marelli uno spin-off da quotare in borsa, in barba a precedenti e tonanti dichiarazioni (“Io Magneti Marelli non la venderò mai”). Dopo la scomparsa di Marchionne, però, il titolo Fca aveva perso rapidamente il 10% e ciò aveva comportato il deprezzamento di Magneti Marelli, incorporata nel titolo.

Inoltre l’economista Fulvio Coltorti rilevò che Fca aveva un debito a lungo termine di 10,7 miliardi di euro, e a breve termine di 7,2 miliardi. Complessivamente, dunque, 17,9 miliardi. A fronte di ciò, un patrimonio netto di 21 miliardi; ma l’ammontare delle attività intangibili era pari a 24,9 miliardi (13,4 di avviamento e 11,5 di attività intangibili pure). Dal momento che queste ultime non contribuiscono a “fare soldi”, la vendita di Marelli era una mossa obbligata dalle circostanze.  Infatti Fca ha utilizzato 3,8 dei 5,8 miliardi ottenuti con la vendita per abbattere l’indebitamento. E i restanti 2 miliardi? Sono stati utilizzati per gratificare gli azionisti, che da tempo non vedevano dividendi. E va ricordato che il maggiore azionista era Exor, la “cassaforte degli Agnelli”.

La difficile coabitazione di Marelli e Forvia (ex Faurecia), con la nascita di Stellantis

John Elkann, presidente di Stellantis e presidente e ad di Exor. Foto credits Di Exor S.p.A.

Si diceva che con la nascita di Stellantis Marelli ha patito parecchio la concorrenza di Forvia. E non solo per il ruolo e per le dimensioni di quest’ultima: il fatto è che Forvia è rimasta in qualche modo legata a Stellantis. I primi quattro azionisti sono Hella (che però è partecipata per la maggioranza da Forvia), Exor, Templeton Global Advisor e Peugeot Invest, una società di investimento a lungo termine, quotata e controllata a maggioranza da Etablissements Peugeot Frères. A sua volta Peugeot Invest è uno dei principali azionisti di Stellantis. Invece Marelli è interamente controllata da Kkr. Secondo Uliano, finché c’era Fca, c’era anche un impegno di massima del Lingotto a mantenere un forte collegamento con i siti produttivi di Marelli. Con Stellantis, invece, è cambiato tutto.

«C’è Forvia, il primo fornitore globale di tecnologie per il controllo delle emissioni, e una macchina su tre al mondo è equipaggiata dall’azienda; soprattutto, svolge un ruolo centrale nell’organizzazione e nell’orientamento del provisioning di Stellantis. È chiaro che si sono create subito delle “sovrapposizioni” con Marelli, diciamo così». Pertanto, per Uliano, alcune certezze di cui Marelli godeva sono venute meno. Anche ai tempi di Fca le forniture di Magneti Marelli non erano scientificamente assicurate; ma alla fine erano parte dello stesso gruppo, e ciò indubbiamente comportava interrelazioni e vantaggi competitivi.  Sempre per Uliano in questo caso ha pesato molto non solo il rapporto stretto con Psa, ma anche la presenza dello Stato nella compagine azionaria di Stellantis e il fatto è che in queste cose incide la decisione politica. «Il governo francese ha sempre sostenuto la supply chain transalpina: si è visto addirittura Macron, alle inaugurazioni di nuovi stabilimenti; non si può dire che l’esecutivo italiano abbia mai fatto altrettanto».

Altre ragioni della crisi

I nuovi attuatori meccatronici intelligenti sono stati presentati per la prima volta al Battery Show 2023

Una seconda ragione della crisi è stata determinata dalla combinazione tra il Covid e dalla successiva carenza di semiconduttori. Il primo, con la sostanziale destabilizzazione delle filiere, aveva già creato un aggravio dei costi di produzione che aveva coinvolto tutti i settori della componentistica, incidendo sui margini. La seconda ha inciso negativamente sui volumi. Una terza ragione della crisi investe il settore della componentistica auto in generale. La sostituzione dei motori a combustione interna tradizionali con motori elettrici è uno dei principali aspetti della transizione verde. Il presupposto è che i propulsori green producono meno emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici rispetto ai motori a combustione interna. In realtà questo vantaggio, nella comparazione con i più efficienti modelli endotermici, si riscontra solo dopo lunghissime percorrenze; inoltre, l’impatto del parco auto continentale sulle emissioni globali è attorno all’1%; se anche si diminuisse del 20% questa percentuale, l’operazione sarebbe del tutto indifferente sui destini ambientali del mondo. Tuttavia l’Eu ha già deciso, e il limite alle immatricolazioni delle auto non elettriche ha una data precisa: il 2035.

