Da Webuild a Italferr: chi guadagna e chi perde con il Ponte sullo Stretto di Messina

di Alice Ampola ♦︎ La realizzazione darebbe nuovo impulso al settore costruzioni che nel 2020 ha visto gli investimenti crollare del 10.1%. Ricadute anche per il settore siderurgico, colonna dell'industria italiana

Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild
Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild

Stoppato dal Governo tecnico di Mario Monti nel 2011, a distanza di 10 anni, con un nuovo tecnico come Premier, Mario Draghi, il Ponte sullo Stretto diventa uno dei dossier bollenti dell’Esecutivo. Si farà questa opera colossale?  La commissione di tecnici istituita dall’ex ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, e confermata dal successore Enrico Giovannini, ha dato il primo via libera alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, ma sulla questione l’ultima parola spetta al Parlamento. L’infrastruttura potrebbe arrivare a costare fino a 7,1 miliardi di euro, e a contendersi la costruzione (al momento) sono Webuild ed Italferr.

La realizzazione del ponte, che interesserebbe un’area metropolitana di circa 800 mila abitanti,  scrivono a chiare lettere i 16 tecnici del gruppo di lavoro del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile nel documento di valutazione, «consentirebbe di realizzare una rete di collegamenti stradali e ferroviari interni al Mezzogiorno per aumentarne la connettività interregionale, incrementando il mercato interno alla macroregione con rilevanti potenzialità di sviluppo di questa parte del Paese».







Perché un ponte sullo Stretto?

Silvio Berlusconi, l’ex Premier

Facciamo un passo indietro. La storia del Ponte sullo stretto è lunga e l’infrasruttura, idealmente, è stata costruita più volte. Se ne iniziò a parlare già dopo l’Unità d’Italia. Ai nostri giorni, a rilanciare l’idea di un collegamento stabile è stato Silvio Berlusconi nel corso della campagna elettorale del 2001, promettendo l’inaugurazione entro il 2012. Il progetto fu bloccato dal Governo Prodi nel 2006. Tornato in carica, nel 2008, Berlusconi ritentava l’impresa, ma nel 2012 il deciso stop di Monti sembrava chiudere definitivamente la partita. Sembrava, perché prima con Matteo Renzi e poi con Giuseppe Conte la grande opera è tornata di moda e lo scorso anno sono stati avviati nuovamente gli studi di fattibilità.  Questi anni di dibattiti e false partenze ci sono costati cari. La Corte dei Conti ha stimato che solo nel periodo 1982-2005 sarebbero stati spesi quasi 130 milioni di euro, a cui dovranno  aggiungersi, forse, gli oltre 700 milioni di risarcimento della causa multimilionaria intentata dal consorzio di società Eurolink, vincitrice dell’appalto poi revocato. Insomma, per un’opera che in sé, complessivamente, dovrebbe costare dai 2 ai 3 miliardi non sono proprio spiccioli.

Storia politica ed economica a parte, è indubbio, nonostante il notevole impatto ambientale che Legambiente ricorda spesso, che un ponte sullo Stretto ridurrebbe i tempi di percorrenza di quei 3,2 km di mare. Ancora oggi chi deve valicare i confini delle due regioni deve calcolare circa 40-60 minuti, quanto un’automobile impiega per percorrere quasi 100 km. La realizzazione dell’opera faciliterebbe la vita di quelle 4.151 persone che ogni giorno si spostano dalla regione Calabria verso la regione Sicilia e delle 1.858 che fanno il viaggio al contrario, quotidianamente. Insomma, rappresenterebbe una rivoluzione per il trasporto di breve distanza, ma ne gioverebbe e non poco anche quello di lunga distanza, dal momento che oggi gli spostamenti su strada risultano oggi molto penalizzati a causa dei tempi e costi elevati per l’attraversamento dello Stretto. Sconfitto, in tutto questo, ne uscirebbe il trasporto marittimo, che fino ad oggi ha rappresentato la modalità più gettonata per attraversare quei 3,3 chilometri che dividono Sicilia e Calabria.

collegamenti
Attuali collegamenti tra Sicilia e Calabria.

Le ricadute industriali della realizzazione dell’opera

La mobilità, comunque, è solo uno degli aspetti su cui l’infrastruttura farebbe sentire la propria influenza. Il Ponte sullo stretto, infatti,  potrebbe rappresentare un’occasione di rilancio del settore delle costruzioni, già gravemente colpito da una crisi che dal 2008 non è mai pienamente finita. La pandemia da Covid-19, con il conseguente lockdown, ha bloccato i timidi segnali di ripresa: secondo i dati dell’Ance, nel 2020 gli investimenti in costruzioni sono crollati a118.354 euro, meno  10,1% in termini reali rispetto all’anno precedente. In particolare, gli investimenti in costruzioni non residenziali pubbliche hanno segnato una flessione del -2,5. Il 2021 dovrebbe rappresentare l’anno della rinascita del settore, che potrà sfruttare le ingenti risorse europee di Next Generation EU, e in particolare del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza: «l’impatto di tale programma dipenderà, però, dalla capacità di mettere in atto misure realmente in grado di accelerare la spesa delle risorse disponibili. Si tratta di 209 miliardi di euro, che raggiungono 224 miliardi di euro in considerazione dell’anticipazione di 21,2 miliardi di risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, da utilizzare entro il 2026. Il 51% riguarda interventi di diretto interesse per il settore delle costruzioni (messa in sicurezza del patrimonio pubblico e privato, rischio idrogeologico, infrastrutture per la mobilità, infrastrutture sociali, città, ecc…)», fa notare l’Ance.

L’eventuale costruzione del Ponte farebbe schizzare la domanda di nuovo acciaio, con ricadute per l’intero mercato delle materie prime: la lega di ferro e carbonio in questi giorni vive già un forte rialzo, con conseguenze  sull’industria siderurgica, colonna portante della manifattura italiana, con un fatturato da 55miliardi nel 2019.

acciaio
Lamiera di acciaio

Ponte : a uno o tre campate

Se gli effetti di un via libera alla realizzazione dell’infrastruttura sono affascinanti, l’impresa non è certo facile. Bisogna valutare gli aspetti tecnici ed ingegneristici. Il collegamento potrebbe avvenire attraverso  un ponte sospeso ad unica campata; un ponte sospeso a più campate; un alveo tunnel  immerso (flottante, anche noto come “tunnel di Archimede”); un’infrastruttura subalvea. Promosse, dal gruppo di lavoro ministeriale, solo le prime due opzioni.

Il ponte a unica campata sarebbe lungo 3,3 km ed «ubicato in corrispondenza del punto di minore distanza fra le sponde dello stretto, a nord della “sella dello Stretto”». Se è vero che ad oggi non esistono attraversamenti con luci di questa lunghezza, è anche vero che c’è già la disponibilità di un progetto definitivo, seppur non ancora approvato dal Cipe, che potrebbe ridurre i tempi di realizzazione. La collocazione, però, non sarebbe, si legge nel report del Ministero, corrispondente alle esigenze di mobilità locali. Un’infrastruttura aerea a più campate, «costituito da un ponte a più luci (2-3) di tipologia e dimensioni simili alle massime già realizzate», sembra essere per i tecnici la via di compromesso ideale per soddisfare le esigenze della mobilità locale e di lunga percorrenza, ma non c’è alcun progetto definitivo e gli studi di fattibilità sono datati. La struttura consentirebbe maggiori possibilità di variazioni architettoniche, ma servono nuovi ed approfonditi studi circa l’attività sismica e le sue conseguenze. Anche in questo caso il ponte sarebbe ubicato in corrispondenza della “sella dello stretto”, dove la profondità del mare risulta essere più contenuta.

La soluzione in alveo, invece, avrebbe uno sviluppo complessivo più contenuto, ma necessiterebbe di un tunnel senza interruzioni di lunghezza complessiva di oltre 15 km per entrambe le modalità di trasporto, ferroviaria e stradale. Il tunnel sub-alveo richiede un’infrastruttura complessiva più lunga (23-39 km a seconda della modalità di trasporto). Entrambe le soluzioni tecnologiche, però, mancherebbero di un progetto definitivo e, soprattutto, dovrebbero attraversare probabilmente più faglie di cui però non è possibile prevedere quale si attiverà, i tempi di ricorrenza e l’eventuale rigetto in caso di terremoto.

