Sick e Universal Robots, matrimonio a prima vista

di Marco de' Francesco ♦︎ La partnership tra la multinazionale tedesca dei sensori e l'azienda danese ha aumentato le prestazioni dei cobot. I sensori di visione permettono di riconoscere posizione e misure di un pezzo. Sistemi di movimento e anticollisione consentono un lavoro perfettamente coordinato con quello dell'operatore umano. Tramite telecamere 2 e 3d, il robot collaborativo identifica e raccoglie componenti sempre più piccoli. E la riprogrammazione è più veloce. Così si riducono i tempi di fermo

Cos’è un cobot? È un braccio intelligente, che manipola le cose in uno spazio ristretto – una cella di lavoro dove collabora con un operatore umano. Il cobot può essere “potenziato”, associandogli device che gli consentono una presa ancora più sicura o consapevole, o dei movimenti ancora più appropriati in fatto di safety. Di qui il matrimonio funzionale tra Universal Robots, principale costruttore mondiale di robot collaborativi, e Sick, multinazionale tedesca dei sensori.

Grazie ad esso, i modelli di UR possono avvalersi, ad esempio, di un kit che associa programmi di logica, un safety scanner e un controller; è un sistema che permette la riduzione dei tempi di fermo del cobot e l’incremento della sua produttività; il calo dei costi di integrazione e del tempo di installazione; e una maggiore e ancora più sicura interazione uomo-macchina. O altrimenti di un sensore di visione che serve a riconoscere la posizione di un pezzo e le sue misure, anche nel caso in cui questo si sposti con velocità. Della partnership hanno parlato, tra gli altri, il country manager Italy di Universal Robots Alessio Cocchi e il managing director di Sick Italia Costantino Ghigliotti, nel corso del workshop “L’evoluzione della robotica collaborativa” organizzato dalle due società al museo bolognese “Ferruccio Lamborghini”.







Universal Robots è il maggior produttore mondiale di cobot, bracci intelligenti cui possono essere associati dei device

Prendete un’azienda come Universal Robots. Non è un gigante, con i suoi 234 milioni di dollari di fatturato 2018 – ma è in crescita constante, a doppia cifra da qualche anno; e si è rapidamente internazionalizzata, con 28 uffici in 19 Paesi. Ma soprattutto, nel proprio campo ricopre il ruolo di apripista e di detentore di una quota di mercato riferibile ad una forbice tra il 50% e il 60%. Ha un istallato di 37mila macchine in giro per il mondo. Ma cosa produce, esattamente, Universal Robots?  Le macchine che ha inventato nella sede di Odense, in Danimarca, e che ha installato per la prima volta nel 2008: i cobot. E cioè i robot “collaborativi”, che presentano sostanziali differenze da quelli industriali o tradizionali. Mentre i secondi sono progettati per operare in modo autonomo e lavorano all’interno di gabbie di sicurezza, i primi sono strumenti destinati a interagire fisicamente con gli esseri umani in spazi di lavoro condiviso. Grazie ai sensori di movimento, a quelli per rilevare la forza impressa, a telecamere e a sistemi anticollisione, sono in grado di coordinare la propria azione con quella degli operatori umani. Sono piccoli, programmabili con un corso online di 87 minuti e configurabili in un’ora, nonché riutilizzabili in contesti diversi. Secondo UR consentono un ritorno dell’investimento in sei mesi. Possono svolgere task molto diversi.

La gamma e-Series di Universal Robots

Cocchi ne ha indicati alcuni: avvitamento; stampaggio ad iniezione; erogazione e saldatura di incollaggi; packaging e palletising; analisi di laboratorio; carico e scarico di prodotti; assemblaggio; pick & place e controllo di qualità. Attualmente la famiglia di cobot conta quattro membri: l’UR3e, che porta carichi fino a 3 kg e ha un raggio d’azione di 50 cm; UR5e, 5kg per 850 mm; UR16e, 16 kg per 900 mm e UR10e, 10 kg per 1300 mm. Nella descrizione dei prodotti, Cocchi ha sottolineato le 17 funzioni di safety, la full compliance rispetto a norme sula sicurezza delle isole robotizzate; le articolazioni facilmente rimpiazzabili; i sensori FT (force torque), quelli in grado di percepire forze esercitate in ogni direzione; i sei gradi di libertà del braccio mobile; la possibilità dei cobot si essere montati su Agv (automated guided vehicle) e altro.