Il problema è che una parte consistente della componentistica auto italiana è saldamente ancorata al termico. La stessa Marelli non produce solo e-powertrain, ma anche apparati termici volti a migliorare la durata e le prestazioni dei motori a combustione nonché sistemi di scarico. E sono appunto gli impianti che non sono destinati a soddisfare la domanda green quelli in cui domina la maggiore incertezza, come vedremo nello specifico. In generale, il green genera un’enorme semplificazione dell’apparato motore, che si traduce in una forte riduzione dei componentisti. È anche vero che quella dei limiti all’endotermico è una patologia tutta europea, di cui il Sud America, l’India, e gran parte del mondo è immune. Si tratterà anche di aggiornare le rotte dell’export. Una quarta ragione riguarda il citato indebitamento. In proposito, secondo Uliano, va sottolineato che «in effetti il piano di ristrutturazione era particolarmente duro; ma va detto che noi in Italia chiudiamo solo Venaria Reale “scarico”, ma senza impatto occupazionale».

Marelli: prestazioni del veicolo

L’offerta di prodotti Marelli si focalizza su tecnologie innovative che caratterizzano la personalità e le prestazioni sostenibili del veicolo

Gli stabilimenti più in crisi

Marelli processo di produzione

Quanto a Crevalcore, lì il problema è che non si producono componenti per l’ibrido né per il full electric. «È lo stabilimento potenzialmente più a rischio secondo me: si riscontrano significativi problemi di competitività sia nel reparto plastica sia in quello alluminio» – afferma Uliano. Anche a causa di ciò è in corso una analisi sulla possibilità di garantire la missione produttiva dello stabilimento con altre produzioni. In questo momento i potenziali esuberi sono contenuti; ma il problema riguarda l’esistenza stessa dell’impianto. Per quanto riguarda Venaria Reale, la fabbrica specializzata nella produzione di sistemi di scarico, sta gradualmente avviando il processo di chiusura a causa della costante diminuzione della produzione. La prevista data di chiusura è fissata per la fine del secondo trimestre del 2024. «Tuttavia, è importante notare che gli 81 attuali dipendenti non perderanno il loro impiego; al contrario, saranno integrati all’interno del gruppo aziendale. Di questi, 65 saranno trasferiti presso la vicina fabbrica di Venaria Lighting, mentre i restanti 16 troveranno occupazione presso il quartier generale, anch’esso situato a Venaria. Questa transizione avverrà senza considerare eventuali uscite volontarie da parte dei dipendenti» – afferma Uliano.

Il futuro di Sulmona «dipenderà notevolmente dall’esito delle negoziazioni con Stellantis» – afferma Uliano. Attualmente, si registra un surplus di 90 lavoratori, ma si prevede che questo numero aumenti a 135 nel 2024. L’attuale programma di solidarietà potrebbe essere esteso fino al 2024, con la possibilità di ulteriori proroghe fino al 2025. Questa situazione è influenzata sia dalla cessazione di alcuni prodotti sia dalla riduzione delle quantità prodotte del Ducato. Pertanto, diventa fondamentale la capacità di ottenere nuovi contratti di fornitura da Stellantis, e potrebbe anche essere vantaggioso avviare un dialogo con la Regione Abruzzo per ricevere sostegno per gli investimenti.  Bari si stanno facendo forti investimenti su elettrico, attualmente sono in corso trattative di grande rilevanza con Stellantis e altri attori dell’industria automobilistica. Tuttavia, al momento, ci sono dissaturazioni per circa 87 lavoratori, e questo numero è previsto salire a 162 nel 2024, a meno che non si riescano a cogliere le opportunità commerciali potenziali. L’unificazione delle due divisioni, tradizionale ed elettrica, del powertrain, che è stata a lungo richiesta da noi, aumenta notevolmente la competitività dello stabilimento. Come ulteriore risultato positivo di questa scelta, stiamo aspettando una risposta dall’Inps in merito alla possibilità di avviare un nuovo programma di ammortizzatori sociali. Non semplice anche la situazione di Caivano, «che in una prima fase beneficerà del trasferimento delle produzioni da Venaria Reale, ma sarà necessario avere poi garanzie per il futuro quando in Europa non sarà più possibile produrre auto con motorizzazioni tradizioni» – afferma Uliano.

