Lu-Ve salva Acc ma… Oggi finisce la filiera italiana del compressore per frigoriferi!

di Marco de' Francesco ♦︎ La multinazionale di Varese realizzerà nella fabbrica di Borgo Valbelluna scambiatori di calore. Così, il mercato europeo di macchine operatrice pneumofore diventerà asiatico per il 99% con: Nidec, Jiaxipera, Gmcc, Donper. La parabola di Acc e i nodi del piano – fallito – ItalComp

Acc, ultimo compressore

Matricola 179.759.553. È apposta all’ultimo compressore per frigoriferi prodotto da un’azienda italiana, l’Acc di Borgo Valbelluna (Belluno). Fabbrica che discende dal gruppo Zanussi – che fino alla metà degli anni Novanta è stato un player globale di questi componenti. Ora, dopo quasi 18 milioni di pezzi, non se ne faranno più. La linea dedicata è in vendita, con una gara internazionale iniziata ieri e destinata a concludersi al più presto, entro il 15 di marzo. Bisogna fare spazio alle apparecchiature per realizzare scambiatori di calore, che costituiscono il core-business del Gruppo Lu-Ve, multinazionale di Varese quotata alla Borsa di Milano e guidata dal Ceo Matteo Liberali, figlio del fondatore Iginio, già manager della Merloni. Lu-Ve ha depositato un’offerta vincolante per il sito produttivo di Borgo Valbelluna; ha già ricevuto il placet del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Si attende solo il closing dell’operazione, che avverrà entro il 30 aprile.

Di per sé, l’offerta vincolante è quella della salvezza per il sito bellunese in amministrazione straordinaria (guidata dal commissario Maurizio Castro) e per buona parte (ma non per la totalità) del personale ormai ex-Acc. Non c’è un piano B; o meglio, come vedremo, non c’è più (uno c’era: si chiamava ItalComp, ma è stato affossato). Inoltre Lu-Ve è un gruppo solido, e pertanto il suo intervento va salutato con favore. Detto questo, la parabola di Acc e del compressore per frigoriferi è una tessera del grande puzzle dello smantellamento dell’industria continentale che la Commissione Europea – che avrebbe potuto, come vedremo, lanciare la ciambella di salvataggio all’azienda bellunese – sembra portare avanti. Un esempio di cecità, di mancanza di strategia.







Il compressore andava salvato ad ogni costo: infatti, è l’unico elemento ad alta densità tecnologica del frigorifero, che senza di esso è solo un armadio di metallo. È il compressore che garantisce che il congelatore faccia il suo mestiere per i suoi 14 anni di vita media. Dunque, il primo è, più del secondo, un elemento cruciale della filiera del Bianco. E con la fine di Acc, nel Vecchio Continente la quota asiatica di questo componente passerà dal 93% al 99%. In pratica, i destini del Bianco europeo (ad esempio, BoschElectrolux) sono stati posti in mani asiatiche, per lo più cinesi. Peraltro, attualmente i produttori asiatici di compressori per frigoriferi si fanno una guerra spietata in Europa. Una competizione al ribasso, che ha portato i prezzi ad un calo del 38% in cinque anni. Ma in realtà, tutti gli osservatori si aspettano che queste aziende, invece di scannarsi, si mettano d’accordo e facciano cartello. E allora per il Bianco europeo saranno guai, guai seri.

 

Il mercato dei compressori per frigoriferi  

Plug In soluzione di raffreddamento Nidec Ga

Attualmente i grandi player globali sono la Jiaxipera di Zhejiang (Cina) e la Nidec di Kyoto (Giappone, ma produce anche in Cina) che producono ogni anno 35 milioni di pezzi ciascuna, mentre Gmcc di Shenzen (Cina) e Donper di Jiujiang (Cina), rispettivamente altri 25 e 20 milioni. Poi ci sono altre società di comparto, nel Far East. Va sottolineato che le aziende cinesi sono tutte proiezioni dell’amministrazione statale cinese. In genere, quando i manager di queste grandi imprese parlano dei rapporti reciproci, si riferiscono simbolicamente al periodo degli “Regni combattenti” (dal 453 a.C. al 221 a.C), che vide numerosi stati – Han, Wei, Zhao, Qi, Qin, Yan e Chu – farsi la guerra per la supremazia nell’antica Cina. Secondo gli osservatori, non è un buon segno, perché quel periodo ebbe fine, così come potrebbe aver fine la competizione fra i colossi industriali, nel segno di un accordo generale (fra articolazioni dello stesso Stato).

