Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sui robot e non avete mai osato chiedere

GOIANA, RECIFE, 29-04-2015, - POLO AUTOMOTIVO DA JEEP EM GOIANA (PE) - Instalações da Fábrica da Jeep em Goiana (PE). - A produção do Polo Automotivo Jeep vai abastecer toda a América Latina. (Foto: Juca Varella/FCA/FOTOS PÚBLICAS)

di Filippo Astone e Laura Magna ♦ L’automazione crea ricchezza e posti di lavoro, soprattutto se c’è un adeguato livello di istruzione. Intervista a Domenico Appendino di Siri. I casi Camozzi, Omas, Sabaf, Multilel. La posizione di Ucimu. E..

La disoccupazione in Germania è al 3,9% e in Giappone al 2,8%. Stiamo parlando di tassi che indicano prossimità alla piena occupazione per due delle nazioni che hanno la più elevata diffusione di robot nelle fabbriche. Dati che da soli basterebbero a confutare la tesi di senso comune secondo cui l’automazione distrugge il lavoro umano. Che è parzialmente falsa: i robot sostituiscono gli umani nelle mansioni più faticose e ripetitive, in quelle che richiedono l’utilizzo di potenza di calcolo e livelli di standardizzazione estrema, mai in ruoli che contengono un elevato contenuto di pensiero. E se alcuni lavori effettivamente spariranno, ne nasceranno di nuovi legati proprio ai robot: alla programmazione, alla manutenzione, alla gestione.







Nel breve e nel medio periodo il saldo sarà positivo: aumenteranno la produttività, la ricchezza creata e anche l’occupazione, in termini sia di qualità/retribuzione e sia di quantità. Questo sarà ancora più vero quanto più ci sarà istruzione e qualificazione. Anche se ci sarà il problema di alcuni “perdenti assoluti”, una fetta di lavoratori che perderà il lavoro senza speranza di trovarne altro e che dovrà essere affidata al welfare e, magari, al reddito di cittadinanza.

E in Italia? La correlazione diretta tra automazione e aumento dei posti di lavoro non fa difetto: lo hanno testimoniato alcune aziende che a Milano hanno partecipato a metà ottobre al convegno “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… e i robot?”, organizzato da SIRI, l’Associazione Italiana di Robotica e Automazione, fondata nel 1975 da un gruppo di pionieri della robotica che hanno anticipato di 12 anni la fondazione dell’IFR (International Federation of Robotics).

Gruppi manifatturieri come Camozzi, leader della meccanica, e Sabaf, che opera nella componentistica per cucine; Omas, nella lavorazione di tubi e lamiere; Newform nel settore della rubinetteria e Multitel in quello delle piattaforme di lavoro aereo. Per tutte queste aziende con l’introduzione di robot in fabbrica è arrivato un aumento della produttività e anche dei loro impiegati. A sentire i vertici di queste pmi ( più avanti il loro punto di vista ), l’Italia è (e resterà) una Repubblica fondata sul lavoro, nonostante i robot. O, meglio, grazie ai robot. Del tema Industria Italiana ha parlato con Domenico Appendino, presidente SIRI e consigliere Ucimu-sistemi per produrre, che ha snocciolato decine di numeri a sostegno della tesi secondo cui i robot creano lavoro, citando diversi studi internazionali. Che elevano la questione su un piano di analisi scientifica, liberandola dalla componente emozionale.

 

Domenico Appendino
Domenico Appendino, presidente SIRI e consigliere Ucimu-sistemi per produrre

Domenico Appendino: i robot hanno fatto aumentare l’occupazione e diminuire la disoccupazione

«Guardando in prospettiva, possiamo dire che alcune attività industriali si svolgeranno esclusivamente grazie alla robotica, ad esempio in tutte quelle che fanno ricorso al laser, che per certe produzioni è di gran lunga più preciso di qualsiasi essere umano. Poi ci sono lavori usuranti, pesanti, pericolosi per cui l’uomo sarà completamente sostituito dalle macchine», esordisce Appendino. «L’automazione e la robotica uccidono posti di lavoro di un certo tipo, ma ne creano altri. E il bilancio finale è in positivo. Secondo fonti come Mc Kinsey e Ocse meno del 10% dei lavori di oggi può essere automatizzato e si tratta comunque di alcune attività inerenti una specifica occupazione piuttosto che di sostituzione di posti di lavoro. Molti di questi compiti saranno automatizzati grazie ai bot, cioè automi informatici dotati di potenza di calcolo inarrivabile per l’uomo.

