Crisi delle Pmi: uscirne è possibile. Ma ci vogliono incentivi, infrastrutture, banda larga. Valvason, direttore di A.P.I, ci spiega come

di Barbara Weisz ♦︎ Intervista al direttore dell'associazione di piccole imprese, che analizza le difficoltà del comparto. E suggerisce vie per migliorare la situazione. Come incentivi mirati, investimenti sul broadband. Ma è anche necessario snellire la burocrazia e investire sulla formazione dei giovani. E sul Pnrr

«Siamo di fronte più che a un’epoca di cambiamenti, al cambiamento di un’epoca». Stefano Valvason direttore generale A.p.i., è ottimista sul futuro della manifattura, pur a fronte delle difficoltà contingenti. Perché le imprese hanno flessibilità versatilità, e sono preparate a cogliere le opportunità delle transizioni in atto. Il punto è proprio questo: le transizioni, al plurale. Alla sfida della digitalizzazione si aggiungono ora quelle legate alla sostenibilità energetica e in generale all’economia green. E in un clima di tassi alti, produzione in frenata, situazione internazionale complessa, sono necessari interventi per fare sistema. In primis, una revisione efficace degli incentivi alle imprese, che privilegi strumenti agili come il credito d’imposta. Poi, un’accelerazione sul piano banda ultralarga, perché ci sono aziende in piena Lombardia che devono lavorare con l’Adsl. Il Pnrr a sua volta deve riuscire a far arrivare risorse alle imprese e a superare la dicotomia ancora esistente fra mondo imprenditoriale e pubblica amministrazione. Infine, grande attenzione alle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale. Anche con adeguate politiche sul fronte delle competenze che le aziende cercano e non trovano. Qui c’è un ruolo importante anche del mondo associativo, che deve rendere il sistema delle piccole e medie imprese, asse portante del mondo imprenditoriale italiano, attrattivo per i giovani che escono dalla scuola. «C’è la possibilità di scrivere nuove pagine dell’industria manifatturiera. Ma bisogna sostenere adeguatamente questo processo di innovazione» sintetizza il direttore generale dell’associazione imprenditoriale delle imprese industriali che fa parte del sistema Confartigianato, intervistato da Industria Italiana sulle sfide attuali, che uniscono difficoltà congiunturali a trasformazioni strutturali.

D: Direttore, innanzitutto qual è il vostro sentiment sui dati macroeconomici, a partire dalla frenata della produzione industriale (dopo il crollo di aprile c’è un recupero in maggio, ma solo parziale), e sui mesi che stanno arrivando. Gli imprenditori sono preoccupati, sta calando la fiducia?

R: Il sentiment degli imprenditori fino a oggi non è negativo, e devo dire che tutto sommato anche le previsioni a fine anno sono positive. C’è senz’altro una grande attenzione sulla recessione tedesca. Tante nostre imprese, soprattutto metalmeccaniche, sono fornitrici o hanno la Germania come fornitore, e sono preoccupate perché cominciano a vedere un calo di ordini, o comunque un rallentamento di quell’economia. E’ oggettivamente una preoccupazione importante, per la gran parte dei nostro associati non si è ancora tradotta in fatti concreti, ma per alcuni sì».







D: Riguarda particolari settori?

R: Il settore che ne risente di più è il metalmeccanico.

D: Non solo l’auto quindi?

R: Assolutamente no, non solo l’auto.

Nonostante il periodo difficile, il clima di fiducia delle imprese non sta calando troppo, come evidenziano le analisi di Istat (Fonte: Istat)

D: Come si affronta secondo voi questa situazione?

R: Il fatto è che la nostra manifattura sta attraversando una momento di transizione di tutto il paese: transizione digitale, energetica, tecnologica, demografica. C’è una grande difficoltà a trovare profili professionali adeguati al cambiamento. E in più le transizioni industriali importanti di cui sopra. A partire in effetti dall’automotive, che impatta significativamente su molte filiere produttive. C’è poi tutto il tema legato all‘intelligenza artificiale, che al momento interessa le aziende più innovatrici, pioniere da questo punto di vista. Ma nel medio termine, anzi anche nel breve, comincerà a impattare sulla gran parte delle nostre associate. Quindi, c’è la necessità di un sostegno a piani di investimento. Un elemento centrale secondo noi è la riforma del sistema di incentivi alle imprese. Oggi quello degli incentivi è un sistema inefficace, fra click day e finanziamenti a pioggia, che poi fanno fatica ad arrivare alle nostre imprese. La formula che riteniamo più adeguata è il credito imposta sul modello industria 4.0, che però si è ridotto di intensità. E’ positivo il fatto che la riforma sia in atto, noi partecipiamo ai tavoli di lavoro, ma riteniamo che si debbano mirare con maggior precisione gli incentivi necessari oggi.

D: Come sta andando il confronto con le istituzioni sulla legge delega di riforma degli incentivi alle imprese, attualmente in commissione al Senato?

R: C’è un clima di ascolto, definirei buona la collaborazione con questo Governo, anche verso il ceto produttivo di piccola dimensione. Stiamo anche portando avanti altre istanze, ad esempio i pagamenti da parte della pubblica amministrazione verso le imprese, ci sono importi rilevanti incagliati. Se venissero pagati con i tempi previsti dalle direttiva Ue, quindi 30-60 giorni, inietterebbero la liquidità necessaria per gli investimenti.

Negli ultimi 4 anni la maggior parte delle agevolazioni per le imprese sono state destinate all’efficientamento energetico (Fonte: Servizi studi del Senato)

Consideriamo poi che in questo momento l’accesso al credito, con il rialzo dei tassi della Bce, è molto difficile per le imprese per i costi elevati. A questo si aggiungono i criteri esg (environment, social, governance), per cui il credito diventa ulteriormente oneroso per le imprese che non si sono ancora adeguate. Il problema è che da una parte aumenta il costo del denaro, dall’altra per adeguarsi ai criteri di sostenibilità (che facilitano l’accesso al credito) le imprese devono investire. E’ un po’ il gatto che si morde la coda.

D: Si parla di piano Industria 5.0, per esempio chiesto da Confindustria. Qual è la vostra posizione?

R: Per come potrei immaginarlo, punterei ancora sulla formula dei crediti d’imposta. Al tema della transizione digitale aggiungerei quelli legati alla sostenibilità: transizione energetica, ecologia, economia circolare. In questo momento l’intensità degli incentivi è scesa, ma il modello resta interessante perché non comporta assorbimento di liquidità, l’automatismo permette di non dover sostenere ulteriori costi dall’esito imprevedibile. In altri casi invece bisogna pagare il consulente, partecipare al bando, per poi scoprire che la domanda non è stata accettata.

D: Quali altri elementi critici rilevate per proseguire nello sviluppo e nella digitalizzazione della manifattura?

R: I temi della semplificazione, a qualsiasi livello. C’è bisogno di sburocratizzare, eliminando complicazioni spesso legate al pregiudizio che ci sarà sicuramente qualcuno che farà il furbo. La nostra ricetta è: meno regole e più controlli. Snelliamo il Paese, e poi i controlli li facciamo successivamente.

D: In vista della prossima Legge di Bilancio ritenete ci siano delle priorità da affrontare?

R: La banda ultralarga. Non si può vivere in un paese in cui la fibra ottica non è diffusa capillarmente. Questa è una nostra bandiera dal 2016. In Lombardia ci sono diverse aree bianche, o grigie, che non sono raggiunte dalla fibra ottica. Le faccio un esempio: una nostra impresa associata, di Bernate Ticino, non riesce ad avere la fibra ottica, e vede vanificati tutti gli investimenti 4.0. Non ha senso nel 2023 che in piena Lombardia, un’impresa sia senza connettività.

Accelerare sulla banda larga è una delle priorità, secondo Valvason. Sono ancora numerosi i comuni privi di una connessione in grado di garantire velocità accettabili (Fonte: Mimit)

Sa perché non ce l’ha? Perchè si trova in una di queste aree bianche, poco interessanti dal punto di vista degli investimenti in fibra ottica, e quindi aspetta l’intervento dello Stato. Che è necessario per risolvere gli aspetti commerciali che frenano gli investimenti privati. Nelle aree bianche non c’è nessun fornitore di connettività interessato. Nelle aree grigie c’è un solo operatore. Le aree nere, invece, hanno più fornitori, quindi c’è mercato. Prendiamo la nostra azienda di Bernate Ticino: lo scavo necessario deve passare da due Comuni, e poi attraversare una strada di competenza della Città metropolitana. Tim, che dovrebbe fare lo scavo, non riesce a ottenere le concessioni. Sono due anni che questa azienda si connette a Internet con i cellulari, oppure usando la Adsl. Quando fanno un trasferimento dati importante, devono spegnere tutti i pc in azienda. Non si può competere sul mercato in queste condizioni. Il piano nazionale banda ultralarga c’è: deve essere accelerato e va garantita in tempi brevi la capillarità su tutto il territorio nazionale. Altrimenti, ci manca proprio l’ecosistema di base.

D: Torniamo ai settori più in crisi, come l’automotive. Quali sono secondo voi le strategie più urgenti da attuare?

Stefano Valvason
Stefano Valvason direttore generale A.P.I

R: C’è un problema di tecnologie, che vanno comprate o sviluppate. E poi un grandissimo problema di competenze, legato alla necessità di riqualificazione delle persone. Le imprese che hanno sempre operato nel settore automotive, lato meccanico, con l’elettrificazione dell’auto hanno bisogno di nuove competenze. Quindi, bisogna sostenere due aspetti: la riqualificazione dei lavoratori, e l’inserimento di giovani. Noi stiamo facendo un progetto con le scuole per creare ponti con il mondo dell’impresa. I giovani spesso hanno pregiudizi nei confronti delle Pmi industriali, non le considerano un target professionale. Pensano piuttosto alle multinazionali, ai social media, al settore IT. Noi facciamo su questo uno storytelling importante, anche portando gli imprenditori nelle scuole. E’ un tema che ci sta molto a cuore.

D: Esattamente cosa fate nell’ambito di questo progetto?

R: Ci sono diversi livelli di intervento. Facciamo orientamento andando nelle scuole e raccontando i mestieri della manifattura. Proponiamo percorsi di alternanza scuola lavoro, borse di studio da parte degli imprenditori. Portiamo i docenti nelle imprese per far conoscere le tecnologie e confrontarsi con gli imprenditori. Ci sono poi progetti specifici, legati ad esempio alla tesina dell’ultimo anno. L’obiettivo è sempre quello di mettere a contatto imprenditori, studenti e lavoratori, e fare in modo che i due mondi si contaminino.

D: La sua vision in questo clima di frenata della manifattura. Lei è piu ottimista o pessimista?

R: Io sono ottimista. Le nostre imprese hanno versatilità, flessibilità, e sono di fronte a grandissime opportunità. C’è un momento molto importante di passaggio generazionale. I giovani imprenditori che stanno rilevando le imprese dai genitori spesso sono più scolarizzati, aperti di vedute anche rispetto alle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale. Siamo di fronte più che a un’epoca di cambiamenti, al cambiamento di un’epoca. C’è la possibilità di scrivere nuove pagine dell’industria manifatturiera, ma bisogna sostenere adeguatamente questo processo di innovazione.

D: Mi sembra che lei ritenga fondamentali gli sviluppi dell’intelligenza artificiale…

R: Sì, è una tecnologia talmente trasversale che è ancora difficile immaginarne l’impatto. Sul fronte delle attività ripetitive, ma qui siamo nel campo dell’automazione industriale tutto sommato più lineare, ma soprattutto per quanto riguarda le attività intellettuali. L’IA può sgravare una notevole quantità di carico di lavoro e consentire alle persone di dedicarsi a processi a maggior valore aggiunto. Quindi l’industria può essere più creativa, innovativa, inventarsi cose nuove.

E’ però importante utilizzare la tecnologia in modo adeguato, e non lasciare le imprese da sole. L’innovazione del sistema manifatturiero deve andare di pari passo con l’innovazione della pubblica amministrazione, in un ecosistema che si sviluppa tutto insieme.

D: In questo senso il Pnrr sta funzionando?

Quadro generale degli investimenti del Pnrr

R: Le risorse per le imprese non si vedono, o si vedono ma con il contagocce. Il Pnrr è pensato soprattutto per la pubblica amministrazione. Avremmo bisogno della messa a terra per gli investimenti nel digitale, nella transizione ecologica, ed è arrivato il momento che i soldi entrino alle imprese, ma su questo siamo indietro. La mia grande paura è che si vada a velocità diverse: il sistema Pmi, alle prese con il passaggio generazionale, che si adegua e si rende competitivo. E la pubblica amministrazione, ferma su rendite di posizione, zone di comfort, incapacità di adeguare il livello di competenze. In altri termini, il Pnrr deve essere l’occasione per fare sistema.

Devo dire che fa piacere l’attenzione di questo Governo verso il ceto produttivo anche di piccole dimensioni. Senza sentirsi sempre dire che il nanismo dell’impresa è un problema. Questo è il nostro tessuto produttivo, difficilmente le nostre aziende si trasformeranno in grandi imprese.

D: Quindi il nanismo delle imprese secondo lei non è un problema?

R: Il nanismo è un problema nel senso che per competere a livello globale essere piccoli non è certo la leva migliore. Ma ci sono strumenti per affrontarlo. Per esempio, superando i limiti dimensionali facendo cooperare le imprese all’interno di un sistema associativo evoluto. Ma è inutile dire che devono diventare grandi, perche non succederà. Al limite, diventeranno medie. Ho appena visto i dati dellla Camera di commercio Milano, Monza e Brianza: 390mila imprese, con 2mila lavoratori, in media quattro o cinque dipendenti per ogni impresa. Il punto è che noi dobbiamo riuscire a fare il meglio con questa situazione imprenditoriale.

(Ripubblicazione dell’articolo del 31 luglio 2023)














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