Bollette in azienda: la vera mazzata arriva ad aprile

di Marco de' Francesco ♦︎ La bolletta dell’industria potrebbe salire a 51 miliardi nel 2022, ben più dei 37 stimati prima della guerra in Ucraina. Le misure adottate dal Governo (15 miliardi) e le rinnovabili non bastano. Le imprese potrebbero ripensare la produzione sulla scorta dei costi orari dell’energia, ma non si risolve il problema. La fornitura russa, i progetti di Enel, petrolio, metano e carbone… Parla Alberto Clò

Le aziende manifatturiere devono attendersi, dal primo di aprile in poi, un nuovo e imponente rialzo delle spese in bolletta per l’energia. Gli aumenti dei costi del metano (aumentati di venti volte in due anni) e dell’elettricità non sono ancora stati contabilizzati in tariffa, ma lo saranno. E allora il governo dovrà procedere, per salvare l’industria, a nuove misure di contenimento, perché quelle adottate di recente non sono certo bastevoli. «Nulla sarà come prima» – afferma Alberto Clò, economista tra i massimi esperti delle dinamiche energetiche, accademico di fama, e già ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato ai tempi del governo tecnico di Lamberto Dini (1995-96). Negli Anni Ottanta è stato membro del cda di società quotate come Eni, Finmeccanica, Snam e Italcementi, e ha diretto la rivista Energia, fondata insieme a Romano Prodi.

È il momento, questo, di essere sinceri e ammettere che il conflitto Russo-Ucraino ha acuito una crisi che era già in corso. Le preoccupazioni per un eventuale stop delle forniture del metano da Est hanno prodotto una ulteriore deflagrazione dei costi, che erano però già alti. La retorica della transizione energetica, reificata nel Green Deal della Commissione europea, aveva già innescato l’immotivata dismissione delle attività di ricerca di petrolio e gas – che avrebbero dovuto essere sostituiti da fonti rinnovabili, costose e intermittenti per natura.







È quasi ironico – pensa Clò – che la principale industria energetica del Pease, l’Enel, e che il governo stesso, pensino che la soluzione del pasticcio risieda nella focalizzazione sulle rinnovabili e su nuovi rigassificatori per il metano liquido. Al di là della confusione tra causa della crisi e strumenti per la salvezza, è certo che il problema è attuale, accade oggi, mentre una strategia di diversificazione richiede anni. Come può funzionare? D’altra parte, le imprese non hanno armi per difendersi da sole. L’unica cosa che potrebbero fare è quella di ripensare la produzione sulla scorta dei costi orari dell’energia, così come si è fatto ultimamente nelle acciaierie a forno elettrico. Ma questa pratica non risolve il problema. Su tutto ciò abbiamo intervistato Clò.

 

D: La crisi energetica era iniziata prima delle dinamiche innescate dalla guerra in Ucraina. Quali sono le cause?   

Alberto Clò

R: Paghiamo il conto di errori strategici compiuti dall’Unione Europea, ma anche dai governi e pure dai rappresentanti dell’industria: la retorica della transizione energetica ha un peso, ahimè, non solo per quello che fa, ma soprattutto per ciò che impedisce di fare. La trappola in cui siamo finiti non è solo di una narrazione errata di quel che andava accadendo, ma anche causa dei mancati investimenti delle società energetiche nella ricerca di petrolio e gas. Nel 2014 si investivano 800 miliardi nella mineraria, nel 2021 attorno a 250 miliardi. C’è una grande differenza: meno “buchi” meno scoperte, meno offerta di barili o metri cubi. Ora la guerra e le sanzioni alla Russia hanno portato ad un aggravamento della crisi, acutizzando le preoccupazioni sull’offerta delle materie prime.

 

D: Che cosa sta accadendo, esattamente, con la guerra in Ucraina? Quali effetti sui costi dell’energia?

R: I mercati scontano anche le previsioni, gli scenari, che nel caso di una guerra sono molto gravi. Il 40% del metano utilizzato in Italia proviene dalla Russia, grazie ad un gasdotto che passa in territorio ucraino. Che cosa accadrebbe se questa importante infrastruttura fosse bombardata? Ovviamente ci ritroveremmo in una situazione che il Paese non ha mai sperimentato. Forse potremmo contare su forniture da parte di altri Paesi europei, quanto ad energia elettrica altrimenti prodotta con il gas. Stiamo uscendo dall’inverno, che non è particolarmente rigido; e in Nord Europa c’è vento, che alimenta i parchi eolici. Tuttavia, se per un qualche motivo ci fosse un’interruzione della fornitura russa, saremmo nei guai.

 

DE se questa fornitura russa, invece di cessare completamente, diminuisse con una certa severità a causa della guerra o di sanzioni?

Maire Tecnimont Impianto di trattamento Oil & Gas Tempa Rossa

R: Servirebbe regolare accuratamente la domanda di gas russo da parte dei singoli Stati dell’Unione europea. Certo che, se anche la Germania, come si è compreso, intende chiudere le centrali a carbone e quelle nucleari, ciò non può ridurre la domanda che anzi aumenterà.

 

D: E non sarebbe possibile aumentare l’offerta di metano per l’Italia?

R: Direi di no, se non in misura limitata. Quello liquefatto, proveniente dal Qatar o dalla Nigeria, lo pagheremmo a caro prezzo. Altri Paesi produttori di metano, come l’Algeria (21% del consumo italiano, tramite il gasdotto di Mazara del Vallo) e la Norvegia (9,8%, tramite Passo Gries), dispongono di risorse meno ingenti di quelle Russe e comunque la loro capacità addizionale di esportazione è molto limitata. La cosa grave è che siamo messi peggio degli altri paesi: dipendendo di più dai transiti del gas in Ucraina, col 48% della generazione elettrica da gas contro il 17% in Germania e il 7% in Francia. Quel che si è riflesso in un’inflazione da energia per noi molto più elevata

 

D: Qual è la situazione dei prezzi di petrolio, metano e carbone, oggigiorno?

