Rinnovabili e industria? Un matrimonio impossibile! Per i prossimi 20 anni il petrolio sarà insostituibile. Con Alberto Clò

di Laura Magna ♦︎ Per il noto economista la transizione ecologica rimarrà un sogno ancora a lungo. Per lo meno nel mondo dell'industria. Il settore delle energie rinnovabili è ancora immaturo, sia tecnologicamente (l'intermittenza delle fonti è un problema) sia economicamente: la redditività è ancora troppo bassa. Ci si è illusi che la svolta green potesse funzionare, ma la realtà sta facendo crollare i sogni. E la politica, intanto...

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Industriali attenzione: il petrolio resterà la primaria fonte energetica per almeno vent’anni per alimentare le fabbriche. Non il solare, non l’eolico o i biocombustibili: ne è convinto Alberto Clò, economista ed ex ministro dell’Industria, uno dei massimi esperti italiani di energia, che a Industria Italiana ha fornito un quadro lucido e visionario sul settore, con qualche interessante indicazione di policy per i decisori. Un’analisi che si basa innanzitutto sui numeri: il consumo di greggio sta aumentando e si stima arriverà a 105 milioni di barili al giorno entro fine anno, rispetto ai 100 milioni pre-Covid. Mentre l’offerta sta diminuendo e i prezzi, pur inferiori ai 120 dei picchi di marzo 2022, restano su livelli elevati (88 dollari per il Brent).

Sul fronte del gas, invece, i prezzi sono tornati ai livelli pre-guerra, in quanto l’Europa ha sostituito le importazioni della Russia, acquistando il gas liquefatto dagli Usa e concludendo nuovi contratti con l’Algeria. Il gas tuttavia contribuisce alla produzione dell’energia – prevalentemente elettrica – solo per un quinto: non è un elemento sufficiente a frenare la crisi in atto. Una crisi alla fine della quale si stabilirà «un nuovo ordine mondiale dell’energia, garante di una condizione di equilibrio – dice Clò – un sistema in cui nessuno Stato dipenderà da un unico fornitore di materia prima, e in cui le imprese pubbliche come Eni e Snam torneranno a essere un fattore strategico nazionale».







Nel frattempo, sarà evidente che la politica europea pro-rinnovabili è irrealizzabile perché «non tiene conto dell’applicabilità e delle conseguenze sull’economia: disastrose per Paesi come il nostro che si fondano su industrie energivore, acciaio, carta, cementi, che usano il petrolio per realizzare le produzioni. Mentre altri comparti pure fondanti, come quello dei componentisti dell’automotive rischiano di sparire per l’obiettivo di passare all’auto elettrica in pochi anni. Oggi in Italia, tanto per fare un esempio emblematico, circolano 50mila auto a trazione elettrica: al 2030 l’obiettivo è di arrivare a un milione». Utopia allo stato puro, senza considerare tutti i problemi collaterali di tenuta della rete e di capacità e poi smaltimento delle batterie.

Perché il petrolio resterà la fonte primaria di energia nei prossimi venti anni: la dinamica della domanda e dell’offerta e le lacune delle energie rinnovabili (dall’intermittenza della fonte rinnovabile, alla carenza di infrastrutture di accumulo, alla scarsa redditività del business)

L’economista Alberto Clò

Insomma, esistono dati oggetti e inconfutabili alla base di questa tesi, tanto lampanti che il regolatore europeo appare quasi naïf nella sua strategia. E c’è un enorme dimenticanza che appare incredibile: si parla di gas e di rinnovabili, ma si trascura l’importanza che le fonti fossili hanno ancora per la nostra produzione di energia.

