Le sfide delle aziende del Triveneto, esempio di resilienza industriale (e un po’ anche bancaria)

di Laura Magna ♦︎ Produzione sempre più personalizzata grazie a simulazione e prototipazione, smart banking e innovazione. Sono i propulsori di un distretto che nel primo trimestre del 2019 ha esportato beni per 8,2 miliardi, e che vede la presenza di 105 start-up ogni 100 imprese. L’esempio di Banca Ifis, il factoring e il leasing. Il lavoro ibrido, lo smart working e… Parlano Alberto Baban, presidente di VeNetWork, Mario Pozza, vicepresidente di Unioncamere nazionale e presidente della Cciaa TV-BL e di Unioncamere Veneto, Paolo Gubitta, direttore scientifico della CEFab Cuoa Business School, Luciano Colombini ceo di Banca Ifis

Bandiera Triveneta

Le imprese del Triveneto non sono state certo risparmiate dalla ferocia della pandemia e hanno perso terreno sul fronte degli scambi commerciali. Ma se si guarda ai distretti nazionali, nella top 30 di quelli che hanno fatto meglio, ce ne sono sei dell’area in oggetto, 4 nell’agroalimentare oltre al conciario di Arzignano e alle plastiche trevigiane. Un’ulteriore dimostrazione del fatto che queste imprese siano abituate alle transizioni: ne hanno compiute diverse, dal 2008, imparando ad aprire la finanza, introducendo il concetto di lavoro ibrido e ora lo smart working e le regole ferree a protezione della salute.

E hanno i numeri – in termini di capacità di mettersi in filiera e di innovare, come dimostra l’elevata incidenza di start-up (105 ogni 100 imprese) – per uscire dalla attuale crisi più forti di prima. Anche con il contributo dell’ecosistema che evolve a sua volta, a partire dalle fonti di capitale che non si limitano più al debito bancario. Le aziende trivenete hanno abbondantemente dimostrato di saper essere resilienti, adattandosi al contesto che muta e rialzandosi in piedi dopo la burrasca. Almeno questa è la conclusione di un panel di esperti – imprenditori, banchieri, esponenti del mondo associativo e accademico – che operano sul territorio. Nuove sfide sono sul tappeto, a partire da quella di rendere la produzione sempre più personalizzata attraverso le tecnologie che consentono di simulare la prototipazione e di co-disegnare gli oggetti con i clienti l’output finale. Ma la sfida più grande è quella di riportare un bene inestimabile come il capitale umano al centro di ogni possibile evoluzione.







 

I numeri del Nordest

Per comprendere il territorio nel quale ci muoviamo partiamo però dai numeri, in particolare quelli dell’ultimo Monitor di Intesa Sanpaolo sui 26 distretti analizzati. Il paper rileva come nel primo trimestre l’export sia calato del 5,1% (con l’agro-alimentare che ha avuto un balzo, +7,1%). Anche le importazioni (3 miliardi di euro, -10,8%) hanno segnato una riduzione più brusca rispetto al totale dell’economia, perché prevalgono le specializzazioni produttive del Sistema moda, della Metalmeccanica e del Sistema casa, soggette a sospensione delle attività e che hanno risentito maggiormente del crollo della domanda estera. Ma nella lista dei primi 30 distretti a livello nazionale con maggiore incremento delle esportazioni ce ne sono ben 6 del Triveneto: Mele dell’Alto Adige, Marmellate e succhi dell’Alto Adige, Vini del veronese e Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene ma anche la Concia di Arzignano e le Materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova. Gli ultimi due sono stati anche i due migliori distretti veneti per aumento delle esportazioni: entrambi molto trasversali nelle loro produzioni, mentre il sistema casa è in contrazione per il Friuli Venezia Giulia, ma nel post Covid nuove opportunità dal “contract”.

Le esportazioni distrettuali nelle regioni italiane al 1° trimestre 2020. (Fonte Intesa Sanpaolo su dati Istat)

Al centro dell’industria, il capitale umano

Nuove opportunità, appunto, che le imprese devono essere pronte a cogliere. «La transizione è la cifra del nostro tempo», secondo il professor Paolo Gubitta, che insegna organizzazione aziendale all’Università di Padova ed è direttore scientifico della CEFab Cuoa Business School. Gubitta, come gli altri interlocutori, hanno espresso la loro view nel corso dell’evento online per i cinque anni di Corriere Imprese a cui Industria Italiano ha partecipato e da cui prende le mosse il nostro ragionamento sul Nordest. «Dal 2008, almeno, quando la crisi finanziaria ha imposto una regola aurea insegnando che cash is king: solo le aziende più solide finanziariamente hanno potuto superare quell’onda lunga. Poi le transizioni sono state molte altre: nel 2016 abbiamo importato dagli Usa il concetto di lavoro ibrido: abbiamo visto lavori sparire e altri, inediti, nascere e la commistione di offline e online a delinearli. Nel 2017 un altro choc, più squisitamente territoriale, è stato generato dal fallimento delle banche popolari di Vicenza e Montebelluna, punti di riferimento per la finanza territoriale, un evento che ha reso evidente l’importanza della capitalizzazione delle imprese per crescere. Le imprese che hanno subito questo choc hanno imparato ad aprire il capitale e ne è nata una generazione di imprenditori capaci di saper crescere nel mondo nuovo».

