Coronavirus, l’allarme del Cerved: a rischio il 10% delle imprese

Nel suo report l'agenzia di rating mette in guardia il tessuto economico nostrano: se si va avanti così, si rischia un bagno di sangue

Mentre la Borsa sprofonda e lo spread torna a galoppare, c’è un altro dato che fa tremare gli economisti: il 10% delle imprese italiane è a rischio fallimento. A dirlo il Gruppo Cerved che nel suo report “Impact of the Coronavirus on the Italian non-financial corporates” avverte che senza uno stop al contagio, tre settori potrebbero implodere: il tessile, i trasporti e il turismo.

D’altronde, le conseguenze del contagio sono già evidenti: rallentamenti nella produzione, chiusure temporanee forzate, calo dei margini. In uno scenario macroeconomico domestico e internazionale già caratterizzato da un rallentamento generalizzato della crescita, gli effetti del virus sulla produzione cinese hanno comportato nelle scorse settimane una netta frenata del comparto manifatturiero, con conseguenze a catena non trascurabili sullo stato di salute dei mercati mondiali.







In particolare, nelle scorse settimane si è assistito alle tipiche manifestazioni di fenomeni di crisi, quali il calo del valore delle principali materie prime come petrolio, rame e gas naturale, congiuntamente a un aumento del valore dell’oro. Quali effetti possiamo aspettarci ora? Quanto durerà la crisi e come reagirà la nostra economia, già soggetta a stime di crescita molto contenute? Sono questi i principali quesiti affrontati dallo studio di Cerved Rating Agency, che ha ipotizzato per i prossimi mesi due scenari: nel caso più favorevole, si prevede che la crisi sanitaria possa perdurare fino a metà anno, con un’eco non trascurabile sulla solidità finanziaria delle nostre aziende, già investite dalla crisi; nel caso più sfavorevole, invece, si delinea l’ipotesi non poi così remota del dilagarsi della pandemia, con effetti globali duraturi e deleteri fino alla fine dell’anno.

Entrambi gli scenari sono stati applicati al portafoglio di simulazione, costituito da circa 25.000 rating emessi recentemente da Cerved Rating Agency e sufficientemente rappresentativo del comparto delle aziende italiane, tramite l’adozione di un approccio di natura quali-quantitativa. Le ipotesi riguardano essenzialmente le evoluzioni attese in termini di valore e costo della produzione, principali voci di bilancio per cui si prevede un calo (con alcune eccezioni per il settore farmaceutico) derivante dalla riduzione dei volumi di produzione e di contrazione della domanda.

Analogamente, si prevede un peggioramento generalizzato del capitale circolante netto e un aumento dei debiti finanziari a breve. Tali ipotesi sul comportamento atteso delle aziende italiane possono pertanto determinare una generale involuzione delle dinamiche economico-finanziarie che influenza la performance economica, la struttura finanziaria e l’andamento dei pagamenti. Ciò che ci si attende, con impatti diversi a seconda degli scenari soft o hard, è un graduale popolamento delle classi più rischiose, con conseguente aumento della probabilità media di default.

In base alla gravità dello scenario, e stimando alle condizioni attuali una probabilità di default pari a 4.9% come valore medio, si sale, nell’ipotesi soft, al 6.8% (con variazione per settore tra il 2.7% e il 10.6%), mentre nello scenario hard la probabilità di default media stimata nell’intervallo considerato arriva al 10.4%, con variazione per settore tra il 7.5% e il 15.4%. Questo notevole aumento del rischio deriva dalla particolare severità dello scenario, in cui si ipotizza una pandemia con effetti gravi e duraturi. In sintesi, a partire dalla distribuzione attuale delle aziende in sicurezza, solvibili, vulnerabili e rischiose, Cerved Rating Agency stima le seguenti transizioni nei due scenari.

Le imprese cosiddette “a rischio” aumenterebbero dell’8% nel caso soft e addirittura del 26% nel caso hard, con conseguenze quasi imprevedibili per il tessuto economico locale e nazionale, con inevitabili fallimenti e chiusure delle aziende coinvolte. Il deterioramento di merito creditizio ipotizzato, insieme agli effetti negativi derivanti dall’innalzamento del livello complessivo di indebitamento finanziario a breve termine, sarebbe particolarmente rilevante per settori più esposti come il turismo e le aziende del comparto manifatturiero che presentano interconnessioni maggiori con la Cina, soprattutto per quanto attiene all’importazione delle materie prime.














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