«Il petrolio – dice Clò a Industria Italiana – ovvero la prima fonte di energia in Europa, è spesso trascurato. E l’Europa sta ignorando deliberatamente che saremo ostaggio delle fonti fossili per almeno un secolo ancora». Perché solare ed eolico la sostituiscano non basta un ventennio: a oggi sono fonti usate per produrre solo elettricità che è un quinto del bisogno energetico. «Le rinnovabili – prosegue Clò – inoltre sono intermittenti e dunque per essere immesse nell’uso domestico o industriale hanno bisogno di potenti infrastrutture. Recentemente è accaduto che nei Paesi europei ci sia stato un eccesso di offerta di rinnovabile, ceduta a prezzi negativi: in generale è un comparto aa bassa redditività e dunque nessun investitore privato ha interesse a investire. Non è la mancanza di capitale ma la mancanza di redditività oggi a frenarne lo sviluppo: e a questo non si sopperisce con i sussidi che alla fine chiedono conto».

Senza considerare che, mentre i prezzi del Brent sono scesi da picchi di 100 dollari a novembre, ma oggi trattano comunque nella fascia alta, intorno agli 88 dollari, il consumo aumenta e non diminuisce. Mentre «l’Opec ha ridotto la produzione di 4 miliardi di barili al giorno da novembre, e l’Arabia Saudita ha aggiunto una riduzione unilaterale di un miliardo di barili al giorno. La domanda è in crescita, con previsioni che stimano un aumento fino a 105 milioni di barili al giorno entro la fine dell’anno, rispetto ai 100 milioni di barili al giorno nell’anno pre-Covid. Quindi, la crisi non ha affatto ridotto la domanda! Al contrario… e se le rinnovabili stanno crescendo in un contesto europeo, spesso ciò avviene a spese dell’energia nucleare, l’altra fonte pulita da cui è possibile ricavare energia». Insomma: le rinnovabili non stanno affatto sostituendo il petrolio, come si dive nel dibattito mainstream.

Pur ancora elevati, i valori Brent sono calati di molto (Fonte: IlSole24ore)

Il Gas viaggia sui livelli pre-crisi: grazie alle politiche virtuosi degli Stati, ma è solo uno degli elementi del complesso puzzle energetico. Non basta da solo a risolvere la crisi in atto

I prezzi attuali dipendono anche dal modo in cui sono state affrontate le questioni energetiche dagli Stati. Del petrolio abbiamo detto. Sul fronte del gas, invece, i prezzi sono tornati ai livelli pre Covid, perché si è trovato equilibrio, in quanto l’Europa ha sostituito le importazioni della Russia, «acquistando il gas liquefatto dagli Usa, anche se a costi elevati. E concludendo nuovi contratti con l’Algeria che oggi è diventato il promo fornitore italiano». Non è un caso dunque che il gas tratti a prezzi che sono un decimo rispetto a un anno fa.

«Questo ha contribuito a un calo dell’inflazione, almeno in parte, ma sull’economia reale e l’industria, non si sono avvertiti impatti significativi. Se analizziamo i dati del primo semestre, i consumi di energia si sono ridotti del 5%, e il settore industriale ha subito una riduzione del 10%. Settori ad alta intensità energetica, come chimica, carta e siderurgia, hanno registrato consumi ridotti del 20%- spiega Clò – Questa diminuzione potrebbe essere dovuta anche a misure di efficienza energetica, ma principalmente dipende dalla riduzione della produzione industriale. Quindi, non possiamo considerare queste riduzioni come virtuose».

Grazie alle politiche europee il prezzo del gas è in calo dai massimi storici toccati nel 2022

Quanto all’economia, il bilancio appare piuttosto disomogeneo, con alcune aree che hanno mostrato miglioramenti e altre che invece hanno risentito di cali significativi. «L’economia italiana, se confrontata con quella francese e tedesca, sembra essere in una posizione migliore, dato che queste ultime sono in calo e la Germania addirittura in recessione tecnica. L’aumento registrato negli ultimi mesi è stato principalmente trainato dai settori dei servizi, in particolare dal turismo, piuttosto che dall’industria. Tuttavia, le esportazioni continuano a reggere bene». Insomma, nessun trasferimento benefico all’economia reale dalla riduzione della bolletta energetica.