Gli stessi esperti prevedono un futuro in cui essere umani e robot lavorano e funzionano insieme, uno supporta l’altro: in particolare, gli umani si spostano verso ruoli “higher-skilled” e meglio pagati, si stima il 30% in più rispetto alle medie attuali, come ad esempio la programmazione, la supervisione e il mantenimento dei robot», continua l’ingegner Appendino. La sfida a questo punto si gioca sulla formazione. Ma prima di approfondire questo tema, ripercorriamo il sentiero di dati che porta SIRI a dichiarare senza esitazioni che i robot fanno aumentare il lavoro umano.

 

Executive_Summary_WR_2017_Industrial_Robots1

Dal 2008 al 2016 i robot sono raddoppiati e ci sono 12 milioni di occupati in più

Innanzitutto, l’ultimo report di IFR di cui Industria Italiana ha parlato già qui : c’è stato un incremento delle vendite di robot del 16% nel solo 2016 (quando le nuove unità attivate sono state pari a 294mila), un record per il quarto anno consecutivo. La robotica vale 40 miliardi di dollari a livello globale. A trainare la crescita il settore dell’elettronica (+41%), mentre l’automotive che è tradizionalmente il comparto che usa più robot in assoluto (una quota del 31% del totale), ha rallentato, segnando solo un +6%. Tra il 2011 e il 2016, sempre secondo le rilevazioni di IFR, la vendita di robot è aumentata a un ritmo dell’11% annuo, raddoppiando la quota di robot al lavoro nelle aziende al ritmo d 210mila all’anno, rispetto ai 115mila venduti tra il 2005 e il 2008.

Secondo le stime di IFR la crescita sarà ancora più sostenuta negli anni a venire, in media del 15% annuo fino al 2020. La densità di robot è di 74 per ogni 10mila dipendenti della manifattura globale, con Paesi che si discostano molto da questa media. La Corea, il più robotizzato al mondo, ha 631 robot per 10mila lavoratori, seguito da Singapore (488) e dal Giappone a quota 303. Negli Usa questo valore è di 189 robot per 10mila lavoratori; in Europa in media di 99, nelle Americhe di 84 e di 63 in Asia.

Executive_Summary_WR_2017_Industrial_Robots2

 

«Oggi nel mondo la popolazione di robot ammonta a 1,8 milioni di unità, raddoppiati nel 2016 rispetto al 2008; nello stesso periodo di tempo si sono creati circa 12 milioni di nuovi posto di lavoro. Secondo un studio del Centro per la Ricerca Economica Europea, l’automazione ha portato un aumento netto di 10 milioni di posti di lavoro nell’Ue in un periodo precedente, tra il 1999 e il 2011. Questo circolo virtuoso si spiega abbastanza facilmente: l’automazione e la robotica migliorano la produttività delle aziende, che devono assumere più persone per stare al passo. Accade anche che le aziende facciano automazione per salvare posti di lavoro, anzi direi che oggi è quasi la regola: se non ci si automatizza si perde in competitività e si rischia di soccombere sotto i colpi dell’innovazione. In quel punto, al contrario, i posti di lavoro vanno perduti», continua Appendino.

Un altro dato molto interessante è quello che mette in relazione i tassi di disoccupazione e la dinamica relativa ai robot che è diversa tra Oriente e Occidente: «Nel mondo occidentale, in particolare in Usa e Germania, fino agli anni 2004-2005 l’aumento del numero dei robot è stato seguito anche da un aumento della disoccupazione. Poi, dopo il 2005, questi due valori si sono divaricati e il tasso di disoccupazione ha iniziato a contrarsi. Nei Paesi in via di sviluppo ora emersi, come Corea e Cina, invece da sempre, dal 2000, i robot hanno fatto aumentare l’occupazione e diminuire la disoccupazione», commenta il presidente di SIRI.

 

Salari più alti e aziende più competitive

Il tema è avvincente e le analisi a cui Appendino fa riferimento per corroborare le sue affermazioni sono numerose : «Altri studi dimostrano che i robot hanno aumentato i salari senza ridurre le ore lavorate, i lavori sono cresciuti più velocemente nelle occupazioni che utilizzano l’automazione e i Paesi che hanno investito più in robot hanno perso meno posti di lavoro rispetto a quelli che non lo hanno fatto. Per questi motivi i robot consentono alle aziende di diventare o rimanere competitive, fatto particolarmente importante per le pmi che costituiscono la spina dorsale di molte economie, a partire dalla nostra», spiega Appendino.