Raffineria petrolio. Il prezzo del Brent ieri 2 marzo ha quotato 113 dollari al barile, contro gli 85 di due mesi fa

R: Il prezzo del Brent ieri 2 marzo ha quotato 113 dollari al barile, contro gli 85 di due mesi fa. Il gas naturale è passato dalla metà del 2020 da meno di 2 a 40 dollari al milione di unità termiche britanniche (Btu). Il prezzo del carbone è cresciuto ieri del 15% a 275 dollari a tonnellata, contro 50 di un anno fa. Dall’inizio del 2022 è sostanzialmente raddoppiato. Vale rammentare che la Russia è il primo fornitore di tutte e tre le fonti in Europa: 40% nel gas, 25% nel petrolio, 55% nel carbone.

 

D: Che cosa dobbiamo attenderci, a questo punto?

R: Dal primo aprile, quando i nuovi costi saranno contabilizzati e tradotti in bollette, dobbiamo aspettarci un rimbalzo enorme, un incremento davvero consistente e preoccupante dei prezzi del metano e dell’elettricità.

 

D: Secondo l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, una soluzione esiste e si declina in tre attività che lo Stato dovrebbe portare avanti al più presto. Anzitutto, quella di ridurre la dipendenza dal gas puntando sulle rinnovabili; sarebbe alla portata del Paese realizzare un piano studiato da Confindustria, che consentirebbe di installare 60 Gw di capacità green in tre anni. In secondo luogo, occorrerebbe ridurre il quantitativo di gas per usi civili, grazie a nuove caldaie. In terzo luogo, si dovrebbe diversificare l’approvvigionamento del gas, realizzando almeno altri due terminali di rigassificazione di Gnl. Secondo lei funzionerebbe?

Francesco Starace, ceo di Enel

R: Starace, legittimamente, persegue gli interessi dell’Enel; ma non è detto che questi ultimi coincidano necessariamente con quelli del Paese. Anzitutto, si parte da un principio un po’ strano, in base al quale le rinnovabili possono sostituire il gas. Più green, meno gas – è questo il discorso. Ma è solo parzialmente vero: le rinnovabili sono fonti intermittenti. L’offerta di energia deve incontrare la domanda ogni istante, e se non tira il vento o non c’è sole occorre il metano. Questo metano potrebbe essere liquefatto, riducendo il suo volume per 600 volte, stoccato nelle navi metaniere, trasportato in Italia ed immesso nei nuovi rigassificatori di cui parla Starace; successivamente, sarebbe riscaldato e riportato al suo stato naturale, per poter essere immesso nella rete nazionale di trasporto.  Ci sono due problemi. Il primo è che ciò presuppone una corsa al passo serrato verso la transizione green che in realtà non esiste, visto che anche in Italia (come d’altra parte in altri Paesi europei) si sta pensando di riattivare alcune centrali a carbone già chiuse; il secondo è che due rigassificatori non li costruisci in un mese. Fra progetti, autorizzazioni e realizzazione, passano gli anni. Mentre il guaio è oggi; e il peggio, come detto, si sperimenterà a cominciare da un mese a questa parte.

 

D: Secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi la bolletta energetica dell’industria potrebbe salire a 51 miliardi nel 2022, cifra ben più alta dei 37 stimati prima della guerra. Servono scelte coraggiose e una politica comune Ue, dice (al Sole 24 Ore).

R: Proprio il coraggio che manca a Confindustria che si è appiattita sulla green economy e sulle rinnovabili anche quando ciò non va nell’interesse della manifattura in generale, e di certi settori in particolare, come l’acciaieria.

 

D: Anche il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato (sempre al Sole 24 Ore) che non si può essere così dipendenti dalle decisioni di un solo Stato (la Russia) è che è necessario semplificare le procedure per aumentare la produzione da rinnovabili.

Il premier Mario Draghi

R: A lungo termine, penso anch’io che si debba ridurre la dipendenza dalla Russia e dal suo gas; ma nel breve, che si fa? Non c’è una capacità inutilizzata di metano, a livello mondiale; anche perché tutti gli Stati temono che le cose possano precipitare.

 

D: Il governo, però, ha azzerato, quanto ad elettricità, gli oneri di sistema per il secondo trimestre, con una proroga che vale tre miliardi; ha ridotto l’aliquota Iva al 5% sulle bollette per i consumi di gas di aprile, maggio e giugno, con una misura che vale 592 milioni; ha definito un credito di imposta del 20% per le spese energetiche relative al secondo trimestre di quest’anno, in favore delle aziende energivore, con una spesa di 700 milioni. Non si può dire che l’esecutivo sia immobile.

R: il governo, per ora, ha operato nei margini del possibile impegnando oltre 15 miliardi per ridurre l’impatto dei maggiori prezzi per famiglie e imprese; ma temo che dal primo di aprile dovrà stanziarne altri.

 

D: In definitiva, che cosa possono fare le aziende manifatturiere per fronteggiare con successo la crisi energetica?

Nuova Solmine Enel X

R: Credo che i margini di manovra delle imprese siano prossimi allo zero. Possono, ad esempio, rimodulare la produzione in funzione dei prezzi energetici nel corso della giornata. Ma io purtroppo la vedo male.














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