Coronavirus, Bentivogli: fermate produttive da finanziare con la cassa e sanificazioni profonde

di Marco de' Francesco ♦︎ Il leader della Fim Cisl a Industria Italiana: falso che le imprese abbiano chiuso volontariamente. Serve rallentare la produzione per garantire la salute dei dipendenti. Già in Lombardia sono arrivate 400 richieste di Cig per 15mila lavoratori. I casi Fca, Lamborghini, Ducati…

Linea di assemblaggio in stabilimento Fca

À la guerre comme à la guerre! Il Protocollo governativo che fissa le regole per il lavoro, come la sanificazione delle tastiere e le distanze obbligatorie in mensa, sembrava aver posto una pietra tombale sulle rivendicazioni sindacali in fatto di sicurezza da Coronavirus. Non è per niente così, almeno non per tutti: per il segretario generale di Fim Cisl Marco Bentivogli, è solo un parametro per valutare il comportamento delle aziende. 

Vanno serrate e sanificate, per una settimana, le imprese che non riescono a garantire il contenimento del contagio; e quelle che non collaborano con i Rls e Rsu in tema di salute pubblica. Perché continuare a lavorare esponendo le persone al rischio di contagio «è criminale». E resta in piedi il tema della serrata generale in Lombardia, «se il numero degli infetti dovesse continuare ad aumentare».







Eventuali «fermate produttive» vanno finanziate con gli ammortizzatori sociali, anche sforando i vincoli europei di bilancio. Occorre, però, un fermo controllo, affinché non si verifichino comportamenti furbeschi, tesi a raccattare risorse pubbliche lì dove non ce n’è bisogno. In questo gioco, peraltro, il mondo industriale si sta muovendo controvoglia, spinto dalle proteste, e il governo ha dimostrato, ancora una volta, di essere lontano dal mondo produttivo. Così la pensa Bentivogli, da noi intervistato.

 

D: Di fronte all’emergenza Coronavirus, per ora le industrie sono state escluse dalla serrata generale, che ha invece riguardato altri settori economici. Tuttavia, alcune aziende hanno deciso di chiudere spontaneamente, come i quattro stabilimenti Fca di Melfi, Cassino, Pomigliano e la Sevel

Aventador S line (14)
Lamborghini: linea di montaggio Aventador

R: «Volontariamente? In realtà Fca ha deciso di chiudere su pressione dei nostri delegati, si stava lavorando in condizioni di mancato rispetto dei criteri di sicurezza. Bisogna che ci si fermi qualche giorno e si adeguino gli impianti in maniera da garantire al massimo il contenimento del rischio di contagio. Lo stanno facendo anche altre aziende: Lamborghini, Ducati. A Taranto abbiamo scioperato per il primo turno, l’azienda ha accolto le richieste dei sindacati e siamo rientrati».

 

D: Fino a ieri l’altro, i sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil ipotizzavano la momentanea fermata delle imprese di settore, fino a domenica 22 marzo, anche per sanificare gli ambienti di lavoro. Confindustria non era d’accordo; soprattutto quella lombarda, che con il presidente Marco Bonometti parlava di “irresponsabilità” dei richiedenti. Qual è, secondo Lei, la strada giusta da seguire? Che bisogna fare?

R: «Lo chiediamo ancora per le aziende che non capiscono che la sicurezza dal contagio in fabbrica non è un optional. Queste imprese se lo devono mettere in testa: troppi stanno facendo finta che non stia succedendo nulla – e ciò sta avvenendo in maniera indistinta in tutto il paese, sia nelle piccole e medie realtà industriali, che in quelle grandi.  In sintesi: noi sindacati – e lo abbiamo scritto anche in un comunicato congiunto – non invochiamo scioperi a prescindere, ovunque,  ma solo in quelle imprese che non collaborano con i nostri Rls (rappresentanti sindacali per la sicurezza) e le nostre Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) per mettere in atto tutte le azioni necessarie in rapporto alla grave situazione».

 

D: Eventualmente, per quanto tempo dovrebbero fermarsi?

Marco Bonometti, presidente Confindustria Lombardia

R: «Pensare di mandare a massimo regime gli impianti, con il rischio che ci siano contagi, è del tutto insensato: dove non sia possibile garantire la sicurezza con gli apparati in marcia, bisogna fermarsi anche una settimana e mettere in atto tutto quanto previsto dal recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adeguandolo la propria realtà lavorativa ai criteri di massima sicurezza. Non farlo, per poi ritrovarsi con lo stabilimento completamente bloccato per contagi, sarebbe da folli e avrebbe un danno doppio a carico di tutta la comunità. E questo non ce lo possiamo permettere».

 

D: Il governo ha stabilito un insieme di regole di sicurezza per il lavoro in fabbrica. Ad esempio, entrate e uscite scaglionate, controlli della temperatura dei dipendenti all’entrata, distanze obbligatorie in mensa ed altro. Cosa ne pensa?