Il Centre for Economics and Business Reasearch ha calcolato che le aziende che impiegano efficacemente le innovazioni tecnologiche nel loro complesso, inclusa la robotica, sono tra 2 e 10 volte più competitive di quelle che non lo fanno. «Ancora, gli investimenti in robot hanno contribuito per il 10% alla crescita del PIL pro-capite nei Paesi Ocse dal 1993 al 2016, e un aumento nella densità della robotica è associato a un incremento della produttività dello 0,04%», secondo i dati riportati da Appendino. Che prosegue: «Secondo la London School of Economics i robot hanno contribuito al 10% di crescita totale del PIL in 17 paesi europei tra il 1993 e il 2017 e hanno aumentato la produttività negli ultimi 14 anni in 17 Paesi europei dello stesso valore di quanto avvenuto con l’introduzione della tecnologia del vapore ma in quarto del tempo che fu necessario a quella rivoluzione». Viene citato anche un dato che riguarda l futuro: il McKinsey Global Instititute prevede che la metà della crescita totale della produttiva che garantirà un incremento del PIL del 2,8% nei prossimi 50 anni sarà guidata dall’automazione.

Il rientro in patria di chi si automatizza, da Whirlpool a Adidas a Caterpillar

SIRI ha censito i dati italiani, scoprendo che anche da noi la robotica ha corrisposto ad un aumento della disoccupazione negli anni della grande crisi. Oggi, invece, abbattendo i costi e migliorando la produttività consente di rilocare in patria le produzioni un tempo portate oltre confine: succede in Italia, ma anche in Usa. «Diventa più competitivo produrre in casa e certe industrie tornano dove sono nate e là creano valore. Insomma, un altro vantaggio che danno i robot è che ci aiutano a smettere di depauperare i sistemi interni». Esempi di questo trend sono Whirlpool in Italia, Caterpillar e Ford Motor in Usa e Adidas in Germania. Ad esempio negli Usa circa 250mila posti di lavoro sono stati riportati negli Usa grazie a questo reshoring.

Se queste sono le evidenze scientifiche di valore oggettivo, la domanda sorge spontanea: perché, contro i numeri, tutti hanno paura dei robot? «Perché è più facile parlare alla pancia e cavalcare le battaglie politiche facendo leva sulle paure, piuttosto che proponendo soluzioni. Molta letteratura e anche il cinema lo ha fatto: i robot intelligenti che si ribellano e si sostituiscono all’uomo sono una rappresentazione molto lontana dalla realtà che invece è popolata da sensori, una realtà dove i robot sono ben diversi dagli umanoidi.

 

 

Certo, escono dalle gabbie in cui erano relegati fino a qualche hanno fa, diventano mobili, guadagnano in destrezza e indipendenza, in ottica collaborativa, e non a caso li chiamiamo ora co-bot. Che è la definizione precisa: robot collaborativi. Non amo la locuzione Intelligenza artificiale, che è quella che a mio avviso crea il cortocircuito comunicativo e alimenta le paure: parlerei di grande automazione, grande capacità di elaborazione dati; l’intelligenza è un’altra cosa. L’uomo baserà la sua forza, sempre, su questa intelligenza che è sua propria e che nessun robot potrà mai possedere», prosegue Appendino.

Perché la robotica ci migliora la vita

Il presidente di SIRI ritiene, in conclusione, che «la robotica migliori le condizioni di vita; è solo l’ultimo tassello dell’evoluzione che ha portato l’uomo primitivo a passare dalla caccia alla pastorizia, all’agricoltura, alle botteghe, alla fabbrica, alla catena di montaggio». Per percorrere con successo questa strada bisogna passare attraverso un processo adeguato di formazione : «c’è bisogno di know how specifici e nuovi, la grande sfida è riuscire a formare la gente in questo settore. E lo si fa con una formazione liquida che è un ritorno al passato. La scuola un tempo insegnava a imparare. Uno studia a scuola cose che sul lavoro non servono più, ma se impara a imparare ha un metodo che lo aiuterà sempre». Quanto siamo pronti in Italia a questa rivoluzione della robotica? «Meno di altri Paesi, perché facciamo meno sistema e non c’è quel rapporto di fluidità tra scuola e azienda. Ma ce la faremo perché la nostra scuola è considerata valida e importante. E perché siamo da sempre la seconda potenza industriale europea dopo la Germania », conclude Appendino.