Il nuovo ordine energetico mondiale: il passo indietro sulle liberalizzazioni e il ritorno dello Stato e un mercato dell’approvvigionamento di fonti fossili altamente diversificato. Il passo indietro sulle rinnovabili

Ma l’ultima crisi ha insegnato una lezione di cui far tesoro: che non si può dipendere da un unico fornitore, che la diversificazione è sempre vincente e che le imprese pubbliche come Eni e Snam sono un fattore strategico per il Paese.

«C’è chi sostiene che si vada profilando un nuovo ordine energetico mondiale, che poggia su alcuni pilastri tra cui il ritorno del governo, che decida i prezzi e i fornitori. E va di pari passo a uno spazio sempre più ristretto delle liberalizzazioni».

Andamento del Pun negli ultimi due anni.

Al di là di questo, Clò sottolinea come ci sia un tema di politica energetica europea. «Le energie rinnovabili saranno un tema centrale nella politica energetica europea, soprattutto in vista delle elezioni europee di giugno 2024 – dice il professore – Tuttavia, alcune decisioni politiche, come il divieto delle auto tradizionali, la promozione delle caldaie ecologiche e l’obbligo di case green, hanno un impatto diretto sui consumatori, comportando costi crescenti per le famiglie meno abbienti. Sebbene ci sia un vento a favore delle energie verdi, ci sono sfide significative da affrontare e non escludo che l’onda verde alimentata da pura utopia si infranga contro il muro della realtà! Anche sul piano elettorale, il vento sta cambiando…».

Suggerimenti per una nuova politica europea dell’energia: agire in maniera strategica, elaborando piani di lungo termine affinché le tecnologie rendano la produzione da eolico e solare redditizia e i privati abbiano interesse a investire in un mercato profittevole

E allora i policymaker ne dovrebbero prendere atto e stabilire strategie più efficaci per affrontare la transizione energetica. Quali? «Se il tetto ha un buco, bisogna pensarci e agire preventivamente, piuttosto che aspettare che piova. I governi dovrebbero sviluppare strategie a lungo termine che prevedano una transizione graduale verso fonti energetiche sostenibili. E poi, è importante ricordare che le fonti fossili continueranno a essere una parte significativa del mix energetico per ancora diversi decenni». Le energie rinnovabili, come il solare ed eolico, necessitano di un sostegno a lungo termine e una programmazione adeguata. «Non possiamo considerare un periodo di venti anni sufficiente per realizzare una transizione completa, soprattutto perché queste energie producono solo una piccola parte del fabbisogno energetico complessivo», precisa Clò.

«La dipendenza dalle fonti fossili porta con sé una serie di problematiche, come la volatilità dei prezzi e la vulnerabilità alle fluttuazioni geopolitiche, dato che gran parte del gas naturale europeo proviene dalla Russia. Ma non è un buon motivo per fare scelte scellerate e con impatti negativi sull’economia». La transizione energetica richiede investimenti massicci nell’infrastruttura delle energie rinnovabili, come il solare e l’eolico, e nella ricerca e sviluppo di tecnologie sostenibili. Ciò comporta una sfida economica e politica, poiché è necessario ottenere investimenti sia dal settore privato che dal pubblico per favorire la crescita delle fonti rinnovabili. «Un’altra questione cruciale – continua il professore – è l’integrazione delle energie rinnovabili nelle reti elettriche esistenti. Poiché queste fonti sono soggette a fluttuazioni stagionali e meteorologiche, è necessario sviluppare sistemi di stoccaggio dell’energia efficienti e flessibili, per garantire un approvvigionamento stabile e continuo». Inoltre, la transizione energetica pone domande cruciali sulla riconversione delle industrie e sulla riqualificazione dei lavoratori nei settori tradizionali ad alta intensità energetica. Ciò richiederà strategie di formazione e politiche sociali adeguate per mitigare gli impatti negativi sulla forza lavoro e promuovere una transizione equa per tutti i settori economici.

«La strada verso una politica energetica sostenibile e bilanciata richiede un approccio attento e basato su una valutazione approfondita delle implicazioni economiche e sociali», chiosa Clò.

(Ripubblicazione dell’articolo del 1° agosto 2023)














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