2022 anno del riscatto dell’automotive: + 10%! E della grande crisi dei componentisti italiani (-17%)

di Marco De' Francesco ♦︎ Intervista con Stefano Aversa (Alixpartners), tra i guru mondiali del settore auto. L’anno sarà caratterizzato da due tendenze: filiere che faticano a mettersi al passo con le novità tecnologiche della transizione green; misure efficaci contro lo shortage dei microchips. L’Italia perderà 70mila posti di lavoro nel settore, soprattutto pmi Tier 2 e Tier 3. Il nodo incentivi. Il grave problema infrastrutturale delle colonnine di ricarica, che di fatto non ci sono

Una tempesta sta per abbattersi sulla componentistica auto. Non riguarderà i principali protagonisti di un’industria importante per il Paese (punte di diamante come BremboSogefiMarelliLandi Renzo) ma la galassia delle piccole imprese di comparto, i fornitori dei fornitori, detti Tier 2 e Tier 3 in gergo tecnico. Lo prevede Stefano Aversa, vicepresidente di Alix Partners – società (con headquarters a New York) di consulenza e di turnaround – nonché senz’altro uno dei più grandi esperti a livello globale per il settore delle quattro ruote.  Per Aversa, «al netto di coloro che saranno assunti nelle fabbriche di batterie», il Belpaese accuserà la perdita di 70mila posti di lavoro nel settore, una quota in proporzione assai più alta che nel resto dell’Europa. La causa è la transizione green.

Da noi molti componentisti auto si occupano di meccanica, e i loro prodotti non possono essere adattati alle esigenze dei veicoli elettrici. Se un’azienda fa pistoni, o iniettori diesel, è nei guai. Si stanno studiando delle contromisure: ad esempio, quella di orientare la produzione verso più settori ricettivi, come l’aerospazio e il ferroviario. Ma non sarà sempre possibile. Quanto ai tempi, sono dettati dalla rivoluzione verde. Quando si arriverà al primo giro di boa, si compilerà la “butcher’s bill”. Quanto ai carmaker operativi sul suolo italico, per loro non è prevista, per ora, la macelleria sociale. Ma come sta andando il mercato dell’automotive? Secondo Aversa «Una ripresa del 10% o qualcosa di più, a cominciare dalla metà dell’anno in corso». Il 2022, cioè, sarà un anno di parziale riscatto per il mercato dell’automotive, sia in Europa che in Italia, dopo il tonfo del 2020 e il rallentamento del 2021. Il vero rilancio, poi, avverrà nel 2023.







L’outlook tiene conto di due tendenze: da una parte permangono problemi strutturali, con le filiere che faticano a mettersi al passo con le novità tecnologiche richieste dalla transizione green, politicamente imposta in tempi drasticamente brevi; dall’altra, però, allenteranno la presa le questioni contingenti: le case automobilistiche stanno prendendo le misure con lo shortage dei microchips, mentre il Covid-19 si sta gradualmente trasformando in un’influenza. Le vendite dell’auto green, più che raddoppiate tra il 2020 e il 2021, continueranno ad aumentare, ma non con la stessa progressione. La domanda non è alta e non è spontanea, perché non nasce dal mercato; se non si vuole che quest’ultimo rallenti, occorre “drogarlo” con una dose bastevole di incentivi all’acquisto. A medio termine, però, le vendite totali sono destinate a diminuire, perché i consumatori hanno compreso che la transizione green non è per niente a costo zero. Di tutto questo abbiamo parlato con Aversa, che abbiamo intervistato.

 

D: Quanto alla situazione dei carmaker, Tavares (in una intervista al Corriere della Sera) ha affermato che «se potrà evitarlo, eviterà di chiudere stabilimenti», e che in genere «mantiene le sue promesse, ma Stellantis deve anche restare competitiva». Lei come interpreta queste parole? Cosa farà, in Italia soprattutto?

Fca Mirafiori, ora Stellantis. Linea robotizzata per la produzione della 500 elettrica

R: Che devono accadere “cose grosse” perché Stellantis chiuda impianti. Ciò non è impossibile, ma neanche probabile. Tecnicamente ci saranno stabilimenti di produzione di motori, cambi e relativi componenti che dovranno essere riconvertiti (per esempio alla produzione di batterie e motori elettrici) o chiusi; ma non una smobilitazione. Tuttavia, va anche considerato che Tavares non è Marchionne, che gli headquartesr non sono a Torino, e che il centro decisionale non è più in Italia. Insomma, la macelleria sociale per ora non la vedo, ma le “cautele” per il Paese e l’indirizzo di politica industriale non possono essere quelle di qualche anno fa.

 

D: Quanto ai componentisti auto, la crisi sembra colpire soprattutto loro. Il Mise prevede un’ecatombe, che metterebbe fuori gioco ben 101 imprese, che rappresentano il 17% del mercato e degli occupati. C’è una soluzione?

Stefano Aversa, vice presidente globale e presidente Emea della società di management consulting AlixPartners

R: Questo è un problema grosso, perché riguarda tutte quelle attività che non possono adattare il proprio prodotto al green, e che pertanto dovrebbero essere oggetto di una riconversione industriale. Ad esempio, i produttori di pompe o di iniettori per il diesel. Noi abbiamo calcolato che la transizione green, al netto di coloro che andranno a produrre batterie, determinerà una perdita di 400mila posti di lavoro in Europa e di 70mila solo in Italia, perché da noi c’è molta meccanica, e meno elettronica. Insomma, il calo in Italia sarà in proporzione più alto che in altri Paesi. Occorre trovare delle soluzioni molto raffinate: alcuni componenti auto possono essere adattati e trovare applicazione nell’aerospazio e nel ferroviario. Bisogna puntare su più settori di destinazione, perché la perdita dell’automotive non può essere colmata da un solo comparto. Ma tutto ciò in alcuni casi non sarà possibile.

 

D: Gli incentivi agli acquisti possono servire per accelerare la transizione nei paesi meno ricchi, come l’Italia? Sono la soluzione?

Fiat 500E

R: Storicamente gli incentivi, da soli, non hanno risolto alcuna situazione, ma hanno un ruolo importante. Nelle attuali contingenze, possono fornire un aiuto nella gestione della transizione green. Quest’ultima, infatti, non è una risposta dei costruttori ad una domanda dei consumatori, e non ha molto a che fare con il mercato. O meglio: c’è una richiesta di auto “green” dalla base; ma è ancora limitata. Se le vendite si basassero su questa domanda, l’incremento delle vendite delle auto elettriche sarebbe due o tre volte inferiore. Se i consumatori sono attualmente richiesti di preferire l’elettrico, e domani saranno del tutto obbligati ad acquistare le auto green (dal 2030 in Regno Unito e dal 2035 in Unione Europea), allora, per lo meno, vanno aiutati. Insomma, gli incentivi non sono una soluzione, ma, per evitare una frenata troppo brusca del mercato e accelerare la transizione energetica, non si può fare altrimenti.

D: Si devono fare?

R: A questo punto, credo che si fatichi ad immaginare una strada diversa.

D: Secondo Lei i consumatori come stanno interpretando questo aspetto forzoso della transizione green nell’automotive?

R: I consumatori si sono resi conto che la transizione verde non è a costo zero. Hanno capito che nell’acquisto dell’auto green c’è un differenziale dagli 7mila ai 10 mila euro, rispetto all’acquisto di una macchina a motore termico. Molti preferirebbero mantenere la libertà di acquistare un mezzo che consenta loro di fare 600 km senza rifornimento; e altrettanti non vorrebbero essere limitati dalla mancata diffusione di adeguate infrastrutture. I consumatori stanno realizzando che la ricarica alle colonnine costa di più di quanto non immaginassero: un po’ perché il prezzo dell’energia è aumentato, e un po’ perché chi fa l’investimento per la loro installazione vuole anche guadagnarci.

La missione 2 del Pnrr: la transizione ecologica

D: Secondo la Fiom, gli incentivi vanno agganciati all’Isee; secondo la Fim al modello della macchina elettrica, che in genere riflette la capacità di spesa dell’acquirente. Secondo Lei?           

Tesla Model 3

R: Ad essere razionali, gli incentivi vanno collegati alla capacità di un certo modello di abbattere le emissioni di anidride carbonica. Tutta questa rivoluzione non si fa per questo? Lo scopo non è la sostenibilità?  Se è così, questo è il parametro giusto. Vuoi la Tesla da 500 cv che scatta da zero a cento kmh in tre secondi? Nessun problema, te la paghi, senza incentivi.

 

D: Qual è la situazione del settore automotive?

L’app per il parcheggio a guida autonoma Bosch Daimier

R: Anzitutto esistono dei problemi strutturali: la transizione verde non è soltanto una questione del diverso tipo di energia utilizzata per la trazione, ma è soprattutto un tema tecnologico: implica nuove competenze, e un modo differente di costruire l’auto. Anche perché il green si incrocia con il self-driving, e quindi con i sensori radar e lidar, con la connettività, e con l’elaborazione real time di flussi di dati. Anche i dealer stanno mutando: sempre più si compra in rete, e pertanto la loro attività si sposta verso la manutenzione e la riparazione. Il fatto è che non tutte le filiere sono pronte per un cambiamento così radicale. In questa situazione si sono inseriti lo shortage e l’irreperibilità dei microchip, che hanno causato una perdita molto importante di produzione. D’altra parte, quella dell’automotive è una supply chain molto “tirata”, che si fonda sul “just in time”. Quindi, se mancano dei componenti, si ferma tutto perché’ c’è pochissima scorta in magazzino. Sono state immaginate, e talora messe in atto, soluzioni alternative, tipo reperire chip dai distributori, produrre meno auto a miglior margine, o incomplete (da terminare successivamente). Queste strategie hanno solo mitigato l’impatto negative sui carmaker. Oltre a ciò, si sono aggiunte la carenza e l’aumento dei prezzi di altre materie prime, come il rame per l’elettronica, l’allumino per le scocche o il Litio per le batterie. In alcuni casi, come per l’acciaio, non c’è una ragione di mercato, se non speculazione; per altri materiali il problema e’ più strutturale. Infine c’è il problema del reperimento della manodopera che in alcuni paesi scarseggia dopo la pandemia”.