 

Il country manager Italy di Universal Robots Alessio Cocchi

«Il cambiamento che abbiamo apportato – ha affermato Cocchi – è disruptive, nel senso che il cobot viene incontro alla flessibilità richiesta dall’azienda acquirente, giacché si tratta di una tecnologia incrementale: sulla stessa linea, prima se ne può installare uno; poi, a seconda delle necessità, due, tre, o quanti sono necessari. È poi una tecnologia che “parte dal basso”, nel senso che l’operatore di linea la può gestire senza l’aiuto del tecnico o dell’ingegnere». Ci sono delle attività, tuttavia, per le quali il cobot non conviene. «Tutte quelle che comportano la manipolazione di oggetti di peso notevole – ha affermato Cocchi – e quelle in cui è richiesta una particolare velocità di esecuzione, tipica dei robot industriali. Tuttavia, una ricerca del Mit, il prestigioso Massachussetts Institute of Technology, afferma che nella maggior parte delle situazioni la collaborazione è più efficace di una linea esclusivamente umana o di una solamente robotizzata». Ora, questi cobot possono essere, in un certo senso, potenziati. UR collabora infatti con circa 400 partner che creano accessori, device di tipo diverso «che consentono alle nostre macchine di assumere più capability» e cioè di svolgere altre attività o di farle meglio. È qui che entra in gioco Sick.

 

Con Sick, il mondo dei sensori incontra quello della robotica collaborativa, potenziando i cobot  

Che c’entra Sick? Sick è il colosso dei sensori, con sede a Waldkirch, in Germania, e con un fatturato che l’anno scorso ha superato gli 1,6 miliardi di euro. Occupa quasi 10mila dipendenti, e da 73 anni, cioè dalla produzione della prima barriera fotoelettrica antinfortunistica, ha lasciato il segno a livello globale nel suo campo di attività. Produce griglie luminose; sensori di visione, induttivi, capacitivi e magnetici; dispositivi di protezione optoelettronici; soluzioni di rilevamento, portata e identificazione come scanner di codici a barre e lettori Rfid; analizzatori per analisi di gas e liquidi come dispositivi di misurazione del flusso di gas. Oggigiorno, Sick è nota soprattutto per i laser scanner, utilizzati nei settori della protezione delle strutture (sicurezza), delle porte e della robotica. E per le telecamere 3D. Il modello “Ranger3”, evoluzione della famiglia RangerE, rappresenta un nuovo standard per immagini tridimensionali ad alta velocità. Si pensi che può acquisire fino a 7mila profili al secondo, se viene utilizzato tutto il sensore; e 46mila se ne viene utilizzato una parte, come accade quando vengono inquadrati campi larghi in cui transitano però oggetti di altezza limitata. Il dispositivo trova applicazione in fabbrica, nelle ispezioni di precisione necessarie per il controllo di qualità nel campo dell’elettronica; e fuori dalla fabbrica, ad esempio per la manutenzione predittiva di treni e binari.

Il managing director di Sick Italia Costantino Ghigliotti

Ora, i cobot di Universal Robots sono bracci intelligenti, che devono muoversi in spazi contenuti; Sick offre strumenti che consentono al robot di rilevare meglio l’ambiente. Il matrimonio tra le due aziende non deve quindi sorprendere. Ovviamente l’interesse di Sick per il mondo della robotica collaborativa va oltre l’impegno con UR. «Ci siamo subito occupati della questione della sicurezza relativa ai robot in generale – ha affermato Ghigliotti -, ed era normale che ciò avesse un riflesso nel comparto dei cobot, lì dove l’operatore è vicino. Tanti fra i nostri tecnici fanno parte di comitati nazionali e internazionali che discutono le normative in materia. Gradualmente, ci siamo accorti che ai cobot si possono associare soluzioni interessanti, strumenti piccoli e affidabili. Soluzioni che si sposano anche con gli strumenti di altri produttori, come Kuka, Abb e Fanuc; ma in un certo senso in questo settore UR resta un riferimento primario: da una parte è leader di mercato, dall’altra ci sono delle affinità elettive. UR è un’azienda dinamica, portata all’innovazione. C’è un Dna comune, tra di noi».

 

Soluzioni di asservimento e quelle per la sicurezza 

Ma che genere di soluzioni Sick può realizzare per o con UR? Secondo Ghigliotti ci sono due categorie generali: «Anzitutto, strumentazioni di asservimento. Si pensi a sensori o a telecamere 2D o 3D che sono utilizzate per identificare e raccogliere pezzi o componenti. Se ne producono di sempre più piccoli e precisi, per consentire al cobot una presa sicura e consapevole. E poi device per la sicurezza. In questo campo, le soluzioni sono sempre più “ibride”, nel senso che combinano elementi diversi: ad esempio scanner con centraline intelligenti, che consentono di rendere prive di pericoli le aree dove gli operatori lavorano a contatto con i cobot. E sono sempre più flessibili, perché permettono una veloce riprogrammazione a nuovi cicli».

