Report Cerved sulle Pmi: con il Public Procurement aumentano fatturato (+15,5%) e occupazione (+10,5%)

Alla tavola rotonda hanno preso parte: Andrea Mignanelli (Cerved), Antonio Angelino (Cerved), Letizia Sampoli (CeBi), Fabiano Schivardi (Luiss University), Antonio Frezza (Sace), Ferruccio Ferranti (Mediocredito Centrale), Corrado Piazzalunga (Unicredit) e Marta Testi (Elite)

Andrea Mignanelli , ceo di Cerved

Cerved ha analizzato le caratteristiche delle imprese che hanno ottenuto appalti pubblici nel 2016-2022 per valutare gli impatti dell’aggiudicazione su crescita, lavoro, produttività e rischio: i risultati maggiori riguardano le imprese meno produttive (+17% di ricavi rispetto alle produttive) e meno rischiose (+18%), mentre peggiora la rischiosità per le imprese già in difficoltà finanziaria (+5,9%). Dopo un 2022 ampiamente positivo per le Pmi italiane (+6,1% di fatturato, +3,2% di valore aggiunto), benché non ai livelli del 2021, il 2023 ha portato con sé una decisa inversione di tendenza, causata tra l’altro dall’inflazione a livelli record, dai ripetuti rialzi dei tassi di interesse e dal nuovo conflitto in Medio Oriente. Lo confermano i dati diffusi da Cerved sulle chiusure e sulle abitudini di pagamento delle Pmi, che hanno ripreso a crescere: per la prima volta dal 2019, infatti, sono aumentate in modo significativo (+33,3%) le piccole e medie imprese che hanno terminato l’attività, sia per fallimenti (+25,2%) che per liquidazioni in bonis (+36%), e, dopo i minimi storici del 2022, sono tornati a salire (3,2%) anche i ritardi di oltre due mesi nei pagamenti, o addirittura le insolvenze, arrivate al 10% a giugno scorso. Quanto alle previsioni per il 2024-25, non lasciano ben sperare, soprattutto sotto il profilo del rischio: in base al Cerved Group Score Forward Looking, l’indice di rischio prospettico elaborato da Cerved, pur ipotizzando uno scenario base di stabilizzazione dei prezzi e rientro dei tassi nel 2024, le Pmi in area di sicurezza scenderebbero al 37,3% dall’attuale 41% (erano il 42,2% nel 2022), mentre quelle rischiose salirebbero all’8% dal 7,1%; nello scenario più pessimistico, in cui gli elementi di criticità dovessero peggiorare, la quota di Pmi a rischio toccherebbe l’8,5%, con un quinto delle aziende in area di vulnerabilità (oggi al 16,7%) e un’ulteriore riduzione (34,2%) di quelle sicure. La quota di debiti finanziari in capo a Pmi a rischio passerebbe dal 7,6% al 9,9% nello scenario base e al 10,3% in quello peggiore (17% per le costruzioni, colpite dalla fine degli incentivi, che vedrebbero anche una contrazione dei ricavi: -1,8% nel 2023, -9% nel 2024, -3,6% nel 2025).

Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto Cerved Pmi 2023, lo strumento di analisi della condizione economico-finanziaria delle piccole e medie imprese italiane (ne esamina quasi 164.000, cioè il 18,3% delle società che hanno depositato un bilancio valido, con 4,7 milioni di addetti e un giro d’affari superiore ai 900 miliardi di euro) che da ben 10 anni la tech-company Cerved mette a disposizione di mercato e istituzioni per aiutarli a proteggersi dal rischio e a crescere in maniera sostenibile. Sempre in base alle previsioni, nel triennio 2023-25 anche i fatturati reali delle Pmi rallenteranno il ritmo di crescita rispetto al 2021-22 (+2,2% nel 2023, +1,5% nel 2024 e +1,8% nel 2025) e caleranno il margine operativo lordo (-0,6%) e il Roe (dal 13,2% del 2022 al 9,8%), con impatti particolarmente consistenti su costruzioni (-2,2%) ed energia e utility (dal 18,6% al 12,2%); in aggiunta, cresceranno i tassi di deterioramento del credito alle imprese (3,1% nel 2023, per la prima volta superiore al 2,9% del pre-Covid, e 3,8% nel 2024, il valore più alto dal 2016), per poi diminuire nel 2025.







Il Public Procurement: quanto e come impatta sulle performance delle Pmi?

Nel 2021 sono stati ben 211 i miliardi di euro che la PA ha pagato attraverso appalti pubblici per l’acquisto di beni e servizi, pari all’11,8% del Pil. Una cifra enorme, specialmente se si considera che – secondo un’analisi pre e post gara condotta da Cerved tra il 2016 e il 2022, utilizzando anche un campione di controllo – vincere una gara pubblica permette in media e a parità di condizioni una crescita del 15,5% dei ricavi (ben il 20% al Sud) e del 10,5% dell’occupazione per le aziende che si aggiudicano i contratti rispetto a chi non lavora con la PA. Un elemento dunque capace di fare la differenza – soprattutto in periodi di grande crisi come quello del Covid – ma che implica anche la necessità di allocare al meglio il denaro pubblico: nel 2022, 1 miliardo e mezzo di euro è andato a circa un migliaio di aziende poi uscite dal mercato, e 4,5 miliardi ad altre 3.000 che non sono state in grado di migliorare le performance. D’altra parte, 14,4 miliardi di euro hanno raggiunto 10.000 imprese capaci di trarne vantaggio.