 

D: In sintesi, com’è andata?

Il veicolo elettrico Sony Vision-S, presentato al Ces di Las Vegas del 2020, monta pinze Brembo

R: Il mercato europeo è calato del 24% nel 2020 e del 2.4% nel 2021, fermandosi a 9.7 milioni di autovetture nella EU (3.3 milioni in meno del 2019). In Italia è andata un po’ peggio nel 2020 (-28%), ma meglio nel 2021 con una crescita del 5.5.%. Un dato da segnalare è che in Europa nel mese di dicembre 2021 le full electric hanno compiuto uno storico sorpasso nei confronti dei modelli a gasolio: circa 176mila le prime vendute contro 160mila vetture diesel. Complessivamente, nel 2021 nel Vecchio Continente gli acquisti green hanno riguardato 1,7 milioni di auto, contro le 700mila del 2020. Una progressione importante, che numericamente, però, ha riguardato per lo più il Nord Europa.

 

D: Dunque, si è assistito ad una diminuzione dell’inquinamento?

Ez-Flex, il veicolo elettrico sperimentale di Gruppo Renault per le consegne dell’ultimo miiglo

R: Esattamente il contrario. Si è avuto un aumento delle emissioni di Co2 dal parco auto europeo, perché il diesel consuma di meno del motore termico a benzina, e l’elettrico attualmente non ha numeri sufficienti per determinare una diminuzione. Su scala mondiale, poi, la produzione di batterie e motori elettrici ha un forte impatto ambientale: terre rare, litio, cobalto e altri materiali presenti nelle celle richiedono una attività di raffinazione che richiede energia solo in piccola parte proveniente da fonti rinnovabili. Quando Tavares (in una intervista al Corriere della Sera; Ndr) afferma che i vantaggi ambientali dell’elettrico si ottengono una volta che l’auto ha superato i 70mila km, considera tutti questi aspetti. Ma va anche detto che un’auto green può percorrere 200mila km nella sua vita operativa. Sotto il profilo del CO2, direi che non è vantaggiosa nei primi due anni di attività, ma poi sì.

 

D: E quali sono le previsioni di AlixPartners per il mercato dell’auto nel 2022?

Le molle in fibra di vetro dalla Sogefi

R: Ci attendiamo un recupero non totale, sia in Europa che in Italia, pari alla metà di ciò che si è perduto negli scorsi due anni. I problemi strutturali resteranno, ma l’incidenza di quelli contingenti si attenuerà: le case automobilistiche stanno prendendo le misure sulla questione microchip, e la pandemia sta diventando un’endemia, e cioè un elemento stabilmente presente tra la popolazione, ma non in grado di compromettere la vita sociale e lavorativa. La ripresa incomincerà a primavera ed accelererà nella seconda parte dell’anno. Aumenteranno anche le vendite delle auto full green, ma non con la straordinaria progressione degli ultimi due anni.

 

D: L’Acea dice anche che la diffusione dell’auto elettrica è proporzionale a quella delle colonnine. Come siamo messi in Italia? Quanto conta, in realtà, l’aspetto infrastrutturale?

Colonnina JuiceBox di Enel X

R: Siamo in ritardo, rispetto ad altri Paesi europei. L’Acea ha ragione, nel senso che occorre una colonnina ogni dieci macchine elettriche, perché il sistema funzioni. Da noi ce n’è una ogni 17 auto. E poi ci sono colonnine e colonnine: di quelle superveloci, quelle che ti consentono di ricaricare l’80% della batteria in trenta minuti, ce ne sono poche persino in autostrada. Infine, la loro diffusione non è ancora omogenea su tutto il territorio italiano.

 

D: Sempre l’Acea afferma che, dato il costo dell’auto elettrica, esiste per ora una relazione tra il pil pro capite, il reddito e la diffusione dell’auto green, che sarebbe più intensa nei paesi del Nord Europa anche per questo. Lei è d’accordo con questa valutazione? 

R: Sì, questa valutazione è corretta. Almeno per adesso, le auto elettriche sono destinate alla borghesia avanzata e benestante. E questo produrrà un effetto generale sull’automotive: dal momento che il green per i più costa troppo e che il diesel è da anni sotto attacco, molti possibili acquirenti restano in una posizione attendista, e non comprano né l’auto elettrica né quella a motore termico. Il risultato è che il parco delle auto circolanti è sempre più vecchio (in Italia, ha in media 25 anni; Ndr) mentre le vendite di veicoli di ogni tipo sono destinate a diminuire, in tutta l’Europa occidentale. Peraltro, la macchina non è più neppure uno status symbol, almeno nel significato che avremmo potuto attribuire a questa espressione una ventina o una trentina di anni fa. Quanto alle differenze con i Paesi nordici, però, non si esauriscono nel loro maggior reddito o nell’intensità della distribuzione delle colonnine. C’è anche un fatto culturale: in quei Paesi la gente è mediamente più istruita e più attenta a questioni ambientali.














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