La tecnologia di Marelli a bordo veicolo

Marelli sviluppa soluzioni flessibili, modulari e competitive per favorire la differenziazione e la personalizzazione dei veicoli di nuova generazione

La trattativa con Stellantis

Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy

Perché la trattativa con Stellantis è cruciale? In realtàsia per Marelli che per tutti gli altri componentisti, una qualche garanzia per la fornitura o un qualche vincolo speciale con i produttori italiani sono necessari, perché danno sicurezza e continuità nell’attività. Il componentista, in genere, non ha altri clienti che gli Oem.  Per questo i sindacati hanno chiesto al ministro Urso di far valere la posizione italiana di fronte a Stellantis. Ma c’è un altro problema emergente, destinato a pesare sui componentisti. «Le grandi case automobilistiche europee – e quindi StellantisMercedes, a Bmw o a Volkswagen – di fronte alla semplificazione ingegneristica e di fornitura che il green determina, puntano a riportare all’interno dell’azienda o del gruppo produzioni che erano state esternalizzate ai tempi in cui ciò conveniva» – afferma Uliano.

La trattativa con Kkr

Ingranaggio realizzato in stampa 3D con il materiale Onyx

È altresì importante la negoziazione con Kkr, in modo che destini agli stabilimenti italiani le più moderne produzioni sull’elettrico. Kkr, però, a sua volta sta negoziando l’acquisto della rete di Tim: il gruppo giapponese è un interlocutore importante per il governo italiano. Potrebbe trovarsi in una posizione di forza nelle vicende di Marelli? Uliano, però, non vede il pericolo di una commistione tra la questione di Tim e quella di Marelli, sebbene vedano entrambe come protagonisti l’esecutivo italiano e il gruppo Kkr. Quest’ultimo, infatti, persegue un forte interesse affinché Marelli mantenga le sue produzioni in Italia. «Negli ultimi mesi Kkr ha agito su Stellantis, perché questa mantenesse solidi i propri rapporti di fornitura con Marelli definiti precedentemente con Fca al momento dello spin-off; e ha assegnato importanti lavorazioni sulle future auto elettriche che verranno prodotte nello allo stabilimento di Marelli a Melfi, cosa che non era scontata fino a pochi mesi fa». Inoltre Marelli vuole assumere un ruolo più importante in Federmeccanica, «anche in vista degli investimenti che il governo deve fare in Italia a sostegno del settore l’automotive» – afferma Uliano.

Le richieste dei sindacati al governo per la componentistica auto

Automotive Lighting è la divisione di Marelli con sede a Reutlingen, Germania, dedicata allo sviluppo, alla produzione e alla vendita di prodotti di illuminazione automotive da esterno per le maggiori Oem internazionali. Credits: Magneti Marelli Archive

Per aiutare la filiera italiana, è stato creato il Fondo automotive, (8,7 miliardi di euro i finanziamenti complessivamente stanziati dal Governo fino al 2030: 700 milioni per il 2022 e 1 miliardo l’anno dal 2023) destinati al sostegno e alla promozione della transizione verde, della ricerca e degli investimenti nel settore attraverso l’insediamento di filiere innovative e sostenibili sul territorio nazionale. Secondo Uliano, «altre risorse potrebbero essere reperite nel Pnrr». I sindacati chiedono all’esecutivo di agire con incisività e prestezza. Per Uliano non c’è tempo da perdere, perché si tratta di riorientare e reindustrializzare il comparto, accorciando la catena di fornitura e facendo in modo che le produzioni siano indirizzate al green. «Delle due l’una: o riorganizziamo il processo, o raccogliamo i cocci delle produzioni che spariranno. A questo punto, non c’è un a terza via».

L’orizzonte dei componentisti è però pieno di ostacoli e di incognite, che non riguardano esclusivamente aziende italiane. Si pensi a Denso: nel Belpaese il componentista giapponese – Tier 1 e secondo più importante fornitore al mondo di parti e sistemi per automotive – ha sette sedi e 3.400 dipendenti; «ma ha fabbriche in tutto il mondo, e potrebbe portare all’estero le nuove produzioni green, quelle che hanno un futuro. Anche qui, i prossimi mesi saranno fondamentali per capire se riusciremo a portare le produzioni green nello stabilimento abruzzese» – afferma Uliano.  














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