La fabbrica del futuro? Radicata nel territorio e iperconnessa

di Marco Scotti ♦︎ Con il progetto D.O.M. Hpe, Miraitek e Alfaproject.net ribadiscono un concetto: i dati saranno sempre più prodotti all’interno del plant. Servono edge micro-datacenter resistenti a condizioni ambientali estreme. Senza dimenticare che le aziende dovranno tornare a dialogare con le aree in cui sono inserite, come avveniva con Falck, Pirelli o Magneti Marelli. E poi: nuove competenze, sistemi legacy non necessariamente da rottamare (almeno non subito). Parlano Vaiti (Cto di Hpe) e Dandolo (managing partner di Alfaproject.net)

Si fa presto a dire fabbrica del futuro, ma di che cosa si tratta? Quali sono le sue peculiarità? Che rapporto deve avere con il territorio? Bastano macchinari di ultima generazione o servono altri tipi di innesti, non necessariamente tecnologici? «Seguendo le indicazioni del libro bianco di Assolombarda presentato lo scorso 18 febbraio – ci spiega Carlo Vaiti, Cto di Hpe – una delle sfide più importanti è quella che l’azienda media manifatturiera deve tornare a essere inserita nel territorio, deve esserne parte attiva. Deve offrire spazi logistici e sociali, deve essere integrata nel contesto urbano in cui vive, offrendo servizi alla società che sta intorno».

Quel che è certo è che in un futuro prossimo, i dati prodotti all’interno dell’azienda saranno il 75%, a fronte di un incremento notevole delle moli di informazioni. Serviranno datacenter di ultima generazione, agili e capaci di rispondere alle diverse esigenze. Servirà un’organizzazione più complessa, gestita da una “torre di controllo” come avviene oggi negli aeroporti. E servirà una profonda revisione di tutti i processi manifatturieri, come è stato ripetuto nei giorni scorsi durante il Forum del Software Industriale organizzato da Sps a Milano.







 

I nuovi datacenter che guideranno la fabbrica di domani

Carlo Vaiti, Chief Technologist Officer di Hpe

Partiamo proprio dai nuovi datacenter, che dovranno rispondere alle rinnovate esigenze della fabbrica. «La mole di dati – prosegue Vaiti – sta aumentando in maniera esponenziale. Per noi, l’edge rimane fondamentale perché la maggior parte dei dati verrà creata fuori dal datacenter. Per questo ci stiamo attrezzando per realizzare micro datacenter, più agili e performanti. Il 75% dei dati viene creato nell’edge, dove insiste la fabbrica e sempre più industry necessitano che l’informazione venga processata nel più breve tempo possibile. Stiamo mettendo a punto degli Edge Micro-Datacenter, ognuno deputato a svolgere una piccola quantità di computing che consenta di far girare in modo estremamente rapido tutti gli algoritmi di Deep Learning nella data room della fabbrica stessa. Significa avere a disposizione grandi capacità di computazione unita a una notevole resistenza: perché devono poter funzionare direttamente nella fabbrica, con temperature che possono andare da -40 a +40, devono poter affrontare la polvere, devono essere ecosostenibili».

Un’altra tematica che è parte della rivoluzione digitale della fabbrica riguarda i big data e l’intelligenza artificiale: in questo caso, quindi, l’offerta di Hpe prevede di unire edge computing, data source, edge cloud, datacenter e public cloud. «A nostro avviso – aggiunge Vaiti – le imprese devono riuscire a raggiungere diversi obiettivi: ottimizzare i processi, incrementare l’efficienza, sviluppare innovazione tecnologica, incrementare la tracciabilità del dato, magari con l’utilizzo della blockchain. Nel mercato italiano avere una soluzione che copre tutti gli aspetti della fabbrica per analizzare i processi di intelligenza artificiale è decisamente un plus».

Il progetto D.O.M. è realizzato da Hpe, Alfaproject.net e Miraitek

 

Ritorno al futuro

Un altro tema che riguarda una fabbrica di nuova concezione è quello relativo al radicamento con il territorio. «Deve investire nel contesto urbano – ci spiega Vaiti – e soprattutto non deve vivere da sé completamente staccata dal territorio, deve essere integrata nel contesto urbano in cui vive, offrendo servizi a tutto quello che sta intorno. Si tratta in qualche modo di un ritorno al passato. Pirelli, Falck, Magneti Marelli hanno creato scuole e quartieri, ma oggi questo non si faceva più. La differenza sostanziale rispetto alla manifattura tradizionale è che il contatto tra il contesto urbano e la fabbrica deve avvenire attraverso nuovi processi digitalizzati per riuscire a parlare con l’ecosistema che sta intorno in maniera nativa digitale».

Partner da tempo di Hpe è anche Alfaproject.net. Il managing partner della società, Alessandro Dandolo, ci spiega che cosa sia per loro la fabbrica del futuro, partendo da un dato fondamentale: che per tanti operatori della manifattura è prematuro non solo parlare di domani, ma perfino di digital transformation. «Ad oggi – ci spiega – il mercato manifatturiero italiano parla di fabbriche del passato: abbiamo strutture datate, con tecnologie e macchinari di vecchia generazione. E soprattutto con dei processi datati. Chi si vuole evolvere deve prima di tutto fare un salto culturale, per capire dove intervenire. Le tecnologie sono solo un supporto, ma la fabbrica del futuro passa prima di tutto dalla consapevolezza che l’azienda deve avere delle nuove frontiere della digitalizzazione».

Alessandro Dandolo, managing partner di Alfaproject.net

 

Come digitalizzare la fabbrica

Già oggi, la fabbrica ha una serie di differenze sostanziali rispetto al passato. Non è un caso che Hpe, Miraitek e Alfaproject.net abbiano dato vita a D.O.M. (Digital Operation Manufacturing) che consente di mappare, automatizzare e standardizzare i processi di fabbrica, migliorando l’efficienza e la competitività. I benefici sono notevoli: fino al 25% di ore di logistica interna risparmiate; + 20% in termini di produzione giornaliera; + 10% della produttività dell’operatore di produzione. Una differenza sostanziale rispetto al passato è rappresentato dal catalogo: un tempo era più contenuto, ma prevedeva lotti più ampi. Adesso, invece, con il “one piece flow”, le possibilità di personalizzazione si sono moltiplicate, rendendo fattibile anche la realizzazione di poche unità per singolo prodotto.

«È anche vero – aggiunge Dandolo – che i margini si sono ridotti in modo significativo, e le aziende manifatturiere che devono concorrere solo con la leva del prezzo, hanno iniziato a guardare a Far East ed Europa dell’est. Si riaffaccia quindi il tema della complessità, inteso però come concetto più ampio che riguarda tutti gli aspetti della fabbrica. Ad esempio: in un mercato dinamico, l’m&a cambia faccia e con esso la gestione del business. D’altro canto, il prodotto è sempre più digitalizzato, con soluzioni di automazione che vanno dai droni agli Agv e con una complessità di raccolta dati sempre maggiore. L’unico modo che le aziende hanno per poter guardare al futuro è che le aziende comprendano che non si tratta di un momento di passaggio, ma che la complessità è destinata a crescere».

Agv in azione (courtesy Sew Eurodrives)

Per questo motivo, Alfaproject.net sostiene ormai da tempo che un’organizzazione deve funzionare come un aeroporto, in modo da efficientare le risorse disponibili. A far girare come un ingranaggio un hub (o un’azienda) è una torre di controllo che ha una governance in tempo reale del processo e garantisce un’ottimizzazione delle risorse disponibili. «Il primo passo in questa direzione – prosegue Dandolo – è distinguere tra automazione e digitalizzazione e assegnare a questi due temi le corrette competenze. Nel primo caso ci troviamo di fronte a tecnologie in grado di far fare alle macchine cose che prima erano in capo all’uomo; nel secondo abbiamo un processo informatico che garantisce che le operazioni – indipendentemente da chi le debba svolgere – siano effettuate in maniera corretta».

 

Sistemi legacy

Inutile però far finta di nulla: molte aziende hanno ancora a che fare con strumentazione vecchia, e non sono ancora nelle condizioni – nonostante gli incentivi – di cambiare i propri device. «Ci sarebbe quasi da ridere – ci racconta Dandolo – perché se parliamo di sistemi dipartimentali, la maggior parte di essi è stata realizzata e implementata su tecnologie che oggi non vengono neanche più supportate. Parliamo di Windows Mobile e simili che sono stati “abbandonati” dal supporto Microsoft il 14 febbraio scorso. Ci troviamo di fronte a un bivio: provare a sistemare la cosa o ripartire da zero. I responsabili It delle aziende devono iniziare a guardare al 2040, perché il 2020 è ormai andato. Serve scalabilità unita a tecnologie moderne. Ma l’azienda a volte non è in grado di capire che fare tabula rasa è l’unica via percorribile».

Industria 4.0

Un percorso che è stato intrapreso spesso è quello del cosiddetto “revamping”, ovvero soluzioni che permettano di affiancare dei sensori di ultima generazione sui macchinari industriali di vecchia generazione e che diano le metriche che servono al cliente finale. «In questo modo – ci racconta Vaiti – l’utente “guadagna” 2 o 3 anni dopo. Dopodiché, noi spingiamo per andare verso protocolli nativi di ultima generazione, ma se il cliente non può investire, il revamping è un buon compromesso. Non è sempre possibile e non è di facile realizzazione, ma si può studiare un processo ad hoc per attuare questa soluzione».

 

Il tema delle competenze

Ultimo aspetto che coinvolge la fabbrica del domani è quello relativo alla cultura aziendale. Che non può più essere appannaggio dei tecnici, ma deve essere calata dall’alto da parte di top management e proprietà. «Questo passaggio – ci racconta Dandolo – è stato percepito. Inoltre, stanno iniziando a entrare i nativi digitali, che facilitano l’introduzione delle nuove tecnologie. C’è però ancora bisogno di svolgere attività di training, di change management, per comprendere appieno quale sia il fabbisogno e tradurlo in termini digitali. E questo lo si fa non con i bit, ma attraverso un’attività di consulenza e di supporto all’azienda».

Big data analytics

«Quello che è importante capire – conclude Vaiti – è che bisogna raggiungere un corretto mix di competenze. Ed è per questo che nel progetto D.O.M. abbiamo cercato di avere un’anima eterogenea. Insieme a data scientist o agli architetti servono anche figure esperte di business process engineering, che capiscano che cosa deve fare l’azienda per cambiare e digitalizzare un processo. Perché l’idea finale è che il data scientist deve avere conoscenze di business, capire come funziona un processo di gestione della priorità e deve capire dal punto di vista business cosa deve essere fatto. Dall’altra parte serve qualcuno che conosce algoritmi di Ai ad hoc. L’ideale sarebbe unire queste due competenze in un’unica persona. Non è facile, però questo è il futuro per noi delle skill  e delle competenze.














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