Il grande difetto del Pnrr: manca una visione di politica industriale

di Alice Ampola ♦︎ Nel Pnrr nessuna linea di intervento per l'industria. Siderurgia, motoristica, machinery e chimica finiscono nel dimenticatoio. Se n’è parlato nel corso di un evento del Politecnico di Milano, cui hanno partecipato i professori Marco Giorgino, Mario Calderini, Giovanni Azzone e Lucia Tajoli

Pnrr politica industriale

Mentre l’industria italiana fa i conti con i numeri di un 2020 che ha risentito fortemente della crisi pandemica e delle misure restrittive, il Governo italiano è chiamato alla difficile sfida della ripresa post Covid. A disposizione per la ripartenza ci sono risorse senza precedenti e il Premier Draghi, insieme ai suoi ministri, si trova a giocare una partita di portata epocale. Peccato, però, che in questo importantissimo match, che dovrebbe risollevare le sorti del bel Paese, non si intraveda, concretamente, alcuna visione di politica industriale.

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Recovery plan, l’esecutivo traccia solo obiettivi, target e budget, dettati anche dalle indicazioni arrivate dall’Europa, su temi ampi e trasversali quali, tra gli altri, la digitalizzazione, la transizione sostenibile, l’inclusione. Manca, rifacendoci alla definizione di politica industriale riportata dall’enciclopedia Treccani, una «asta area di interventi che le autorità di governo possono compiere per orientare e controllare il processo di trasformazione strutturale di un’economia. L’assunzione di fondo è che il processo di industrializzazione svolga la funzione di guida dell’intero processo di trasformazione dell’economia e che quindi, agendo su questo, sia possibile indirizzare il più generale meccanismo del mutamento strutturale del Paese».







Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri

Insomma, ancora una volta, come sottolineato più volte in queste pagine, vediamo sfumarsi quell’invito che Filippo Astone, direttore di Industria Italia, auspica in «Industriamo l’Italia! Viaggio nell’economia reale che cambia», edito da Magenese.

A sostenerlo, a chiare lettere è Marco Giorgino, professore di Financial Markets & Institutions and Financial Risk Management presso il Politecnico di Milano: «Non vedo una politica industriale nel piano, c’è più una politica economica», sostiene l’esperto.

Allocazione risorse Rrf per digitale, ecologia e mezzogiorno. Fonte: Pnrr – Governo.it

Le difficoltà dell’industria italiana

Eppure i numeri dell’industria italiana sono penosi. Il fatturato, nell’annus horribilis della pandemia, ha registrato un calo dell’11,5% rispetto al 2019: il peggior risultato dal 2009, ovvero dall’ultima grande crisi che ha interessato lo Stivale. Simili i numeri sul mercato interno (-11,5%) e su quello estero (-11,8%), seppur il primo, negli ultimi sei mesi ha mostrato un recupero più veloce. «Un anno funesto. Dati devastanti. Il 2020 segna un tracollo del fatturato, -11,5%, secondo solo a quello dell’anno più buio della crisi precedente, il 2009, quando rispetto al 2008 ci fu un tonfo pari al 19%. Anche il fatturato interno registra un -11,5% contro il -17,5% del 2009», aveva commentato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori in occasione della presentazione dei dati Istat. «Gli ordinativi, che purtroppo non saranno più rilevati a partire dal prossimo comunicato, pur scendendo del 9,6% rispetto al 2019, hanno, però, una caduta più contenuta nel confronto con il 2009, -9,6% contro un -22,3%, un dato che fa sperare in una ripresa del fatturato 2021», affermava Dona.

Stime, quelle sopra, che però non hanno in alcun modo influenzato la scelta di destinazione e di utilizzo dei 222,1 miliardi del Pnrr, somma dei 191,5 miliardi finanziati dall’Europa, attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, strumento chiave del Next Generation Eu, e 30,6 miliardi di risorse interne, in arrivo dal Fondo complementare finanziato dallo scostamento di bilancio.

Allocazione delle risorse finanziate dall’Europa. Fonte: Pnrr – Governo.it

Marco Giorgino: serve un piano più focalizzato

Ma se le risorse sono ingenti, le politiche del Pnrr sono poco focalizzate.  «Fare politica industriale significa concentrarsi su alcuni settori, mentre nel Pnrr c’è una trasversalità molto ampia, perché i temi della digitalizzazione, della transizione energetica e sostenibile riguardano un po’ tutta la società e l’economia. Non ci concentriamo su nessun settore su cui vogliamo essere eccellenti a livello nazionale ed internazionale», sostiene il professore Giorgino, in occasione del webinar «Il recovery plan ed il nuovo ruolo dello stato», una tavola rotonda, organizzata dallo stesso Politecnico e moderata da Alessandro Perego, Direttore School of Management Politecnico di Milano, cui hanno partecipato anche Mario Calderini, Professore di Social Innovation e Direttore di Tiresia, Centro di Ricerca sulla Finanza e l’Innovazione Sociale; Giovanni Azzone, Professore di Impresa e decisioni strategiche e già Rettore del Politecnico di Milano; Lucia Tajoli, Professoressa di Politica economica.

Marco Giorgino
Marco Giorgino, professore di Financial Markets & Institutions and Financial Risk Management

Si può sperare in un effetto domino? Forse. «Se funzionerà come volano per attrarre ingenti investimenti privati il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrà un grande successo», spiega il professore di  Financial Markets & Institutions and Financial Risk Management presso il Politecnico di Milano.

«Forse nella stesura del Piano bisognava essere più focalizzati – rimarca Giorgino – Mancano le infrastrutture di rete, quelle delle telecomunicazioni, ma anche le reti idriche». E poi ci sono le piccole e medie imprese, perché fare business significa anche puntare su queste: «il tema delle PMI è centrale per il recupero della competitività delle imprese, innanzitutto, e poi del Paese nel complesso. Investendo in questi capitoli, possiamo far sì che raccolgano risorse sul mercato dei capitali e non solo attraverso il sistema bancario».

Sistema bancario che è stato tenuto fuori da ogni tipo di valutazione sul Pnrr, con le Banche che non sono beneficiare dirette, ma che potrebbero avere un ruolo chiave nella mobilitazione di nuove risorse. «Il Pnrr dovrebbe rendere il sistema socio-economico più sostenibile e questo, di rimando, significa garantire al sistema bancario e finanziario minori rischi. Questo è un tema molto importante oggi: Bce, ma anche l’Autorità bancaria europea, stanno spingendo moltissimo su questo aspetto. Quanto più l’economia non sarà in grado di diventare sostenibile, tanto più non saranno le imprese in grado diventare sostenibili e tanto più questo porterà dei rischi maggiori all’interno degli attivi delle banche o degli attivi degli investitori».

Mario Calderini: non basta un’industria 4.0 rinforzata per fare politica industriale

A fare da eco alle parole di Marco Giorgini è Mario Calderini: «Un ministro del precedente governo, con un’uscita un po’ sfortunata, aveva detto “faremo un’industria 4.0 un po’ rinforzata”. E così è stato, il piano è proprio quella roba lì, ma questo non cambia la faccia del paese o la struttura industriale che avremo fa 15 anni. E questa non è una buona notizia nemmeno per il debito pubblico: al piano è affidato il compito di fornire le risorse che consentano, non a noi, ma ai nostri figli di pagare questo debito. Ecco, non mi preoccupa il debito, ma la politica industriale».

Mario Calderini, Professore di Social Innovation e Direttore di Tiresia
Mario Calderini, Professore di Social Innovation e Direttore di Tiresia

Eppure l’Italia di un piano di rilancio «ne avevo bisogno a prescindere dal Covid-19 e dai soldi europei». Il nostro Paese «è entrato nella crisi con un enorme problema di produttività non risolto, con un problema di specializzazione industriale e recessioni grandissime proprio mentre il mondo stava cambiando tecnologie, generando un deficit importante. Rispetto alla specializzazione industriale ci sono molte idee, molte mediate anche dalle indicazioni dettate dall’Europa, ma non vedo grandi scelte di traiettorie tecnologiche, forse l’idrogeno è una, ma qualche scelta più coraggiosa poteva essere fatta. Il problema di affrontare la specializzazione industriale c’è», sottolinea il Direttore di Tiresia.