E veniamo ai nostri giorni, al 2019, con la transizione verso la sostenibilità come scelta necessaria e al 2020, con lo choc fulmineo e paralizzante della pandemia. «Da questa ultima crisi le imprese hanno già imparato tre lezioni: sdoganato lo smart working che porterà con se la revisione dei modelli organizzativi. Hanno compreso che la globalizzazione porta opportunità ma anche grandi vincoli e quindi hanno imparato a gestire nuove logiche della localizzazione. E hanno scoperto di saper rispettare rigidamente le regole pensate per il bene della società e delle imprese stesse – afferma Gubitta – Per il futuro auspico che tutto questo patrimonio di conoscenze e competenze non rimanga appannaggio di pochi ma diventi non di tutti. È necessario che avvenga perché ci aspetta la più disruptive delle transazioni, quella che porterà al centro della scena dell’industria il capitale umano, un bene inestimabile».  

Nel primo trimestre l’export è calato del 5,1% (con l’agro-alimentare che ha avuto un balzo, +7,1%). Anche le importazioni (3 miliardi di euro, -10,8%) hanno segnato una riduzione più brusca rispetto al totale dell’economia, perché prevalgono le specializzazioni produttive del Sistema moda, della Metalmeccanica e del Sistema casa, soggette a sospensione delle attività e che hanno risentito maggiormente del crollo della domanda estera (Fonte Intesa Sanpaolo su dati Istat)

Nuovi modelli finanziari al servizio del territorio: lo smart banking

L’ad di Banca Ifis Luciano Colombini

Questo è il primo dei mutamenti richiesti alle imprese trivenete, che devono affrontare una metamorfosi molto più profonda, di cui parleremo. Prima però, rileva precisare come debba mutare contestualmente anche l’intorno, a partire dalla finanza. Lo sa bene Luciano Colombini, amministratore delegato di Banca Ifis, banca del territorio con una doppia specializzazione: la gestione degli npl e la finanza per l’impresa sotto forma di factoring e leasing. «Un settore di nicchia che ci differenzia per questo dalle banche tradizionali – dice Colombini – e ci differenziamo anche perché non abbiamo una rete di sportelli ma uffici factoring sul territorio. Questo ci ha aiutato, indirizzandoci da sempre all’attività da remoto e allenandoci a non avere un rapporto fisico con il cliente ma a lavorare con lui da remoto». Questa attitudine ha accelerato il lavoro agile all’interno della banca, consentendo di non interrompere l’attività, e all’esterno offrendo la possibilità di tenere viva la relazione con il cliente anche senza vederlo. «Questo sistema è ciò che definisco smart banking ed è il futuro, almeno nella modalità», spiega Colombini. La pandemia ha cambiato il rapporto con il cliente, ma rendendo prevalente la comunicazione virtuale, ha cambiato anche il modo in cui si devono approcciare i clienti del futuro, quelli che ancora non lo sono. «Ci vuole maggiore comunicazione e strumenti che agevolino il dialogo da remoto. Che va bene fino al momento in cui si sigla il contratto: non perché non si possa fare da remoto dal punto di vista tecnico, ma perché va suggellato con una stretta di mano».

Colombini (Banca Ifis): nel 2021 l‘industria reggerà, anche se gli Npl saliranno tra 5 e 10%

L’attività di Banca Ifis nel prossimo futuro è destinata a crescere per questo ma anche perché il mercato degli Npl, che negli ultimi cinque anni era molto migliorato è destinato a crescere a dismisura. L’ultimo report annuale di Pwc sul mercato degli Npl italiani, rileva come le banche italiane avessero, in risposta alle pressioni del mercato e delle normative, dimezzato lo stock totale di Npl, i crediti inesigibili (135 miliardi di euro nel 2019 contro i 341 miliardi di euro nel 2015). Il Coronavirus riporta in auge l’incubo dei crediti inesigibili: PwC stima che le Npe (non performing exposure in cui sono compresi sia gli npl, sia gli utp, gli unlikely to pay, un passo prima di diventare inesigibili) si attesteranno in un range tra 60 e 100 miliardi di euro nei prossimi 18 mesi. In totale tra primario e secondario le previsioni sono di un mercato del valore di 350 miliardi di euro entro fine 2020. Fortunatamente, aggiunge PwC, uno dei lasciti della crisi del 2008 è la presenza, ora, di un’industria degli Npl sostenibile che sarà in grado, più rapidamente ed efficacemente che in passato, di gestirli.