«Il Public Procurement è una leva importante di politica industriale per generare crescita, occupazione e competitività ma gli impatti non sono uguali per tutte le imprese – afferma Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved -. Dati, tecnologie, algoritmi e un approccio evidence based possono essere strumenti utili per evitare di allocare risorse pubbliche in modo inefficiente o per individuare le imprese su cui puntare”. Infatti, se da un lato avere clienti pubblici favorisce la crescita delle aziende, anche in periodi di grave crisi come quello del Covid, non ne migliora né la produttività né la classe di rischio, anzi, la peggiora (+5,9%) per quelle che sono già rischiose. «La nostra analisi – conclude Mignanelli – conferma la necessità di adottare approcci più selettivi quando si valuta a chi affidare commesse pubbliche, così da destinare le risorse a imprese capaci di svilupparsi e garantire impatti trasformativi sul nostro sistema economico. Per farlo, però, occorre utilizzare un ecosistema di dati, tecnologie e algoritmi in grado di individuare le imprese su cui puntare».

Entrando più nel dettaglio, Cerved ha analizzato le caratteristiche delle imprese che si sono aggiudicate contratti pubblici nel 2016-2022, quantificandone poi gli impatti su crescita e performance. Le Pmi che hanno vinto almeno una gara sono state 52.329 (31,9%), per un importo vicino ai 34 miliardi di euro, a fronte del 50% circa delle imprese grandi, che hanno ottenuto più del doppio del valore (72 miliardi) e una quota sul totale degli appalti cresciuta negli ultimi sei anni dal 60,7% al 68,2%. Il settore che dipende maggiormente dal Public Procurement è quello delle costruzioni (16,4% del fatturato delle grandi aziende e 12,5% delle Pmi), seguito da energia e utility (6,4% dei ricavi delle PMI). Complessivamente, per le piccole e medie imprese il peso degli importi derivati da contratti con la PA sui ricavi è pari al 3,7% – percentuale che sale al 6,2% al Sud e al 5% al Centro – mentre per le grandi imprese si arriva al 4,1%. In generale, le imprese fornitrici della PA nel 2022 erano caratterizzate da livelli maggiori di produttività e redditività, e da una rischiosità mediamente più bassa. Sulla base dell’andamento nel 2023 è stata poi stimata l’evoluzione di queste aziende, che hanno registrato un tasso di uscita dal mercato più che dimezzato rispetto a quelle senza contratti (1,8% contro 3,8%): le circa 10.000 imprese che sono cresciute hanno ricevuto circa 14,4 miliardi di euro pubblici, mentre al migliaio che ha chiuso e alle quasi 3.000 “peggiorate” sono andati rispettivamente 1,5 e 4,5 miliardi di euro. La percentuale in miglioramento aumenta al crescere dell’importo, sfiorando il 20% nel caso di cifre superiori ai 900 mila euro, e nelle aziende con meno di 10 anni. A livello settoriale, la vittoria di una gara pubblica è di aiuto soprattutto nei servizi (6,5% di esiti negativi contro il 12,8%), nelle costruzioni (8,1% contro 11,4%) e nell’energia e utility (6% contro 9,1%). A livello territoriale, i gap più marcati si riscontrano nel Centro (7,9% di esiti negativi contro 13,1%) e nel Sud (7,9% contro 11,8%), mentre il Nord-Est è l’area dove la differenza si nota meno (5,1% contro 8,2%).