E ancora. Il piano, per Caldirini, manca di «consapevolezza». Guardando al documento, nella sua versione complessiva, «manca un ingrediente: la consapevolezza che le misure non vanno tutte nella stessa direzione, anzi. Spesso, rispetto agli obiettivi vanno un po’ in conflitto, ci sono dei trade off chiarissimi. Gli investimenti nel digitale o sul verde necessitano delle misure di inclusione, con un’attenzione a far sì che non aumentino le diseguaglianze. Io credo che bisognerà fare attenzione all’inclusione organica delle diverse cose».

Misure per Digitalizzazione e Industria 4.0. Fonte: Pnrr – Governo.it

Giovanni Azzone: non basta scrivere delle riforme per cui poi succedano

Si concentra sul ruolo dello Stato, invece, l’intervento di Giovanni Azzone, che ritiene che nel Piano, comunque, «ci sono le condizioni per cui chi vuole fare possa provare a fare».

«Non è facile e soprattutto non dobbiamo incorrere nell’errore che sempre commettiamo, ovvero che una volta che il piano è scritto pensiamo che la cosa sia finita e che le cose succedano automaticamente», chiosa Azzone, aggiungendo che nel Recovery «sono stati inseriti tutti i progetti di buon senso, ma non tutti prioritari».

Giovanni Azzone, Professore di Impresa e decisioni strategiche e già Rettore del Politecnico di Milano
Giovanni Azzone, Professore di Impresa e decisioni strategiche e già Rettore del Politecnico di Milano

Tre i ruoli fondamentali che lo Stato, dinanzi al piano e al grande cambiamento che ci attende, assume: «indicare la direzione di sviluppo, perché in assenza di visione complessiva è difficile che le iniziative dei singoli soggetti, privati o pubblici, riescano ad incanalarsi, a contribuire in modo sinergico a questo piano di sviluppo; creare le condizioni abilitanti, ovvero le infrastrutture e il sistema delle regole, come la giustizia; verificare il rispetto delle regole».

Importante anche il ruolo del privato, che nel piano però non viene del tutto esplicitata. «Credo sia difficile, per lo Stato, avere il ruolo di regolatore e di gestore, il ruolo di chi traccia la linea e chi deve gestire direttamente questa linea. Nel momento in cui il pubblico voglia fare il gestore, inizia una competizione squilibrata perché il privato viene messo necessariamente da parte» e invece “abbiamo bisogno di un privato intelligente, di un privato regolato».

«Questo nel piano non è indicato in modo univoco – aggiunge il professore –  ci sono sicuramente elementi di incoraggiamento della competitività complessiva, però questa tensione tra pubblico e privato e la voglia di un pubblico di appropriarsi degli spazi più forti dell’economia io continuo a vederla».

Lucia Tajoli: non bastano sei mesi per rendere più competitiva l’Italia

Ruolo dello Stato a parte, il Pnrr non è certo un strategia a breve e medio termine, i suoi effetti si avranno solo tra anni. A chiarirlo è Lucia Tajoli: «L’obiettivo è rendere più competitiva l’Italia e questo non si fa in sei mesi, evidentemente, ma nel giro di alcuni anni. E bisognerà guardare cosa è successo agli indicatori di competitività del Paese, che dipende da tante cose».

Lucia Tajoli, Professoressa di Politica economicaIl tempo, dunque, non va certamente a favore politico. «Spesso ci troviamo in contrasto tra quelli che sono gli obiettivi economici e quelli che sono gli obiettivi puramente politici. Uno degli aspetti maggiormente critici di questo contrasto è l’orizzonte temporale medio della politica, che tende ad essere estremamente più breve rispetto all’orizzonte medio richiesto per questo tipo di piano. È un piano per il medio e lungo termine, mentre la politica vuole i suoi dividendi nel prossimo ciclo elettorale, che in Italia è sempre molto breve», aggiunge la professoressa di Politica economica.














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