Via della seta 2.0: le innovazioni del comparto tra Como, Cina e Brasile

di Antonio Picasso ♦︎ Un network made in France per rilanciare la filiera, che coinvolge Europa, Asia e America. Il settore - +4,1%, del fatturato aggregato nel 2018 - è in ripresa ed è sempre più 4.0: telai jacquard automatizzati e stampa in jet con l’utilizzo di plasma e grafene per finissaggi particolari. Con la città lariana a fare da traino…

Sul bilancio settoriale sfavorevole incidono sia la contrazione delle vendite sui mercati esteri sia, soprattutto, il mercato interno
Telaio. Foto concessa da Confindustria Como

C’è una nuova Via della Seta, con l’inizio di questo decennio. È una lunga strada che va ben oltre le rotte carovaniere dei secoli passati. È il network “Città della Seta”, che unisce tre continenti, ciascuno con le sue città appunto, cariche di tradizione e lanciate nel futuro nella produzione di un tessuto pregiato, naturale e resistente. Estremo Oriente, Asia centrale e Caucaso, Europa, Sud America. Questo nuovo risiko dei tessuti ha una tappa italiana: il distretto serico comasco.

Como sì, quell’elegante città lombarda fino a non molto tempo fa assopita sugli allori del suo passato industriale, i cui telai oggi sono tornati a girare. I dati più aggiornati confermano un +4,1%, del fatturato aggregato nel 2018 sul 2017. E si prevede un’ulteriore crescita per il 2019 (già nel primo semestre si è toccato un +5,4%). Con il 70% della produzione destinata, direttamente o indirettamente, all’estero, Como si conferma uno snodo di prim’ordine in questa rete internazionale, che ha come missione la valorizzazione della seta secondo cinque possibili declinazioni: innovazione, sostenibilità, cultura-tradizione, espressione creativa e sviluppo del turismo. Como, ancora una volta, punta al lusso, all’industria del bello, per un consumatore esigente in fatto di qualità, ma anche tracciabilità del prodotto. Certo, il futuro immediato non è ancora splendente. Ma, grazie soprattutto a innovazione tecnologica e formazione di alto livello, l’ottimismo sta ricominciando a farsi sentire.







 

Asia, Europa, Sud America: il network dei territori serici abbraccia tre continenti

Stefano Vitali, presidente dell’Ufficio Italiano Seta e ad della tessitura Fratelli Vitali

Ricordate Made in Italy? Nella fiction ideata da Camilla Nesbitt e trasmessa da Amazon Prime, c’è una scena girata a Cernobbio, a Villa Erba per essere precisi, in cui la nascente moda italiana si incontra con gli imprenditori del tessile comasco. È l’inizio, per quanto di fantasia, di un matrimonio, che è stato invece reale, tra produttori e creativi i cui strascichi sono ancora ben visibili. «I brand del tessile mondiale non possono fare a meno di Como», dice Stefano Vitali, presidente dell’Ufficio Italiano Seta e Amministratore delegato della tessitura Fratelli Vitali. «È per questo che la nostra città è stata chiamata a far parte della nascente rete mondiale delle Città della Seta».

Il capoluogo lariano e con esso Lione, Valencia, ma anche Kyoto, Yokohama, in Giappone, le cinesi Nang Chong, Hang Zhu e ancora Bukara e Samarcanda, in Uzbekistan, le georgiane T’Blisi e Batumi, fino a sbarcare in Brasile: a Curitiba e Londrina. Hermès, Lvmh e altre, insomma le major del lusso frabriqué en France, sono loro ad aver voluto la creazione del network internazionale “Città della Seta”. A fare il primo step sono stati la Municipalità e la Città Metropolitana di Lione. Ha replicato, a sua volta, Inter Soie, la fiera della seta che si tiene tutti gli anni nella città francese. E sempre per volontà transalpina è avvenuta la cooptazione di Como.

fatturato tessile e abbigliamento in Italia e nel comasco. Fonte Confindustria Como

Del resto la Francia resta il primo mercato straniero di riferimento per le imprese lombarde. «Tradizione, cultura, innovazione, sostenibilità, espressione creativa e sviluppo del territorio. Questi sono i punti in comune del network. Ciascuna città vanta una filiera completa, che va dalla produzione del filo, al tessuto stampato. L’approccio quindi, oltre che associativo in termini di categoria, è di potenziamento della competitività territoriale e di condivisione di progetti e proposte». Tracciabilità completa del prodotto, secondo tutti i quattro passaggi produttivi (tiratura, tessitura, nobilitazione e confezionamento), trasparenza, specie per il rispetto dell’ambiente, superamento delle assurdità normative, introduzione e condivisione delle più coraggiose innovazioni tecnologiche. È di questo che si parlerà a Samarcanda, a maggio, next stop del network itinerante.