La crisi di Acc in sintesi

Compressore Acc Wanbao

La crisi di Acc era di natura finanziaria, non produttiva. L’azienda infatti aveva importanti e costanti commesse, da colossi del calibro di Bosch e Electrolux; ma la cassa era sempre più vuota. Due anni fa, in previsione di un ulteriore aggravio, il Mise, su richiesta di Castro, aveva inviato alla Commissione Europea una richiesta per essere autorizzato a garantire, con un apposito fondo previsto dalla legge Prodi-Bis, 12,5 milioni che le banche avrebbero erogato ad Acc. Com’è noto, il placet dell’ente ora guidato da Ursula Von Der Leyen non è mai arrivato; anzi, sono pervenute cinque richieste di chiarimenti, ciascuna con un contenuto simile. La Commissione, invece di dare, chiedeva; pertanto il governo Conte II schierava l’artiglieria pesante: il ministro per gli affari europei Vincenzo Amendola nonché gli ambasciatori Maurizio Massari e Enzo Marongiu della rappresentanza italiana a Bruxelles. Non è servito a niente. La Commissione ha fatto orecchie da mercante.

Dunque, spettava al nuovo esecutivo, quello di Mario Draghi, inventarsi qualcos’altro. Così, il Mise aveva studiato un nuovo strumento, l’articolo 37 del decreto Sostegni. Questo istituisce un apposito fondo per imprese operative dal punto di vista industriale ma in difficoltà finanziaria. D’acchito, sembrava studiato appositamente per Acc. In realtà, con l’uscita del decreto direttoriale, era apparso chiaro che le cose non stavano proprio così. Il decreto stabiliva che il finanziamento concesso dovesse essere restituito dall’impresa ricevente a decorrere da 12 mesi successivi alla data della prima erogazione, secondo un piano di ammortamento a rate semestrali costanti; un po’ troppo per un’azienda in amministrazione straordinaria che due anni fa aveva avanzato domanda di insolvenza, avendo debiti nei confronti di creditori privilegiati (tra cui enti pubblici). Insomma, anche questa strada non era percorribile. Nel frattempo tramontava definitivamente un’altra chance di salvezza, quella legata al progetto ItalComp, di cui parleremo a breve. A questo punto, non rimaneva che la vendita.

mercato compressore frigoriferi prima della fine di Acc

L’offerta vincolante di Lu-Ve salva Acc ma non il compressore per frigoriferi

Bolshoi - 3 Mosca
L’impianto realizzato da LU-VE
per il Teatro Bolshoi, Mosca

La discesa in campo di Lu-Ve non era un evento scontato. Se non fosse avvenuto, Acc avrebbe dovuto chiudere definitivamente. L’azienda di Varese era una delle tre realtà (insieme a Legacoop Veneto e ad una multinazionale asiatica di cui non è mai stato reso noto il nome) ad aver espresso interesse all’acquisto del sito di Borgo Valbelluna. All’atto pratico, però, quando entro la fine di gennaio 2022 si è trattato di tradurre questo interesse in una offerta vincolante, si è fatta avanti solo la Lu-Ve. E una precedente gara di vendita dell’azienda, tenuta qualche mese fa, era andata deserta. Lu-Ve nel 2021 ha conseguito revenue per 483 milioni di euro, con un incremento del 23% rispetto al 2020. È cresciuto anche il portafoglio ordini, ora a quota 180 milioni.

Come si diceva, Lu-Ve si occupa di scambiatori di calore, di cui è uno dei principali player al mondo. Non ha intenzione di cambiare mestiere. Ma allora perché Lu-Ve ha depositato l’offerta vincolante? In sintesi perché, a causa della sua forte crescita, ha bisogno di spazi e di lavoratori, possibilmente “vicini” alla propria clientela. Da questo punto di vista, il sito bellunese è l’ideale. Inoltre, Lu-Ve ha uno stabilimento produttivo a Limana, a soli 9 km da Borgo Valbelluna: la contiguità tra i due siti produttivi consentirà di ottimizzare la logistica dei due stabilimenti. Infine, si darà vita ad un centro di distribuzione unico, capace di affiancare i poli produttivi già esistenti in Usa, India, Russia, Polonia e Repubblica Ceca. L’investimento di Lu-Ve sarà pari a sei milioni di euro.

 

Italcomp, il piano b (abortito) per salvare il compressore per frigoriferi tricolore

Embraco
Embraco, veduta aerea dello stabilimento di Chieri (dal sito ufficiale dell’azienda)

Avrebbe dovuto nascere nella primavera del 2021. Due anni fa, quando fu concepito dal governo Conte II, il progetto ItalComp era stato considerato, da diversi osservatori, come la reificazione di una volontà precisa, quella di riprendere le redini della politica industriale del Paese – che erano scivolate dalle mani degli esecutivi per quasi trent’anni, con effetti nefasti per la manifattura e per l’economia italiana. ItalComp avrebbe consentito di saltare di pari passo lo logica dei salvataggi a ripetizione e della cassa integrazione con ultima spiaggia, spendendo per costruire realtà permanenti. L’idea era questa: associare le forze residue di uno stabilimento in difficoltà, l’Acc, e di uno fermo, l’ex-Embraco di Chieri (Piemonte), per dar vita a realtà manifatturiera  con una massa critica bastevole ad affrontare il mercato. A regime e secondo i piani, la newco avrebbe prodotto sei milioni di pezzi, con 700 lavoratori; nel 2026 il fatturato sarebbe stato pari a 155 milioni. Si trattava di aprire il portafoglio. Siccome l’ex Embraco consisteva ormai nella sua forza lavoro, non si poteva sperare in un intervento privato di primaria importanza; occorreva l’apporto della mano pubblica. Pertanto, il governo Conte II aveva immaginato di applicare un modello pubblico-privato: la società sarebbe stata partecipata da Invitalia (agenzia del Mef), che avrebbe detenuto una quota massima del 49,9% del capitale, con un tetto massimo di dieci milioni di euro. Anche le Regioni Veneto e Piemonte avrebbero potuto essere della partita, ma il 30% delle quote sarebbe spettato comunque ai privati. Insomma, la partecipazione pubblica sarebbe stata solo temporanea, anche per questioni di conformità con l’ordinamento giuridico europeo in materia.

Non tutti credevano nel progetto ItalComp. Ad esempio, Giampietro Castano, “mister 13 tavoli”, quello che ha guidato per 11 anni, dal 2008 al 2019, l’unità di gestione delle vertenze del Ministero dello Sviluppo economico, la metteva così: «Non sono certo che funzioni; anzi, per il vero, faccio un po’ difficoltà a crederci. La fabbrica torinese è spenta da tempo; quella bellunese non ha risolto definitivamente i suoi problemi sotto diverse proprietà: Zanussi, Acc, e i Cinesi della multinazionale Wanbao. Non è chiaro quali chance di riprendersi abbia una volta associata ad una azienda fallita. Il modello che si intende perseguire non è corroborato da un’analisi di mercato che mi porti a pensarla diversamente. Ora, mi rendo conto che vista dall’esterno l’iniziativa del governo Conte II possa sembrare lodevole; ma non vorrei che si perpetuasse un accanimento terapeutico». Per i sindacati, e non solo per quelli di categoria (Fiom, Fim e Uilm), ItalComp era invece un’ottima idea: si sarebbero salvate due fabbriche e due comunità di lavoratori in un colpo solo. Secondo il commissario Castro, poi, il progetto aveva i numeri per funzionare.

la mission di Italcomp

L’impressione è che al ministro Giorgetti, al vertice del Mise con il governo Draghi, il progetto ItalComp non piacesse un granché, soprattutto nella parte in cui prevedeva un importante impegno pubblico. Secondo lui, anche per una questione di conformità al quadro europeo in materia di aiuti di Stato, occorreva trovare un “cavaliere bianco”, un privato come primo finanziatore. Non venne mai reperito, e sulla questione cadde un cupo silenzio. La Fim Cisl sintetizzava così gli avvenimenti: «Come era prevedibile, la ricerca di un privato che andasse a sostituire il ruolo pubblico non ha avuto alcun esito: il progetto Italcomp prevedeva tempi di realizzo nel medio termine, l’equilibrio nel breve lo si otteneva solamente tenendo conto di una più ampia strategia di politica industriale orientata al mantenimento e conservazione della filiera produttiva del comparto elettrodomestico italiano. Da qui l’epilogo rovinoso: i lavoratori di Riva di Chieri non solo non hanno più un progetto di reindustrializzazione con la prospettiva di finire gli ammortizzatori a dicembre, ma hanno anche perso un anno a discutere e progettare sul nulla. Lo stabilimento di Borgo Valbelluna ridefinisce il proprio obiettivo verso la cessione del perimetro aziendale a quei terzi che possono garantire la continuità produttiva e i livelli occupazionali».














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