Ponte stretto
Le diverse tipologie di Ponte sullo Stretto allo Studio.

Il progetto di Webuild

Ad offrire la soluzione ingegneristica, già pronta ed impacchettata, ad unica campata è Webuild, ex Impregilo, con un progetto già approvato nel 2005 e presentato dalla società Stretto di Messina, in liquidazione dal 2013, che aveva individuato come general contractor il consorzio Eurolink capeggiato proprio da Impregilo (lo stop alla costruzione ha generato un contenzioso da 700 milioni con lo Stato).

L’azienda, attiva nel settore delle costruzioni e guidata da Pietro Salini, ritiene che la realizzazione dell’opera potrebbe «attirare verso l’Italia il commercio mondiale che gravita nel Mediterraneo. Far diventare il Sud Italia polo logistico dell’Unione Europea. Far crescere il know how delle aziende italiane coinvolte. Attivare tutta la filiera locale». Il progetto da solo vale 2,9 miliardi di euro (ma il valore salirebbe a 7,1 miliardi a costi aggiornati considerando il progetto complessivo con tutte le opere connesse nelle aree interessate, tra cui la metropolitana di Messina) e darebbe occupazione a 118mila persone.

Il ponte sullo Stretto, a campata unica, sarebbe il più lungo del mondo, 3.660 metri, con un altezza delle torri di 399 metri. L’impalcato sarebbe lungo 61 metri, mentre l’altezza libera per il transito è prevista essere di 65 metri. Per la realizzazione serviranno 1,5 milioni di tonnellate di cemento e 376mila tonnellate di acciaio. Webuild sostiene di poter partire in 8 mesi dal via libera e di poter completare il cantiere entro 7 anni.

Il progetto di Italferr

Aldo Isi, amministratore delegato Italferr
Aldo Isi, amministratore delegato Italferr

Anche Italferr, controllata dalle Ferrovie dello Stato, ha un progetto pronto, ufficializzato ad ottobre 2020. Il ponte sullo Stretto dovrebbe essere a tre campate, ovvero a tre archi e non più a luce unica, con quattro corsie autostradali e due ferroviarie e una parte centrale con una luce di 2000 metri. Il costo sarebbe di un miliardo e 850 milioni di euro e potrebbe essere pronto in soli 4 anni.

Il nodo finanziamento

C’è da risolvere anche un altro nodo non esattamente secondario a quello ingegneristico, quello dei soldi. Chi finanzierà l’opera? Nel documento del Ministero, si scrive che appare «ragionevole che l’investimento sia effettuato direttamente con risorse pubbliche (nazionali e/o europee). Nell’ambito di questo approccio è possibile valutare comunque, sempre con risorse pubbliche, l’affidamento dei lavori sia per la costruzione che per un periodo di gestione e manutenzione dell’infrastruttura e delle opere connesse all’attraversamento stabile». Eppure, la realizzazione dell’infrastruttura non è stata inserita tra quelle finanziabili dal Recovery plan, anche per una questione di tempi, dal momento che secondo le regole del Pnrr, entro il 2026, i lotti devono essere in esercizio, fruibili.

Il premier Mario Draghi

C’è l’ipotesi del project financing, la concessione a privati che assorbirebbero i costi con l’introito dei pedaggi, che i tecnici escludono perché «la brevità del percorso di attraversamento e delle relative opere connesse non consente di prevedere un volume di pedaggi a carico degli utenti in grado di consentire una operazione» simile. Nel caso, però, si dovesse scegliere questa strada e si approverebbe il progetto di Webuild, la società guidata da Pietro Salini è pronta a mettere sul piatto circa 4 miliardi, ottenendo in cambio la gestione dell’infrastruttura per 30 o 40 anni, mentre il resto, circa 2 miliardi, sarebbe a carico delle due Regioni.

 














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