L’ultimo report annuale di Pwc sul mercato degli Npl italiani, rileva come le banche italiane avessero, in risposta alle pressioni del mercato e delle normative, dimezzato lo stock totale di Npl, i crediti inesigibili (135 miliardi di euro nel 2019 contro i 341 miliardi di euro nel 2015). Il Coronavirus riporta in auge l’incubo dei crediti inesigibili: PwC stima che le Npe (non performing exposure in cui sono compresi sia gli npl, sia gli utp, gli unlikely to pay, un passo prima di diventare inesigibili) si attesteranno in un range tra 60 e 100 miliardi di euro nei prossimi 18 mesi (Fonte Pwc)

Conferma Colombini: «Le moratorie sui crediti nascondono la polvere sotto il tappeto: il mondo degli Npl che dopo la grande attività delle banche negli ultimi anni sembrava destinato a sgonfiarsi, certamente continuerà a produrre materiale su cui lavorare per parecchi anni. Noi siamo recuperatori di Npl che consentono alle imprese, attraverso piani molti lunghi, di tornare a essere accettati dal sistema bancario: è un sistema virtuoso quello che alimentiamo. Abbiamo accettato oltre il 95% delle moratorie arrivate e sta montando un rischio non ancora evidenziato ma una mano la dobbiamo dare anche se lasceremo sul campo qualche euro». Sul fronte del factoring, invece, la banca è in grado di fornire uno strumento che in primo luogo consente alle imprese di trasformare in cassa il credito commerciale, senza creare ulteriori debiti. E in secondo luogo, «valutando il debitore finale, finanziamo la filiera dei piccoli fornitori che avrebbe difficoltà ad accedere al credito».

 

Capacità di mettersi in filiera e alta incidenza di start-up: i fattori che determinano la resilienza del Nordest

Il Nordest è, come noto, un territorio a elevata densità industriale, che ospita diversi settori, dall’agroalimentare, al sociosanitario, al mobile arredo alla moda, alla plastica. «Ci sono diverse ragioni che ci portano a ritenere le nostre imprese capaci di riprendere quota dopo la pandemia – dice Mario Pozza, vicepresidente di Unioncamere nazionale e presidente della Cciaa TV-BL e di Unioncamere Veneto – La prima è che esse hanno da sempre la capacità di mettersi in filiera, che le porta a essere molto resilienti. Inoltre il territorio esporta il 50% della propria produzione, è evoluto perché agganciato ad aree molto produttive nel contesto economico. Altro aspetto che ci fa stare sereni è l’attitudine all’innovazione che è la chiave di volta che ha fatto sì che le nostre imprese siano state resistenti nelle crisi e siano cresciute».

Pozza rileva la folta popolazione di startup nel contesto territoriali di cui parliamo: «su 100 imprese, 105 sono nuove imprese il che mostra il nostro attivismo e la capacità dei nostri giovani di mettere in campo idee grazie anche al sistema universitario». Non è tutto oro quello che luccica e le criticità non mancano. Tra di esse quella che dovrebbe preoccupare di più secondo il vice presidente di Unioncamere è la difficoltà a effettuare i passaggi generazionale in aziende che sono per lo più familiari. «Il passaggio generazionale fa fatica a mettersi in moto: nelle nostre imprese i manager over 70 anni sono l’11,7% rispetto al 3,7% degli under 30 e questo rapporto va quantomeno invertito».

Nella lista dei primi 30 distretti a livello nazionale con maggiore incremento delle esportazioni ce ne sono ben 6 del Triveneto: Mele dell’Alto Adige, Marmellate e succhi dell’Alto Adige, Vini del veronese e Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene ma anche la Concia di Arzignano e le Materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova

 

Nuovi modelli di impresa: dal codesign al prodotto ibrido

L’impresa del futuro è innanzitutto un’impresa che co-disegna il prodotto (o il servizio) che realizza, insieme al cliente, che sia retail o business. Sono trend già in atto prima della pandemia ma che la pandemia ha accelerato inevitabilmente. «La nuova era basata sulla quarta rivoluzione è sempre più inevitabile – secondo Alberto Baban, imprenditore e presidente di VeNetWork – la fabbrica che costruisce prodotti ha la necessità di implementare le tecnologie 4.0 per migliorare il bello e ben fatto italiano. Quello non cambia: il made in Italy resta al centro e resta il nostro punto di forza senza confronti. Ma va reso, a sua volta, 4.0». E il cliente che con la pandemia ha conosciuto nuovi modi di approcciarsi al consumo, non torna indietro.

«L’ecommerce, che ha compiuto un balzo rilevantissimo nel nostro Paese, sarà una conditio sine qua non, un canale che tutte le imprese dovranno offrire: il consumatore non torna indietro su questo fronte». E c’è infine un terzo punto, quello della ibridazione della produzione e della personalizzazione del prodotto. «Cambia concettualmente il modo di produrre, anche nell’industria tradizionale. Un settore che credevamo consolidato come l’automotive, oggi vede la sua regina assoluta in Tesla, e dunque in un prodotto ibrido che è un manufatto endotermico ma con all’interno un valore aggiunto che gli deriva dal software: una tecnologia ibrida che è il paradigma del futuro della produzione. Le tecnologie 4.0 infine consentono di abbattere i costi della prototipazione attraverso la simulazione, il che rende sempre più normale co-progettare l’oggetto finale che andrà sul mercato».














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