Da un 2022 positivo all’inversione di tendenza del 2023

Nel Rapporto Cerved Pmi particolare attenzione è dedicata all’analisi delle piccole e medie imprese nel 2023, quando si è registrata una battuta d’arresto nella crescita dell’economia italiana dopo la sostanziale tenuta del 2022, caratterizzato da poche chiusure, fatturati reali in crescita del 6,1% soprattutto per effetto delle piccole imprese, +3,2% di valore aggiunto nonostante il rialzo dei costi degli acquisti e Mol al 3,6%. Risultati ottenuti ribaltando buona parte dei rincari sui prezzi di vendita grazie alla tenuta della domanda interna e alla “coda” delle politiche di sostegno messe in campo per contrastare la crisi da Covid. Già nel primo semestre di quest’anno, invece, l’andamento dei dati sulla demografia d’impresa e le abitudini di pagamento ha fatto registrare una decisa inversione di tendenza, con situazioni di difficoltà più diffuse: dopo il calo dei tassi di natalità registrato nel 2022, le nascite hanno continuato a diminuire del 2,3% su base annua, con una contrazione particolarmente significativa nelle Srl semplificate (-7,9%) e nell’edilizia (-8,0%). In parallelo, per la prima volta dal 2019 sono tornate a crescere le chiusure di impresa (+33,3%), con un aumento del 25,2% per i fallimenti e del 36% per le liquidazioni in bonis, soprattutto nel manifatturiero (+50,6% fallimenti, +55,4% liquidazioni). Un altro segnale negativo proviene dalle abitudini di pagamento, con le aziende di piccola dimensione che -per la maggiore pressione esercitata dalle medie e dalle grandi – devono sottostare a scadenze più rigide (in media i termini sono scesi da 54,2 a 53,8 giorni) e una crescita media complessiva dei ritardi che riguarda invece tutte le Pmi (da 7,1 a 7,4 giorni). Dopo i minimi storici del 2022 tornano poi a crescere anche i gravi ritardi (pagamenti oltre due mesi dopo il termine pattuito), che raggiungono il 3,2%, e i mancati pagamenti (dal 9% del giugno 2022 al 10% del giugno 2023), con i peggioramenti più accentuati nei comparti energetico (+3,5%), agricolo (+2,8%) ed edilizio (+2,2%).

Il back-to-bonis: su oltre 22.000 Pmi a rischio, il 24% ha ottime e il 52% buone possibilità di risanarsi

Tuttavia, le situazioni di crisi non sono necessariamente irreversibili. Sulla base dell’integrazione di diversi set informativi, Cerved ha sviluppato il Back-to-Bonis Score modellando una serie di algoritmi predittivi che stimano le capacità di recupero per ogni posizione deteriorata o a rischio di deterioramento: su oltre 22.000 Pmi in situazioni di crisi o di forte rischio, il 24% ha ottime e il 52% buone possibilità di rientro in bonis. Evidenze simili si riscontrano per le Pmi coinvolte nel Public Procurement, che presentano una percentuale di risanamento del 69,4% e tassi di uscita del 3,2%, decisamente migliori rispetto a quelle che non si sono aggiudicate appalti pubblici (58% e 7,6%). Anche il 25% delle Pmi che ricevono garanzie pubbliche hanno alte probabilità di ritorno in bonis, contro il 20,8% di quelle che non hanno fatto ricorso al Fondo di Garanzia.

Tassi di sopravvivenza e capacità di recupero delle Pmi: il ruolo di una leadership femminile

Ma quali sono le caratteristiche endogene che permettono a un’impresa di non entrare in crisi e di svilupparsi? Cerved ha analizzato i tassi di sopravvivenza delle nuove nate nel corso della crisi pandemica, osservando come la capacità di radicarsi sul mercato sia spesso associata a determinati assetti di governance e pratiche manageriali. Ad esempio, dopo un anno hanno dimostrato percentuali di radicamento molto più elevate le imprese a controllo familiare (57,9% contro il 50,5% di media), quelle con un amministratore delegato esterno (60,1%), le start-up innovative (51,4%), le aziende guidate da under 35 (52,2%), ma soprattutto quelle con leadership femminile: in controtendenza rispetto agli altri cluster, migliorano il tasso di sopravvivenza, passando dal 57,1% del 2020 (per le nate nel 2019) al 58,2% del 2021 (per le nate nel 2020). Simili evidenze si osservano anche per le imprese “zombie” che riescono a risanarsi: le Pmi a controllo familiare presentano percentuali nettamente più alte rispetto al dato generale (67,1% contro 61,1%) e soprattutto tassi di uscita dal mercato più bassi (2,4% contro 6,4%); lo stesso vale per quelle a conduzione femminile (63,7% risanate e 3,1% uscite dal mercato). I dati mostrano gli impatti positivi anche delle politiche di sostegno e della committenza pubblica: il 70% delle Pmi zombie che ha ricevuto finanziamenti garantiti risulta risanato, contro il 53,6% delle non finanziate. Gli effetti del Fondo di Garanzia sono ancora più evidenti guardando ai tassi di uscita dal mercato: 1,8% contro il 10,3% delle non finanziate.

Il rapporto, introdotto da Andrea Mignanelli, ceo di Cerved, è stato illustrato da Antonio Angelino, head of research di Cerved, Letizia Sampoli, head of qualitative risk analysis and forecasting di CeBi, Cerved e Fabiano Schivardi, vice rettore della Luiss University. È poi seguita una tavola rotonda, moderata dal direttore di Class Cnbc Andrea Cabrini, a cui hanno preso parte: Antonio Frezza, chief marketing & sales Pmi di Sace, Ferruccio Ferranti, presidente di Mediocredito Centrale, Corrado Piazzalunga, head of cCorporate sales di Unicredit, Marta Testi, ceo di Elite – Euronext Group e Carlo Purassanta, executive vice president, strategy and corporate development di Ion. Le conclusioni sono state affidate a Carlo Cottarelli, economista e direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica.














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