R: «Il Governo in questi giorni ha pensato a tutti tranne che al lavoro e ai lavoratori: dopo il comunicato congiunto di ieri e alle pressioni di Cgil Cisl Uil a livello nazionale e dalle zone di Italia maggiormente colpite dall’epidemia, siamo arrivati alla convocazione e alla messa a punto delle linee guida. Il Protocollo che ne è scaturito è il punto di riferimento per mettere in sicurezza le fabbriche. Ora siamo più forti in tutte le fabbriche».

 

D: Secondo Fim, Fiom e Uilm, le “fermate produttive” vanno coperte con gli ammortizzatori sociali.  Ma i soldi ci sono? E poi, dicono le sigle che se non ci fossero i soldi, si dovrebbe passare all’«astensione unilaterale nazionale». Che significa? Che strumento è? È uno sciopero?

Marco Bentivogli, Segretario Generale Fim-Cisl

R: «Per quanto riguarda gli ammortizzatori arriverà un provvedimento straordinario nei prossimi giorni. Già in Lombardia abbiamo 400 richieste di cassa integrazione per 15mila lavoratori. Per quanto riguarda le coperture è chiaro che la straordinarietà della situazione richiede interventi in cui anche l’Europa deve darci una mano, in particolare sullo sforamento dei vincoli di bilancio, perché dobbiamo tutelare non solo i lavoratori delle grandi e piccole imprese, ma anche artigiani e tanti lavoratori di molti settori economici che rischiano il posto di lavoro per questa emergenza sanitaria che durerà a lungo. Deve però essere chiaro che la straordinarietà di questi interventi non deve alimentare situazioni di ricorso agli ammortizzatori anche se non ce n’è bisogno. Questa crisi deve farci modificare anche i troppi atteggiamenti furbeschi che per troppi anni hanno drenato risorse alla collettività. Questo virus deve servirci anche a maturate sul piano sociale e collettivo».

 

D: I sindacati lamentano la «penuria» di dispositivi di protezione individuale per i lavoratori. Com’è la situazione?

R: «Comprendiamo che ci sia una carenza nelle forniture di dispositivi di protezione individuale come mascherine e guanti. Dove queste sono strettamente necessarie ma non vengono garantite ai lavoratori, bisogna fermare la produzione. Continuare a lavorare esponendo le persone al rischio di contagio è criminale. Le persone devono, ripeto, lavorare in sicurezza. Fortunatamente in molte aziende sta prevalendo lo spirito di collaborazione, grazie all’impegno dei nostri delegati, Rsu, Rls, in prima linea a gestire questa crisi: in molte realtà sono stati messi a punto protocolli per la sicurezza molto rigidi, spesso ripensando anche al layout degli spazi comuni – come ha fatto l’azienda di semiconduttori LFoundry di Avezzano (L’Aquila, 1500 dipendenti, di proprietà cinese) – e avviati progetti di smart-working. Resta molto critica la situazione in Lombardia dove bisognerà mettere in conto la possibilità di una chiusura totale se il numero contagiati dovesse continuare a crescere».   

 

D: In alcuni casi, la sospensione delle attività industriale comporterebbe gravi problemi nei rapporti con le filiere. Un provvedimento generale di serrata non rischia di peggiorare la situazione? Non sarebbe il caso di valutare l’impatto sui singoli comparti?

Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana

R: «Quanto successo in Cina deve farci riflettere: è un rischio che purtroppo rientra dentro le possibilità di questa crisi planetaria. Alcune nostre aziende nelle settimane scorse hanno avuto problemi per mancanza di forniture dalla Cina; l’effetto a catena per il resto delle nazioni europee è inevitabile. Certamente in caso di serrata generale bisognerà garantire la produzione in quelle aziende strategiche nella gestione della crisi stessa, come quelle biomedicali e quelle delle filiere dei beni di prima necessità. Oggi l’obiettivo comune deve essere quello di arrestare il contagio».

 

D: Come giudica l’operato del governo finora, in rapporto a coronavirus e mondo industriale?

R: «Non è il momento delle polemiche ma, per quanto riguarda l’industria, l’operato di questo governo non aveva certo bisogno della crisi innescata dal covid-19 per mostrare la distanza dal mondo produttivo. Un caso per tutti l’ex-Ilva di Taranto. Questa crisi, come abbiamo detto precedentemente, sta mostrando come l’interdipendenza delle filiere globali del valore debbano farci riflettere che è ragionevole e saggio mantenere nel nostro Paese alcune produzioni industriali strategiche come l’acciaio, senza affidarsi a forniture estere. Ma ora c’è un incendio da spegnere e si getta acqua tutti insieme, poi bisognerà tornare a parlare, sul serio, di industria».














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