Cobot UR dotato di telecamera

Alcune soluzioni Sick per la robotica collaborativa sono state illustrate da Marco Catizone, head of industrial integration space di Sick. Ad esempio, il sensore di visione Inspector Pim 60. Elabora le immagini e serve a riconoscere la posizione di un pezzo e le sue misure, anche nel caso in cui questo si sposti con velocità. È di semplice utilizzo, grazie alla configurazione che si realizza con un’interfaccia grafica; e può essere utilizzato anche per il controllo della qualità. O altrimenti, il sistema di guida robot PLOC2D. è dedicato alla localizzazione (anche multipla) e presa robot. La procedura di allineamento camera-robot è guidata e non presenta difficoltà. Quanto alla risoluzione, va da 1 a 4 Mpixel. O ancora, la telecamera 3D Trispectorp 1000, che secondo Catizone realizza un’ispezione tridimensionale affidabile anche nei casi in cui posizione, altezza e colore dei pezzi siano variabili. L’analisi delle immagini è integrata, ed è disponibile in tre taglie, con dati calibrati in coordinate reali. Il sistema di localizzazione per il pick & place è realizzato da Sick. C’è poi un sistema per determinare la posizione dei pezzi all’interno dei contenitori. Si chiama 3D PLB, e mette insieme strumenti per l’acquisizione tridimensionale e un software di localizzazione. È interfacciabile con UR, e tiene conto sia delle dimensioni della pinza che dei bordi del contenitore. Se i campi di lavoro sono diversi l’uno dall’altro, questa circostanza non incide sull’attività del sistema, che è in grado di valorizzare le variabili.

 

Marco Catizone, head of industrial integration space di Sick

Ancora, c’è un safety kit studiato direttamente per i cobot UR, di cui incorpora le caratteristiche di sicurezza. sBoot Speed è una combinazione di tre elementi: un programma di logica di sicurezza, un safety laser scanner e un safety controller. Al sistema possono essere associate misure tecniche e di protezione addizionali. Il controller è espandibile e programmabile, permettendo l’aggiunta di ulteriori dispositivi e di nuove funzioni. Il kit comprende istruzioni operative, sistemi di cablaggio e un file di calcolo. Tra i benefici, Catizone ha indicato la riduzione dei tempi di fermo e l’incremento della produttività; il calo dei costi di integrazione e del tempo di installazione; l’interazione sicura uomo-macchina, con funzioni di sicurezza allineate agli standard internazionali. Ci sono poi dei sensori per la verifica dell’allineamento del braccio rispetto ai pezzi da trattare. Uno si chiama Tcp Wfz, è ottico e secondo Catizone è estremamente preciso. Trova applicazione in operazioni di precisione costante, come il taglio, l’incollaggio e la saldatura. Ancora, Mzcg, sensore ultracorto per pinze pneumatiche e cilindri miniaturizzati. Infine, PowerProx, sensore ottico con fotocellula laser a tempo di volo per il rilevamento di oggetti ad elevate distanze operative e in situazioni “sfavorevoli”, come quelli con superfici lucide o di colore nero scuro. Per quanto riguarda i futuri sviluppi delle tecnologie per i cobot, secondo Ghigliotti «si tenderà ad associare soluzioni di asservimento e di sicurezza. Con apposite telecamere intelligenti in grado di combinare immagini con dispositivi di safety, ad esempio sensori di area piccoli ed efficaci. Prossimamente, poi, sarà lanciato un nuovo scanner, di dimensioni ancora più ridotte rispetto a quelle attualmente in uso; servirà applicazioni mobili, Agv, e troverà spazio nella logistica».

 

La crescita costante di Sick Italia

Secondo Ghigliotti, il fatturato di Sick Italia, che nel 2018 ha fatto segnare 85,5 milioni di euro, aumenterà anche nell’anno in corso, di un 4% o di un 5%, sfiorando la soglia dei 90 milioni. Ciò, nonostante le difficoltà di mercato in due settori strategici per la sensoristica: «L’automotive, che sta cercando una sua strada, e che pertanto è in profonda trasformazione, e il packaging, che è attualmente stagnante a causa della questione delle nuove norme sulla plastica. Cresciamo molto in altri comparti, come la logistica, l’automazione di processo, e le macchine utensili. Sick Italia è la quarta territoriale per fatturato della multinazionale, dopo la Germania, gli Stati Uniti e la Cina».














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