 

Zac ( Prima Progetti): il primo robot laser nel mondo (1979)

L’ Italia, pioniere della robotica

Non solo. L’Italia ha contribuito all’avvio del settore dell’automazione e della robotica proponendo importanti innovazioni: sono italiani il primo robot di misura, nati nel 1965 nel laboratorio dell’ingegner Franco Sartorio; il primo robot di assemblaggio creato in Olivetti (1975) e il primo robot laser uscito dalle officine di Prima Industrie nel 1979. Le recenti applicazioni sviluppate in Italia sono considerate molto interessanti da tutti gli operatori nel settore: al nostro Paese viene riconosciuto un importante contributo di innovazione sia per lo sviluppo di macchine nuove in termini di concezione ed architettura sia per gli aspetti tecnologici delle loro applicazioni. Non a caso, l’ Italia è il settimo fornitore di robotica al mondo e rimane saldo in questa posizione dal 2014. Ma vediamo ora cosa accade invece sul campo, come affrontano la questione le aziende che devono fare ricorso all’automazione per sopravvivere e crescere.

 

YuMi+is+the+world’s+first+truly+collaborative+robot
Il cobot Yumi ( courtesy ABB )
I cobot di Camozzi che hanno trasformato i dipendenti in innovatori

Partiamo dal gruppo Camozzi, fondato per produrre componenti pneumatici nel 1964 a Lumezzane, nella provincia bresciana e che oggi ha un business diversificato in cinque unità che raccolgono dieci aziende e che operano nell’automazione industriale, nelle macchine utensili e nella meccanica pesante (oltre che nell’innovazione digitale e nelle soluzioni IOT per l’industria con Camozzi Digital). Il gruppo ha un fatturato di 362 milioni nel 2016,ed è cresciuto del 20% negli ultimi sei anni. Circa l’85% del giro di affari deriva da attività estere e i siti produttivi sono 17 dislocati tra Italia, Russia, Cina, India e Usa. Camozzi ha adottato Yumi, robot di Abb, dentro lo stabilimento Camozzi Automation di Polpenazze del Garda a inizio 2017.

«Abbiamo realizzato il primo esempio di isola cobotizzata integrata in una realtà produttiva. Al centro c’è il capitale umano, la predittività e forti investimenti in tecnologie. Oltre all’apertura delle piattaforme verso un ecosistema di partner, da Abb a Microsoft a Siemens». Cristian Locatelli, direttore generale di Camozzi Digital, c prosegue:«Entro fine anno installeremo altre isole digitali collaborative con all’interno una decina di Yumi». Il robot di Abb non ha solo alleggerito il processo produttivo rendendolo più efficiente, ma ha consentito di liberare risorse creando nuovi tipi di lavoro: «per esempio, i nostri tecnici hanno creato, da quando Yumi è alla linea, soluzioni e software innovativi in diversi campi: un algoritmo in grado di ridurre il consumo e i costi operativi delle macchine e uno per allungare la vita e l’utilizzo degli olii; oltre a una soluzione per manutenere e monitorare i processi delle fonderie di ghisa e garantire la qualità delle fusioni».

… e quelli di Sabaf, che hanno reso più efficiente il time-to-market

Anche Sabaf, azienda leader nella produzione di componenti per la cottura domestica, 270 clienti in 60 paesi, quotata sullo Star di Piazza Affari, fatturato di 140 milioni e 800 persone nel mondo, si è incamminata la rivoluzione dei cobot. Siamo ancora nella provincia di Brescia, a Ospitaletto, ma l’azienda ha sedi produttive dislocate tra Italia, Turchia, Cina e Brasile, dove “lavorano” già 100 cobot. Per il loro acquisto dal 2013 al 2017 Sabaf ha investito 4 milioni di euro: « ci siamo posti l’obbiettivo di riuscire a rendere più efficiente la produzione di tanti pezzi uguali, garantendo la stessa qualità, in diversi stabilimenti nel mondo», ha spiegato il direttore tecnico Massimo Dora.

I cobot hanno inoltre consentito di ottimizzare i lotti: «siamo passati da 19mila a 29mila referenze e da 4mila a 700 pezzi per lotto, con un effetto benefico sul time-to-market», aggiunge Dora. «L’automazione, oltre a rendere meno ripetitivo e faticoso il lavoro delle persone, a cui abbiamo liberato tempo consentendo loro di fare un lavoro qualitativamente superiore, ci ha fatto comprendere che potevamo diventare più competitivi». Sabaf da decenni investe in prodotto processo e innovazione l’8% del fatturato. In particolare, per l’integrazione dei sistemi robotizzati e per la interconnessione con i sistemi aziendali sono stati investiti dal 2013 ben 8 milioni. Da quando, nel 1994, ha introdotto sulla linea il suo primo robot, i dipendenti sono raddoppiati. «Inoltre, sulla linea dove abbiamo testato gli ultimi cambiamenti gli addetti sono aumentati da 82 a 102. In sintesi, il robot ci fa crescere», secondo Dora.

 

Un robot Kuka
Multitel, Newform, Omas: le pmi che assumono grazie all’automazione

Altrettanto entusiasta degli effetti dell’automazione, il vertice di Multitel Pagliero, sede legale a Brugherio, stabilimenti produttivi in provincia di Cuneo e filiali estere in Francia e Germania. Multitel è leader europeo nel settore delle piattaforme di lavoro aereo, con un fatturato di circa 80 milioni. «Il nostro approdo al mondo della robotica è relativamente recente, risale al 2013 ed è coinciso con l’apertura di un nuovo insediamento produttivo resosi necessario per l’introduzione sul mercato di nuovi modelli e per l’esigenza di aumentare i volumi di produzione», dice l’amministratore delegato Renzo Pagliero.

«Abbiamo investito negli anni svariati milioni e accelerato con gli incentivi del pacchetto industria 4.0. Diversamente non si può competere i Paesi low cost: la sorpresa è che quattro anni fa eravamo 160 lavoratori, oggi siamo quasi 100 in più e l’aumento ha riguardato soprattutto il personale impiegato nelle linee di produzione», Con gli incentivi del piano Industria 4.0 la Multitel ha investito circa 3 milioni per acquisire 4 robot di saldatura di ultima generazione e altri macchinari di produzione ad alta automazione per integrare le tecnologie», spiega Pagliero, che ha sempre convintamente rifiutato il decentramento della propria azienda in altri paesi, scegliendo di modernizzare la propria azienda nel luogo dove è nata e dove da oltre cento anni, come ha premesso «crea occupazione e ricchezza distribuita».

Numeri che confermano l’effetto virtuoso dei robot sul lavoro anche quelli presentati Marco Galvan, amministratore delegato di Newform, produttore di rubinetti della provincia di Vercelli. Un anno dopo aver avviato l’automazione della fabbrica, questa piccola impresa è in grado di quantificarne gli effetti in maniera precisa: «abbiamo ridotto gli scarti della produzione del 3,2%; i ripassi di pulitura dell’8,3%, mentre la produzione è aumentata dell’11,4% a fronte di un amento del 2% del personale. La spesa di manutenzione delle macchine è calata del 16%», sintetizzat Galvan: «la robotica è stata vitale, permettendoci di migliorare la qualità eliminando operazioni non a valore aggiunto: azioni e interventi spesso suggerite proprio dai nostri addetti, che hanno partecipato attivamente all’intero processo».

Effetti macroscopici sul lavoro anche per Omas, nata nel 1966 come azienda metalmeccanica nelle Marche per poi passare, con l’acquisizione di nuove tecnologie, alla lavorazione di lamiere e tubi conto terzi a partire dai primi anni ’80. «Realizziamo qualsiasi progetto di carpenteria meccanica di precisione rispondendo alle esigenze più specifiche e alle problematiche più complesse», racconta il numero uno Marco Grilli che spiega come con l’automazione «Omas sia riuscita a sfidare il mercato globale dall’Italia, nonostante molte volte le multinazionali ci abbiano chiesto di seguirle all’estero». Grazie all’inserimento nel processo produttivo di 35 robot, Omas ha aumentato la forza lavoro dal 2013, da 110 a 120 persone, ciascuna delle quali ha, al 2017 una produttività media più alta di 40mila euro circa rispetto a quattro anni prima, con un «fatturato per dipendente passato da 152mila e 192mila euro annui». In Omas, di certo, nessuno teme che un robot gli rubi il lavoro.














Articolo precedenteSotto la Lanterna i meccanismi dell’automazione di Abb
Articolo successivoA Brescia la prossima tappa di Laboratori MECSPE Fabbrica Digitale






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui