World Manufacturing Forum: il Governo non abbandoni le imprese!

di Marco de' Francesco ♦︎ Dalla prima giornata del Wmf le proposte di Marco Bonometti (Confindustria Lombardia) e il progetto di politiche industriali per intelligenza artificiale, automotive, digitalizzazione delle pmi. Dal presidente Marco Taisch i numeri dei nuovi posti di lavoro della manifattura (due milioni in più di 10 anni) e il decalogo su aziende e skill

Da sinistra: Alberto Ribolla, Fabrizio Sala e Marco Bonometti

«Il governo? Lo aspettiamo al varco, con provvedimenti per rivitalizzare l’industria». Parola di Marco Bonometti, il presidente di Confindustria Lombardia, a margine del suo intervento al World Manufacturing Forum, la fondazione presieduta da Alberto Ribolla che riunisce annualmente il gotha dell’industria globale. Ieri a Cernobbio (Como) si è tenuta la prima sessione, con l’assemblea plenaria; è stata preceduta dal Technical Day di ieri l’altro, e si concluderà oggi. Per Bonometti ci sono priorità che richiedono risposte immediate. Dopo la rimodulazione al ribasso degli incentivi per il 4.0 effettuata dal primo esecutivo Conte, e dopo il sostanziale dimezzamento dell’alternanza scuola-lavoro, il leader degli industriali lombardi si attende che il governo Conte II riconsideri l’impianto del sostegno statale alle imprese impegnate nella trasformazione digitale. E che si prenda carico con rapidità dei problemi della manifattura.

Perché da mesi, ormai, è subentrata una fase di stagnazione, che riguarda sia la produzione industriale che l’economia generale del Paese. Serve una scossa, secondo Bonometti, che si può declinare in alcune precise richieste. Anzitutto, il taglio del cuneo fiscale, «con più soldi in busta paga per i dipendenti»; poi lo sblocco dei finanziamenti per i cantieri pubblici, «e cioè soldi e di lavoro che da soli determinerebbero un incremento del Pil», e infine favorire il rilancio degli investimenti nella digital trasformation, «precipitati a causa dell’incertezza generata dai cambiamenti al piano Calenda».







Ma anche le Regioni devono fare la loro parte. Proprio al World Manufacturing Forum è emersa una iniziativa dall’Associazione “Quattro motori per l’Europa”, che riunisce appunto le prime quattro Regioni più importanti per l’industria del Vecchio Continente: Auvergne-Rhône-Alpes, Baden-Württemberg, Catalunya, Lombardia. Si tratta di un progetto comune per destinare fondi propri ed europei in attività a sostegno dell’automotive o della digital transformation delle Pmi. Peraltro, è inutile investire su software e hardware se poi in azienda non c’è il personale per maneggiare prodotti innovativi. Di qui un importante intervento nella tarda mattinata di ieri in sessione plenaria: quello del direttore dell’osservatorio industria 4.0 del Politecnico di Milano Marco Taisch, che ha presentato un white paper che esplora al dettaglio il fenomeno della carenza di skill nell’industria. Industria Italiana ha seguito la sessione plenaria e ha colto alcuni highlight.

Marco Taisch, direttore dell’osservatorio industria 4.0 del Politecnico di Milano

Le richieste di Confindustria Lombardia al governo

«Ho notizie di un rallentamento della produzione e delle esportazioni lombarde. Se ciò capita nella regione più forte, figurarsi cosa può accadere nel resto del Paese» – ha affermato Bonometti. In effetti a luglio nel Belpaese la produzione industriale ha subito una flessione dello 0,7% rispetto al mese precedente, che aveva peraltro fatto segnare un calo dello 0,2% rispetto a quello prima. Su base annua, è crollato il settore auto: una diminuzione del 14%. Quanto alle esportazioni, per ora reggono, ma si teme che la crisi tedesca produrrà conseguenze negative. Infatti l’anno scorso la Germania ha assorbito il 56% dell’export degli altri Paesi europei. Il rallentamento di Berlino non può avvenire senza una flessione delle importazioni.

C’entra l’automotive, su cui torneremo. Ma per rimettere il BelPaese in carreggiata, occorre prendere nell’immediato un insieme di misure. Più soldi nella busta paga dei dipendenti significa più liquidità in circolazione, e quindi un possibile incremento degli acquisti privati. Quanto allo sblocco delle infrastrutture, la questione è quella della riforma del codice degli appalti del 2016. Mancano ancora all’appello la lista delle opere prioritarie, il regolamento attuativo e la nomina dei commissari. Quanto infine agli incentivi per la digital transformation, per Bonometti il primo governo Conte «li ha ridotti ad un miliardo di euro partendo da uno stanziamento di quattro miliardi del governo precedente»; mentre la riformulazione dell’alternanza scuola lavoro, «è lo specchio dei tempi e di una diffusa mentalità anti-industriale». Bonometti non sembra ottimista sulle iniziative che l’attuale governo dovrebbe prendere per riaccendere i motori all’industria. «Spero che si attivi, ma non ne sono sicuro» – ha commentato.

Da sinistra: Marco Bonometti presidente Confindustria Lombardia, Fabrizio Sala vicepresidente Regione Lombardia, Alberto Ribolla presidente Wmf

Il progetto dei “Quattro motori per l’Europa”

Il progetto dei “Quattro motori per l’Europa” ha riunito sia la rappresentanza istituzionale che quella delle associazioni industriali delle Regioni coinvolte. Entrambe le delegazioni sono intervenute ieri l’altro, nel corso di una giornata “tecnica” che ha preceduto l’assemblea plenaria di ieri. Se ne parlerà più ampiamente in un prossimo articolo di Industria Italiana. Per adesso possiamo anticipare il meccanismo che si vorrebbe azionare. Le Regioni, come è noto, dispongono di finanze proprie; ma soprattutto gestiscono l’ultimo miglio di alcuni fondi stanziati dall’Unione Europea. L’idea è quella di accordarsi per destinare queste risorse per risolvere problemi comuni, anche legati alla questione dell’automotive e alla trasformazione digitale delle aziende. C’è da difendersi dalla concorrenza della Cina e degli Usa, che possono stanziare capitali molto più consistenti su entrambi i fronti. Per esempio, la questione delle batterie. Sono l’elemento centrale dell’auto elettrica. Si rischia di dipendere dai cinesi, che peraltro detengono grandi riserve di litio. Ma nelle Regioni coinvolte ci sono importanti università e centri di ricerca. È bene che si cerchi una via europea alla batteria, concentrando le risorse. Le Regioni devono muoversi all’unisono, e i risultati vanno condivisi. «Dobbiamo lavorare insieme per creare innovazione» – ha affermato Mireia Borrell Porta, segretaria per gli affari esteri e per l’Unione Europea della Generalitat de Catalunya. Molto sentito è il tema delle Pmi, «che da sole non ce la possono fare: dobbiamo creare l’ecosistema che consenta loro di prosperare» – ha affermato il vicepresidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala.

Marco Taisch, direttore dell’osservatorio industria 4.0 del Politecnico di Milano

Il decalogo per la formazione delle competenze

Il white paper “Skills for the future of manufacturing” presentato da Taisch è già stato oggetto di un articolo di Industria Italiana. Già Ribolla aveva citato uno studio di McKinsey, secondo il quale entro il 2030 l’industria globale avrà bisogno di 800 milioni di nuove figure professionali legate a competenze digitali; al contempo, sarà necessario “sostituire” 400 milioni di persone, a causa dell’automazione: di queste, 24 milioni in Germania, 23 negli Usa e 16 in Cina. Certo, invece del replacement conviene operare un reskilling. Ma come? Il Wmf ha tracciato la rotta per la formazione. Ha stilato un viatico che può essere preso in considerazione dai governi, quando definiscono le politiche in materia.

Primo punto è l’aggiornamento continuo. Il secondo, è che il lavoratore deve essere posto nella condizione di poter ottenere risultati da dispositivi in costante evoluzione. Il terzo, è la realizzazione di un sistema di meccanismo pubblico privati per favorire l’apprendimento del lavoratore. Il quarto è che bisogna superare l’immagine negativa che l’industria si porta dietro, quella di luogo adatto alla fatica fisica e poco pulito. Il quinto è lo sviluppo di profili diversi da quello del superspecialista: le competenze tecniche vanno associate ai soft skill. Il sesto è che la tecnologia va considerata come uno strumento di promozione dell’educazione. Il settimo è che bisogna considerare la tecnologia come un fattore che attiva la scala sociale e l’avanzamento della società. L’ottavo è che bisogna diffondere la consapevolezza dell’importanza della trasformazione digitale. Il nono è che i percorsi di formazioni vanno personalizzati, e costruiti in rapporto alle inclinazioni del lavoratore. Il decimo e ultimo punto è che la competizione interna all’azienda va sostituita con la cultura della collaborazione e delle cooperazione.

La mancanza di skill è il motivo principale per cui gli imprenditori non investono

Secondo Esther Lynch, deputy general secretary della Confederazione europea dei sindacati, «bisogna anche tener conto, nell’impartire una formazione, della generazione: quella necessaria ai cinquantenni non può essere paragonabile con quella che va data ai millennial». E poi, secondo il vicepresidente esecutivo e Cio di Great place at work (la società di ricerca che realizza ogni anno la lista delle 100 migliori aziende al mondo in quanto al lavoro) Tony Bond, alla fine la gente non ha paura della trasformazione digitale: semplicemente, teme di perdere il posto di lavoro. È una questione culturale, che va affrontata con gli strumenti della cultura. Alla fine, molti luoghi comuni vanno soppiantati. Secondo il presidente e Ceo di Ptc (software house di Boston ora focalizzata sull’IoT e sulla realtà aumentata) James E. Eppelmann, «il digitale è un amico, non un nemico, come pensano in molti. Grazie all’analisi dei dati, infatti, le persone possono potenziare i propri skill». Infine, per l’amministratore delegato di Porsche Consulting (società di consulenza affiliata alla nota casa automobilistica) Josef Nierling, è vero che bisogna lavorare sulla “trasformazione della cultura”, ma è anche vero che non è il caso di enfatizzare «l’allineamento delle competenze dei lavoratori alle tecnologie  si succedono nel tempo», perché «dal momento che la tecnologia è sempre più facile da utilizzare», non è quello il problema. Piuttosto bisogna puntare sull’agilità di apprendimento, per far risaltare «il potenziale delle persone».

Esther Lynch, deputy general secretary della Confederazione europea dei sindacati













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