 

Timidi segnali di ripresa che permettono ottimismo alle imprese

Andrea Taborelli, Presidente Gruppo Filiera Tessile Confindustria Como

«È una cosa fresca, di pochi mesi, peraltro a macchia di leopardo, però questo basta per farci parlare di ripresa». A dirlo è Andrea Taborelli, che guida la secolare azienda di famiglia, la Tessitura Serica Taborelli, ed è allo stesso tempo impegnato nell’associazionismo di impresa, come presidente del Gruppo filiera tessile di Confindustria Como e nel board del Sistema Moda Italia.

L’indagine congiunturale sulla tessitura serica italiana ha evidenziato nella prima metà del 2019 un andamento complessivamente positivo. Il distretto italiano della seta conta oltre cento aziende, associate all’Ufficio Italiano Seta, che agisce nell’ambito di Sistema Moda Italia, per un totale di seimila addetti e un fatturato aggregato di circa un miliardo di euro, contro i 2,4 complessivi dell’intero tessile comasco. Sono tessiture che hanno scritto la storia dell’industria italiana, per esempio Ratti SpA, Lisa SpA e Saati. O ancora Mantero Seta, Achille Pinto e Isa SpA. Brend senza i quali la moda Made in Italy non sarebbe decollata. Pensiamo anche alla Clerici Tessuto, Gabel e Gentili & Mosconi. «Il merito va alle nuove soluzioni tecnologiche – prosegue Taborelli – che hanno velocizzato i tempi di produzione, senza intaccare i livelli qualitativi e che, anzi, ci stanno permettendo di essere più concorrenziali».

Non è più il tempo di piangere sulle memorie andate. Gli anni d’oro del secondo dopoguerra sono parte del passato remoto. Attenzione, nessuno dice di portare in soffitta i ritratti del Cavalier Ratti o di Guido Ravasi. I pionieri non si dimenticano, semmai se ne copiano le gesta. Ma chi fa impresa non può permettersi di perdere tempo sulla nostalgia. Di quell’epoca e dei secol ancora più indietro, a Como resta il museo didattico della seta – unico nel suo genere in Italia – custode di quella tradizione su cui si sta rinnovando il settore. Tesoro ancora più prezioso sono gli archivi tessili: inesauribile fonte di ispirazione per dare nuova creatività a cravatte e foulard.

Tuttavia, si volta pagina. Ci si lascia alle spalle crisi e depredazioni degli stranieri, ammesso che queste siano davvero avvenute. Il tessile comasco – di cui la seta copre il 20% della produzione – sfoggia performance finalmente soddisfacenti. Dopo il 2011 – anno nero per tutti – e un lungo lavoro di riassestamento, i telai sono tornati in funzione. «La situazione non è rosea per tutti», aggiunge Taborelli ricalibrando l’entusiasmo. Fatto 100 il 2008 come anno base, l’indice d fatturato nel 2018 ha toccato quota 95,1. «Il comparto stampa viaggia bene ormai da tre, quattro anni. Mentre altri fanno ancora fatica, soprattutto a causa dei costi concorrenziali dei produttori stranieri».

