Performance Improvement: il nuovo approccio strategico di Bain & Company alla supply chain e alla produzione

di Marco de’ Francesco ♦︎ Ripensare le filiere, ridurre la complessità e re-ingegnerizzare i processi aziendali. Così, secondo Bain & Company, si può migliorare l'efficienza delle supply chain. E andare oltre gli attuali limiti del paradigma dell'economia circolare, che ha portato sì benefici, ma meno di quanto previsto. I concetti di zero-based budgeting e zero-based design. Ce ne parla Hernan Saenz, senior partner e responsabile a livello globale della practice “Performance Improvement” della grande società di consulenza strategica

Le aziende impegnate nella trasformazione digitale e di fabbrica devono affrontare, al contempo, più sfide di rilievo epocale. Anzitutto, si tratta di ripensare le filiere di cui fanno parte. Quelle che sono state realizzate negli ultimi 20 o 30 anni hanno fatto il loro tempo: lunghe, fragili, inquinanti – non sono destinate a sopravvivere agli scossoni geopolitici, ai nuovi costi dei trasporti e alle normative sempre più esigenti in tema di sostenibilità. In secondo luogo, occorre ridurre la complessità e re-ingegnerizzare i processi aziendali. Sotto questo profilo, si richiede un miglioramento che è multi-dimensionale: non basta più “far funzionare le cose” e rendere i prodotti profittevoli; bisogna tener conto di nuove esigenze di mercato e di nuove stringenti normative, sempre più dirette, ad esempio, verso l’economia circolare. E non solo: si deve fare tutto ciò in tempi in cui il capitale è diventato molto costoso. Come fare? Bain & Company, colosso mondiale della consulenza strategica con sede a Boston (Massachusetts) e guidata dal worldwide managing partner Manny Maceda, supporta i propri clienti nell’investimento sull’approccio strategico al “Performance Improvement”, per consentire alle aziende di prendere in mano la situazione.

Fondamentale, nell’approccio, lo zero-based budgeting e lo zero-based design. Le aziende sono chiamate a allocare le risorse in modo strategico e ad eliminare le spese inefficaci indirizzando i risparmi verso gli investimenti che alimentano la crescita. Per far ciò, occorre partire da zero, e non dal budget dell’anno precedente: si deve di volta in volta re-immaginare il business e chiedersi quali risorse saranno necessarie per competere sul mercato.







In secondo luogo, è cruciale procedere con una trasformazione della performance accelerata e con una digitalizzazione olistica. Deve cambiare il metabolismo dell’implementazione, portando in prima linea chi ha contatti con il cliente e con il prodotto.

Di tutto ciò abbiamo parlato con Hernan Saenz, senior partner e responsabile a livello globale della practice “Performance Improvement” di Bain & Company.

D: Parliamo di “Performance Improvement”. Quali sono, secondo Lei, le necessità industriali e di mercato che richiedono il miglioramento delle prestazioni? Cosa sta cambiando? Perché non possiamo avanzare alla stessa velocità dei tempi passati?  

Hernan Saenz, senior partner e responsabile a livello globale della practice “Performance Improvement” di Bain & Company

R: Ci sono due importanti cambiamenti, che però si stanno evolvendo in tempi necessariamente molto diversi l’uno dall’altro. Quanto al primo, è di lungo periodo, e riguarda le catene di valore globali: quelle che abbiamo definito e ottimizzato negli ultimi venti o trent’anni hanno imponenti dimensioni, partendo sostanzialmente dalla Cina; ma sono fragili, poco trasparenti e rilasciano una quantità considerevole di emissioni di anidride carbonica. Sono lineari, non circolari – seminando rifiuti. Ecco, queste filiere non funzionano più, oggi, né è pensabile che lo facciano nel futuro. Troppi sono gli choc che riguardano domanda e offerta: la verità è che queste filiere vanno riconfigurate. E non lo richiedono solo le aziende, ma anche i governi e gli investitori. La direzione? È evidente che dovranno diventare più green, più visibili, più flessibili e più corte.

D: Non sembra una passeggiata

R: A tutti gli effetti, non lo è. È anzi un esercizio di proporzioni colossali per il mondo intero. E poi c’è il secondo cambiamento, quello a breve termine. Bisogna rendere le operazioni più economiche, in modo che il denaro risparmiato possa essere investito sia per guadagnare quote di mercato durante i periodi recessivi che per trasformare le catene del valore nel futuro.

D: Come definirebbe la “Performance Improvement” proposta da Bain? Una strategia? Un metodo?

R:  Un approccio. Che tiene conto del cambiamento nel concetto di miglioramento delle prestazioni. Sotto questo profilo, c’è stata una grande evoluzione. Prima, che cosa poteva significare? Far funzionare bene le cose, con una spesa relativamente bassa di risorse, di costi, puntando a grandi entrate e buoni margini. Insomma, profitti e rendimenti elevati, che si trattasse di un asset o di un’azienda intera. Ora tutto questo non basta più. Perché il miglioramento richiesto – dai governi e dal mercato – è multidimensionale. Non solo devi rendere un bene profittevole, ma anche più verde e inserito in un contesto di circolarità. Ed è imprescindibile renderlo più resiliente. È evidente che per raggiungere tutti questi risultati al contempo occorre un equilibrio che contempla dei compromessi, da una parte o dall’altra. E non è semplice. Le operazioni sono ora un problema strategico, di gestione dei compromessi.

La strategia in tre passi di Bain sull’economia circolare: valutare le opportunità, selezionare i segmenti di riferimento e scalare le iniziative

D: E dunque?

R: E dunque possiamo definirlo un approccio strategico. Quello di una volta era più stereotipato: si mettevano tutte le variabili in un foglio di calcolo, si eseguivano gli scenari, ed ecco che emergeva il punto economico ottimale. Ora, invece, si tratta di immaginare il futuro. Bisogna pronosticare cosa chiederà la clientela, ciò che interesserà al mercato e poi occorre bilanciare tutti gli obiettivi. È strategico e complesso: le formule del passato non funzionano più; non garantiscono alcuna stabilità.

D: Dalle “soluzioni mirate”, che hanno un impatto immediato, ai “programmi di trasformazione”, ridefiniscono come vada fatto il lavoro. Quando è necessario implementare le une e quando gli altri?

R: Tecnicamente, le soluzioni mirate sono adeguate quando il mercato è stabile e quando l’azienda si trova in una posizione competitiva privilegiata. Il problema è che ciò si verifica molto di rado: il mercato oggi è instabile, cambiando di continuo e in modo radicale; e la percentuale di aziende leader è necessariamente limitata.

D: E dunque nella maggior parte dei casi sono necessari programmi di trasformazione?

R: Sì. E questo perché stanno cambiando le regole del gioco: e quindi deve mutare il modo in cui l’azienda gioca, in un contesto in cui la maggior parte delle imprese è follower, non leader. L’azienda deve cercare di modificare la propria posizione competitiva. Quanto alle turbolenze, sono anzitutto macroeconomiche, legate agli alti tassi di interesse; ma anche geopolitiche. Di fronte a ciò occorre acquisire resilienza, ma con un approccio sostenibile. Insomma, penso che per forza di cose la maggior parte delle imprese procederà con la trasformazione.

Una strategia efficace di economia circolare richiede di ripensare sia il modello di business sia le operation

D: Uno degli ingredienti di un miglioramento delle prestazioni è eliminare le spese inefficaci e indirizzare i risparmi verso investimenti che alimentano la crescita. Ma in pratica, come si realizza questo passaggio?

R: Credo che la risposta ci sia, e che sia una sola: occorre ridurre la complessità, che peraltro aumenta durante i periodi di crescita. In questi frangenti, infatti, le aziende incrementano il numero dei prodotti, delle linee di business e delle aree geografiche di destinazione; e, per gestire tutto ciò, aumentano i reparti, funzioni e persone. Ma, facendo ciò, moltiplicano in modo esponenziale i “nodi organizzativi”. È il motivo per cui in azienda si fanno riunioni tutto il giorno: la complessità del prodotto e del business determina quella organizzativa. A quel punto, che si fa? Si utilizzano processi e tecnologia per tenere tutto insieme, con il risultato di generare una duplice complessità, quella di processo e quella IT. Dunque, l’unica cosa da fare è andare alla radice, con lo zero-based redesign e budgeting?

D: Che cos’è esattamente lo zero-based redesign e budgeting?

R: È un metodo di pianificazione delle risorse che adotta un approccio completamente nuovo. A differenza del tradizionale processo di budgeting, il budget a base zero esamina tutte le spese per ciascun nuovo periodo, evitando modifiche incrementalmente ai budget dell’anno precedente. Partendo da un punto di partenza pari a zero (e non, come sovente accade, dal budget dell’anno precedente), i manager sono costretti a esaminare attentamente tutte le spese e a fornire una giustificazione per ogni voce di spesa che deve essere mantenuta. Questo metodo aiuta le aziende a ridisegnare in modo radicale le proprie strutture di costo, contribuendo ad aumentare la competitività. Il processo è particolarmente utile per allineare l’allocazione delle risorse agli obiettivi strategici, anche se può richiedere tempo e può risultare difficile quantificare i rendimenti di alcune spese, come ad esempio la ricerca di base.

Le iniziative di economia circolare già messe in atto hanno portato valore, ma meno di quanto previsto

D: Come viene implementato il design e budget a base zero?

R: Ad esempio, adottando queste misure: re-immaginando il business, chiedendosi quali attività e risorse saranno veramente necessarie per competere nelle future condizioni di mercato, quindi stabilendo una chiara visione strategica e un obiettivo di costo; costruendo una base di fatti completa delle spese correnti, mappata in modo pulito alla contabilità generale; organizzando spese simili in categorie standardizzate note come pacchetti di costo e sotto-pacchetti, e altro.

D: Cosa significa esattamente accelerare una trasformazione?

R: Anzitutto, bisogna partire da un dato di fatto: le aziende hanno un metabolismo lento. Hanno delle idee che studiano, e sulla scorta di queste prendono delle decisioni convalidando progetti. Parlano con le persone che devono implementare i progetti, e qui il processo si allunga: si parte da settimane e si arriva ai mesi, agli anni. Ma ora il mondo è cambiato, e questa tempistica estesa non se la può permettere nessuno. Il metabolismo dell’implementazione deve cambiare. Quello dell’elefante non funziona più; occorre quello dei felini. Bisogna coinvolgere la prima linea, quelle figure che hanno un contatto diretto con il cliente e con il prodotto: solo costoro possono fornirci risposte rapide e implementare velocemente le soluzioni.

D: Per Bain la digitalizzazione è olistica: riguarda la trasformazione della finanza, del management, dell’IT, delle risorse umane e del comparto legale. Perché la digitalizzazione dev’essere a 360 gradi?

R: I sistemi IT sono fatti per funzionare in ambienti semplici; ma prima l’azienda deve trasformarsi altri aspetti dell’organizzazione, in modo che la tecnologia possa adattarsi al contesto. Altrimenti si costringono software e IT a fare cose che non dovrebbero fare. E le implementazioni diventano particolarmente costose.

Le imprese tendono a concentrarsi sul riciclo, ma le iniziative di economia circolare offrono numerose altre possibilità

D: Parlando sempre di digitalizzazione, cosa accadrebbe nel caso in cui alcune funzioni dovessero essere centralizzate come servizi condivisi?

R: Ci sono diversi vantaggi nel centralizzare le funzioni: puoi assumere il personale più competente, puoi inserire diverse tipologie di digitalizzazione IT, agendo su scala più ampia. I servizi condivisi, peraltro, possono riguardare l’azienda in sé, ma anche una singola unità che serva tutte le altre. Inoltre, penso che dal momento che disponiamo dell’intelligenza artificiale generativa, questo modello diventerà più utilizzato e funzionante. Attualmente, non funziona sempre, perché talora è necessario un approccio locale e personalizzato.

D: Parlando ancora di digitalizzazione, come possiamo migliorare l’efficienza della Supply Chain?

R: È un’area in cui non abbiamo digitalizzato abbastanza; eppure, si può aggiungere moltissimo valore con la “tracciabilità digitale”: questa consente una trasparenza totale per il presente e una conoscenza completa degli accadimenti e dei passaggi avvenuti in filiera. Letteralmente: dalla pesca in alto mare al cibo in tavola. Attualmente le catene di approvvigionamento sono opache; ma una visibilità end-to-end si impone come fattore necessario, dal momento che sempre più è richiesta dal mercato e dalle normative nazionali. Sempre più occorre certificare la propria sostenibilità.

D: Quali generi di aziende si rivolgono a voi per implementare la Performance Improvement? Di quali settori?

R: in realtà sono coinvolti tutti i settori e tutte le catene di approvvigionamento. Nell’industria, si punta a conseguire più resilienza, una maggiore decarbonizzazione dei beni di consumo e alla circolarità. Nelle aziende notiamo una maggiore focalizzazione sulla creazione di processi più standard, più efficienti, più puliti. In realtà, la trasformazione riguarda anche i servizi finanziari, le telecomunicazioni, il mondo healthcare e retail.

D: Quanti esperti di Bain si occupano di Performance Improvement?

R: Sono fra i 300 e i 400 i partner che sono attivi in questa area pratica; considerando che tutti loro hanno propri team, paliamo di migliaia di persone.

D: C’è qualche aspetto di cui vi occupate che sta assumendo una crescente importanza?

R: Sì, la circolarità. Ora non se ne parla abbastanza, al mondo, ma ben presto le cose andranno diversamente. L’economia circolare ha fatto il suo tempo: d’altra parte, le estrazioni di materie prime sono oggi quattro volte quelle di cinquanta anni fa e due volte la capacità annuale della Terra. La trasformazione circolare delle industrie è dunque una necessità. E questa avverrà con tecnologie particolari come l’intelligenza artificiale e il machine learning; che consentono di fare previsioni sull’ottimizzazione.

D: Quali sono, infine, i settori industriali più interessati alla Circolarità?

R: Direi tutti quei settori industriali dove l’hardware riveste un rilievo maggiore; e dunque le aziende di macchinari, quelle automobilistiche, quelle due si occupano di computer o di altra tecnologia di consumo. Attualmente, molte di queste stanno perseguendo tre modelli, molto interessanti. Il primo è quello del riciclaggio, per non utilizzare materiale vergine al termine del ciclo di vita del prodotto. Il secondo è quello di realizzare beni che durino molto di più. Si punta alla riprogettazione dei prodotti in modo da renderli modulari. Il terzo è di non vendere più il bene fisico, ma uno spazio virtuale. Anche questa è una strada molto interessante.














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