 

Bassi costi che sfiancano la concorrenza e norme assurde sulla trasparenza: la strada è ancora in salita

Tessitrice senior e junior. Foto concessa da Confindustria Como

Como infatti non è l’Eldorado. In quanto fibra naturale, la seta è soggetta a oscillazioni imprevedibili, legate a eventi atmosferici e climatici. Ci sono poi le speculazioni. Il 2019 si è chiuso con un aumento del 10% dei prezzi della seta sui mercati internazionali. E, visto che il 95% dei prodotti filati mondiali è made in China, si tende ad attribuire la responsabilità delle incertezze al gigante asiatico. Ma questo è un luogo comune da smontare. Primo perché Como rappresenta ancora l’80% della produzione serica d’Europa. È abbastanza per alzare la voce. E poi perché l’idea che sia tutta colpa dei cinesi, o dei francesi, insomma di qualcun altro, è per lo più da ridimensionare. Chi produce seta da millenni, non può essere contento di assistere all’estinzione di un distretto. «Con i cinesi bisogna andare d’accordo», torna a dire Vitali. «Per loro la seta è come un diamante: vale per sempre. Il problema è il consumatore fast fashion, che cerca prodotti a basso costo e facili da trovare». E poi ci sono le norme. La tracciabilità è fondamentale per dare al consumatore la garanzia della sostenibilità dei prodotti che acquista ed è un fattore decisivo per lo sviluppo del settore tessile-abbigliamento.

Dettaglio talaio. Foto concessa da Confindustria Como

Nel nostro Paese, diversamente dai mercati asiatici, sono già stati fatti notevoli passi avanti in proposito. Il contesto delle norme europee è unico al mondo per rigore e severità. La normativa Reach (Registration, Evaluation, Authorization and Restriction of Chemicals) ha imposto a livello comunitario un’attenta selezione delle sostanze chimiche ammissibili nei processi produttivi. Gli scarichi delle aziende devono rispondere a parametri precisi e impegnativi. Inoltre, i diritti dei lavoratori sono tutelati e la tradizione italiana delle relazioni industriali consente di affrontare i problemi e di trovare soluzioni condivise.

Il paradosso però è che mentre chi compra pretende la massima trasparenza, c’è un’Unione europea che non obbliga la piena tracciabilità dei manufatti. «Pare assurdo, ma il muro di gomma è proprio nel Nord Europa. È lì che subiamo il disinteresse a fornire le più complete indicazioni a favore del cliente finale», dice Taborelli. «In Usa e Cina è obbligatorio render noti tutti i passaggi di filiera, dalla tiratura al confezionamento, invece a casa nostra sono sufficienti la composizione e le indicazioni di lavaggio». Così un capo made in Germany può esser sì stato confezionato a Monaco, ma con tessuti prodotti in Paesi mediterranei, dove magari si sfrutta una mano d’opera a costi irrisori e senza alcuna tutela lavorativa.

 

Si punta su etica e automazione

Telaio. Foto concessa da Confindustria Como

«Questo e altro ancora ci ha portati a bypassare il muro normativo dell’Ue e lanciare Etic», arriva a dire Taborelli. L’acronimo, con un palese gioco di parole che richiama l’etica, ma anche l’etichettatura, sta per European Textile Identity Card. «Un’etichetta facoltativa e alternativa a quelle europee, su cui compaiono i quattro passaggi produttivi. Il progetto da un lato spinge sulla trasparenza, facendo sì che il consumatore sia consapevole del capo che acquista. Tant’è che siamo in contatto con altre associazioni di categoria e di consumatori, per esempio Altro Consumo, per coinvolgere più brand possibili, comunicare ampiamente il progetto e farlo decollare davvero in un tempo ragionevole di due anni. Dall’altro lato, viene favorito il modo di lavorare europeo. Etic ha già ottenuto il sostegno da Belgio, Grecia, Spagna, Portogallo e Francia, dove comunque esiste il marchio France terre textile». I suoi promotori pensano in grande. L’iniziativa infatti ambisce a stimolare l’apertura dei mercati.

Spole. Foto concessa da Confindustria Como

«Se in Europa si diffonde la cultura della trasparenza, Paesi produttori a basso costo quali Bangladesh e Turchia dovranno adeguarsi. È un circolo virtuoso, ben più utile di una qualsiasi politica dei dazi tanto di moda oggi in Occidente». Inoltre si spera di creare un modello anche per altri settori produttivi. Com’è stato trent’anni fa per l’alimentare, quando tutte le associazioni di categoria e di consumatori si sono mosse per stabilire in maniera definitiva una policy di informazione e trasparenza del prodotto. «Non è un’operazione soltanto legislativa e industriale. È possibile immaginare ritorni positivi anche sul fronte occupazionale. Più sei in linea con le esigenze del mercato, più produci, quindi più cresci e a sua volta crei lavoro», conclude Taborelli.

A fianco dell’impegno in campo normativo, ci sono le nuove tecnologie: vera punta d’attacco della filiera. I telai jacquard automatizzati sono ormai di prassi in quasi tutti gli stabilimenti, cui sono stati affiancati procedimenti di stampa in jet, oppure con l’utilizzo di plasma e grafene per finissaggi particolari. Nuovi macchinari – prevalentemente made in Italy – e nuove tecniche produttive, soprattutto nell’ambito chimico, che prevedono una manodopera sempre più qualificata e la riduzione dei tempi di produzione, senza però intaccare la qualità del manufatto. Condizioni essenziali, prese nel loro insieme, per restare competitivi.

 

Fattore umano: meno di così non è possibile

Graziano Brenna, Presidente Fondazione Setificio

È sulla formazione che Como sta puntando davvero. «Il Setificio ha compiuto 150 anni e, dopo una spirale negativa, che ci ha portati a pensare di chiuderlo, oggi conta circa 1.600 studenti che arrivano da tutto il mondo per acquisire una competenza tecnica unica». A parlare è Graziano Brenna (Tintoria Filati Portichetto), presidente della Fondazione Setificio, che supporta le attività dell’Isis di Setificio “Paolo Carcano”, la scuola tessile più antica d’Europa. Le previsioni future sono drammatiche. «Per il tessile – dice ancora Brenna – si prevede una mancanza di tecnici pari a 50mila persone. Una forza lavoro senza la quale l’intero settore crollerebbe».

L’automazione infatti non è in grado, da sola, di sostituire completamente il fattore umano. «Meno di così, in termini di manodopera impiegata, non si può fare», commenta Vitali. All’efficienza dei centri Cad, fondamentali per il design, dev’essere affiancata una cultura scientifico-chimica talmente di settore che neanche le università riescono a fornire. «Gli stessi laureati che vengono a specializzarsi sul territorio non hanno le skill che servono alle nostre imprese». Tessitura, finissaggio e chimica tintoria: il Setificio colma proprio questi gap.

A ottobre scorso c’è stato il lancio del nuovo corso di formazione in stampa tessile tradizionale, voluto da Confindustria Como, promosso dalla Fondazione Setificio e dall’Istituto dei Mestieri d’Eccellenza Lvmh, e da Adecco. Un cammino di preparazione, della durata complessiva di 200 ore, progettato con l’obiettivo di insegnare ai corsisti nozioni relative alla stampa tradizionale su tessuto e all’intero processo produttivo, attraverso lezioni sia pratiche sia teoriche.

Spole. Foto concessa da Confindustria Como

Gli studenti più meritevoli avranno la certezza del posto di lavoro nelle sette manifatture comasche che hanno aderito all’iniziativa (Artestampa Spa, Emme Srl, Ghioldi Srl, Isa SpA, Mantero Seta SpA, Ratti SpA, S.S.I. Stamperia Serica Italiana SpA). L’approccio didattico sarà di tipo pratico/sperienziale/laboratoriale, in modo da portare subito i partecipanti a contatto con gli aspetti operativi del ruolo. Da qui si procederà a fornire ai corsisti le conoscenze tecniche necessarie per apprendere appieno quanto sperimentato. «Siamo in grado di fornire una specializzazione il più velocemente possibile», conclude Brenna. «In modo da poter dispiegare sul campo una forza lavoro di diplomati, che sanno come si produce, come si colora, come viene creato un tessuto. Gli studenti del Sefiticio entrano in fabbrica parlando già la nostra lingua». Per le caratteristiche della materia prima e per le qualità del prodotto finale – che si vogliono mantenere tali – l’industria serica è come una macchina da corsa: puoi avere il motore più sofisticato del mondo, ma poi sta al pilota tagliare il traguardo.














Articolo precedenteAmazon Web Services, il goal di Jeff Bezos in Bundesliga
Articolo successivoTessile, la comasca Lico Print sceglie la stampa digitale Epson






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui