Rondi: l’Italia dei robot. E del Governo che non ha capito niente

di Marco Scotti ♦ Intervista a tutto campo con il top manager, ad di Incas e uno dei manager più competenti in Italia su automazione, logistica robotizzata, robot. Nonché responsabile della formazione professionale in Confindustria. Si parla della totale assenza di visione dell’Esecutivo attuale, che ci sta condannando all’ isolamento internazionale, non fa politica industriale e non vede nemmeno le gigantesche opportunità rappresentate dalle rivoluzioni tecnologiche in corso. Ma anche del rapporto uomo-robot, di come le imprese possono guadagnare da questo e dello stato dell’arte della formazione

«Tutto questo clamore intorno ai robot si è levato per i motivi sbagliati: i robot esistono da sempre, non sono certo una novità, ma è vero però che ci stiamo per avvicinare a una delle transizioni più violente della storia. L’uomo deve mantenere la sua duttilità che lo differenzia – e continuerà a farlo – dai robot. Nel frattempo, però, dobbiamo capire che stiamo vivendo un momento molto difficile. Continuare a dire che gli investimenti nel comparto automazione non si sono fermati non è vero: c’è stato un blackout da marzo a dicembre del 2018. Ora con la reintroduzione del super-ammortamento qualche risultato ci sarà, ma sono misure fatte di impulso e che non seguono la rivoluzione dell’industria 4.0. Eppure l’Italia avrebbe tante eccellenze e tanti asset da cui ripartire. Basterebbe spingere sulla formazione, tema su cui le aziende stanno investendo tantissimo.»

«Noi, come Incas, ci stiamo puntando forte, soprattutto ora che siamo entrati a far parte di un gruppo multinazionale come Ssi Schäfer. La logistica sta cambiando tantissimo con le nuove sfide dell’automazione e servono partner dimensionalmente rilevanti per poter vivere in maniera efficace questa transizione. Ad esempio, si richiede una marginalizzazione degli errori che fino a qualche anno fa era impensabile ma che soggetti come Amazon hanno reso indispensabile». Ermanno Rondi – fondatore e amministratore delegato di Incas Group e responsabile del Gruppo Tecnico di Confindustria su Formazione professionale e Alternanza scuola-lavoro – confida in un’intervista esclusiva a Industria Italiana tutte le preoccupazioni che lo affliggono ora che lo spettro della recessione non è più così lontano. Ed espone anche la sua visione sulle rivoluzioni tecnologiche in corso







 

Ermanno Rondi – fondatore e amministratore delegato di Incas Group e responsabile del Gruppo Tecnico di Confindustria su Formazione professionale e Alternanza scuola-lavoro

 

 

Il mercato dei robot in Italia

Siamo in un momento storico che sta condannando le imprese virtuose a risultati inferiori a quelli che potrebbero ottenere se fossero accompagnate da una politica oculata. Da una parte, infatti, gli investimenti in macchinari e automazione stanno lentamente riprendendo dopo un semestre terribile (il secondo del 2018) che ha visto una contrazione del 3,2% degli ordini. Dall’altra, le aziende anche di dimensioni più contenute si trovano di fronte alla possibilità di automatizzare i processi senza che questo significhi necessariamente una riduzione dei posti di lavoro. Una consapevolezza che funziona a maggior ragione nella logistica (si legga qui ).

Amazon, ad esempio, ha introdotto nuovi upgrade del concetto di “merce all’uomo”, che deve arrivare nel minor tempo possibile al cliente che deve essere geolocalizzato correttamente. Una procedura che, se effettuata esclusivamente dall’uomo, sarebbe inevitabilmente troppo lunga. Per questo il magazzino 4.0 cambia faccia e viene dotato di una maggiore automazione. Senza però dimenticare che l’uomo continua ad avere un ruolo centrale grazie alla duttilità e alla capacità di affrontare i problemi in modo analitico e non soltanto algoritmico.

Per quanto concerne il mercato dei robot in Italia, nel 2017 si sono vendute 7.713 unità. Un record per il Belpaese. Ed un ottimo risultato in termini di crescita percentuale: + 19% rispetto all’anno precedente; più del doppio della Germania (7%) e più del triplo degli Usa (6%). Il comparto nazionale sembra aver imboccato la strada giusta già nel 2012: da allora, la crescita media è stata del 12%. Peccato che questi dati siano destinati a cambiare, al ribasso, per quanto riguarda l’Italia. C’è un ulteriore dato da tenere in considerazione: studi di Metra Martech mostrano come negli Stati uniti, Germania, Brasile e altri Paesi con l’incremento numerico dei robot si è assistito ad un calo della disoccupazione. Ciò è stato vero anche in Italia nel periodo 2000-2007; ma dal 2008 i fattori congiunturali hanno avuto la meglio; anche se, dal 2014, si è assistito ad un calo generale dei disoccupati.Che cosa ne pensa ilfondatore e amministratore delegato di Incas Group? Ecco l’intervista.

D. Ingegner Rondi, gli investimenti in automazione avevano fatto registrare un incremento del 6% tra il primo semestre 2018 e il secondo del 2017. Poi nella seconda parte dell’anno passato c’è stato un sensibile calo del 3,2%, con una riduzione delle esportazioni (-4%). Perfino Giuliano Busetto, presidente di Anie, ha rivolto un appello al Governo per un maggiore sostegno a investimenti privati nelle infrastrutture pubbliche. L’industria ha visto aumentare il fatturato dell’1,3% a febbraio, ma ha visto calare gli ordinativi del 2,9% in un anno. Come commenta questa congiuntura?

 

Una “famiglia ” di robot Comau

 

R. L’automazione ha avuto un picco con l’avvento di Industria 4.0 e di Impresa 4.0 tra il 2017 e il 2018. Gli investimenti fatti allora vengono quindi calati nel 2018 e nel 2019 perché si tratta di macchinari complessi che non sono “chiavi in mano”. Ma dopo le elezioni dello scorso anno gli investimenti e gli ordini si sono bloccati. Abbiamo avuto un sostanziale blackout tra marzo e dicembre, poi le aziende hanno capito che questa situazione perdurerà, per questo adesso si sta affacciando una voglia di fare qualche investimento in un clima veramente di incertezza assoluta. Eppure, ci sono delle potenzialità enormi che sono frenate da questo momento storico: basta pensare allo spread che è salito e che crea extra-costi che si riversano sulle imprese. Sono risorse che potevano essere indirizzate verso politiche di sviluppo.

D. Per quanto riguarda l’interazione tra uomo e robot, come si sta sviluppando questa sinergia? Che ruolo hanno i cobot in fabbrica e che futuro si attende?

R. Iniziamo col dire che i robot esistono da moltissimi anni, non sono proprio una novità. Lo sono invece i cobot, che lavorano a fianco della persona. Fatta questa debita premessa, possiamo provare a generalizzare il discorso e dire che i robot sono sempre subentrati all’uomo nei lavori faticosi, alienanti e ripetitivi. L’evoluzione della fabbrica è sempre andata in questa direzione, tutte le macchine automatiche hanno sostituito dei momenti di attività che non erano esattamente “gradevoli” per l’uomo.

 

Cobot Abb in azione

 

D. Ma il robot deve essere impiegato solo come “accessorio” con compiti ripetitivi?

R. In parte: da un lato continua a togliere ripetitività, ma al tempo stesso ogni volta fa un passo in avanti e aggiunge qualche altra capacità. Certamente, in questo momento non arriva alla complessità dell’essere umano. Poi anche qui bisogna capire a che cosa ci riferiamo, perché ci sono i robot e ci sono gli automi. I primi eseguono delle operazioni fisiche, i secondi quelle algoritmiche. In questo contesto, c’è ampio margine di crescita per i robot, soprattutto se si decide di impiegare moduli di intelligenza artificiale. Ad esempio, nei prossimi dieci anni immagino che alcuni lavori “impiegatizi” potranno essere più facilmente svolti da robot.

Anche in fabbrica, lo spazio per l’automazione è sempre maggiore, soprattutto se si pensa non soltanto ai lavori ripetitivi ma anche a quelli più pericolosi. Questo tipo di progressiva integrazione tra uomo e macchina viaggia parallelamente alla crescita culturale dell’azienda. Dopodiché, però, rimane la duttilità dell’uomo, la sua capacità di scelta e la sua cultura. Un esempio banale: usare un robot al picking in un’impresa di logistica significa che il braccio meccanico preleverà un pezzo alla volta. L’uomo invece può prenderne tre in un colpo solo perché ha la sua intelligenza naturale.

 

I robot sostituiranno l’uomo?

 

D.Quindi la sostituzione tanto temuta è in realtà positiva?

R. Da questo punto di vista, direi sicuramente di sì. Anche perché il ruolo dell’uomo si evolve e si va verso la costruzione di un operatore molto più culturalizzato, skilled e in grado di dominare situazioni più complesse. Le mansioni, quindi, si ampliano su temi più gestionali e operativi. E qui inizia la parte più problematica: che tipo di formazione deve avere quella persona e che tipo di accompagnamento evolutivo? Evolvono le tecnologie, ma anche gli operai devono crescere, altrimenti si crea esclusivamente della disoccupazione di basso livello. Il robot non ha la mano dell’uomo, ma il futuro che ci sta venendo incontro lo stiamo subendo e non gestendo. Oltretutto non riusciamo a comunicare in maniera efficace questo cambiamento epocale e riduciamo tutto a un semplice discorso sui posti di lavoro che si perderanno o si guadagneranno. Il problema è che veniamo da un lunghissimo periodo di dialettica per contrapposizione e abbiamo perso la capacità del confronto e della mediazione, diventando, per motivi diversi, tutti tifosi.

D. Serve una nuova formazione: di che tipo?

Stiamo vivendo uno dei periodi più violenti che ci siano mai stati. Il nostro Paese ha già vissuto una transizione negli anni ’50-’60, quando abbiamo trasformato i contadini e gli artigiani in operai e impiegati. Ma era un cambiamento lento, il fulcro erano stati gli istituti tecnici e professionali e l’abitudine alle botteghe artigiane. I lavori erano più semplici e lo scarto minore. Oggi invece stiamo affrontando le trasformazioni degli operai, mediamente con un livello di istruzione medio-basso, in persone che devono avere una cultura e una formazione medio-alta. La scuola non è adeguata a questo salto, non si è ancora adeguata.

D. La scuola è sempre stata un po’ “indietro”, anche in passato. O no?

R. Sicuramente, ma ora non se lo può più permettere. Finora ha sempre seguito le trasformazioni sociali, non le hai mai anticipate. E ora non stiamo preparando le nuove generazioni: si comincia a fare qualcosa con gli Its o le lauree professionalizzanti, ma siamo in ritardo e per di più lenti, e senza seguire una politica evolutiva che prevede prima di tutto la formazione dei docenti. In più questa lentezza si innesta in una nazione che non ha alcuna forma di orientamento strutturato per i ragazzi, viviamo una liceizzazione diffusa legata soltanto ad aspetti di status sociale e non di attitudine. Tutto questo provoca un effetto di disoccupazione giovanile e livelli di Neet molto alti. Se alla fine spingo questi ragazzi senza scelte attitudinali, verso percorsi liceali che poi sfociano in un’università umanistica mi trovo in una dicotomia tra ciò che chiede il mercato (tecnici) e ciò che invece viene offerto (tantissimi umanisti). Questa continua discrasia tra quello che potrebbe servire alle aziende e quello che invece viene realmente offerto è uno dei problemi più significativi dell’attuale momento storico.

D. In questo scenario, che tipo di approccio avete adottato come Confindustria e che proposte state portando avanti?

R. Le aziende lavorano come stimolo affinché ci sia una sensibilizzazione politica su questo tema. In questo momento si dovrebbe parlare di nuova formazione, delle necessità delle imprese tecnologiche che possono assorbire più occupazione in termini di skill e riversarsi sull’azienda manifatturiera con le attrezzature che servono a completare questa trasformazione. Invece la politica è totalmente assente. Per questo le imprese stanno cercando di portare il tema formativo nell’agenda. Il 13 maggio, ad esempio, ci saranno gli Stati Generali dell’education, con iniziative di sensibilizzazione della politica. Le aziende, dal canto loro, possono anche costituire delle academy, di territorio, di gruppi omogenei, per fare formazione ad hoc per gruppi di persone che devono essere focalizzate su tematiche ben precise.

 

Cisco Networking Academy
Un esempio di academy aziendale, Cisco Networking Academy

 

D. Veniamo al settore in cui operate, quello della logistica: come sta cambiando il comparto e che orizzonti dobbiamo attenderci?

R. La logistica si divide da sempre in due grandi mondi: portare l’uomo alla merce e portare la merce all’uomo. Comunque la si voglia guardare, oggi questa distinzione è completamente cambiata, si è modificato il modello di figura distributiva. Se nel passato anche le aziende acquistavano con determinata cadenza, ora invece la consegna è sostanzialmente continua. Ma questo aumenta il costo e l’alienazione del lavoro. Il clou si è raggiunto nell’e-commerce: Amazon ha cambiato il mercato della logistica, rendendolo interamente digitale. Altrimenti come sarebbe possibile riuscire a effettuare consegne in due ore? In questo scenario fatto di velocità e precisione è necessario avere un processo totalmente digitalizzato in cui l’uomo sia messo in una condizione di assoluta sicurezza che le merci che sta inviando o ricevendo siano sicuramente quelle corrette.

 

Stazione ergonomica di picking

 

D.Recentemente lei ha paragonato questo procedimento all’attività di un supermercato: ci spiega meglio il perché?

R. L’evasione ordini di un centro distributivo ha affinità con la spesa in un supermercato. Una lista di prodotti da comprare e un carrello sono gli strumenti per iniziare il percorso tra gli scaffali alla ricerca dei vari prodotti; i più esperti ricordano le ubicazioni, ma non certamente le persone che ricevono una tantum l’incombenza, e spesso anche per gli esperti è necessario qualche avanti e indietro per completare il carrello. Alla fine del giro, se si è trovato tutto l’occorrente, bene; altrimenti occorre chiedere informazioni agli addetti e riprendere il giro, finché si arriva alla cassa per lettura codici (controllo), dove si effettua il pagamento e il riempimento dei sacchetti della spesa con cui si torna a casa.

Questo è a grandi linee il lavoro che svolge un addetto al picking; a fine giornata avrà percorso l’equivalente di una maratona e sarà un po’ alienato da un lavoro noioso e ripetitivo, e lo stress correlato produrrà errori e non qualità. Ora immaginiamo di inserire la lista della spesa sullo smartphone, di entrare in un supermercato 4.0 dotato di postazioni clienti in grado di leggere la lista memorizzata sul cellulare. In questa postazione ergonomica vengono presentate in sequenza le cassette contenenti i prodotti desiderati ed un video segnala tipo e caratteristiche del prodotto, la sua foto ed il suo uso e quanti pezzi sono segnati da prendere. Il prodotto è messo direttamente nella borsa della spesa evitando rinfuse per fretta di liberare la cassa. L’ultimo prodotto genera lo scontrino, pagamento telematico, rientro a casa. Non c’è stress, vengono evitate le code e recuperati tutti i prodotti, senza errori: a prova di marito spedito dalla moglie al supermercato. Questo è un esempio di logistica distributiva 4.0.

 

Magazzino automatizzato
Magazzino automatizzato

 

D. Una nuova spinta sul versante dell’automazione, quindi?

R. Sì, l’automazione sta diventando il vero asset della logistica. Il filo di Arianna del processo si chiama factory logistic, che unisce una produzione “pull”, cioè che proviene dalle richieste on demand del cliente, a una completa sincronizzazione. È evidente che questo processo non può essere gestito da un essere umano, ma serve una macchina che sia totalmente affidabile. È questa la rivoluzione copernicana che stiamo vivendo e che si sta sviluppando in maniera più veloce in alcune aree del mondo. Da noi, invece, è un po’ più lenta a causa di situazioni pregresse legate alla flessibilità del lavoro cooperativo che continua a essere mixata con il giusto quadro di automazione.

In questo caso il paragone che si può fare è con la cucina: per realizzare i piatti, necessariamente fatti al momento, occorre una precisa organizzazione di cucina affinché ci sia un’attività fluida che garantisca di soddisfare le aspettative dei clienti. Allo Chef deve arrivare, nella giusta sequenza, la descrizione, secondo i gusti del cliente, dei piatti da preparare. Gli sono necessarie tutte le informazioni: ad esempio per un semplice piatto di spaghetti dovrà conoscere tipo di pasta, grado di cottura, varianti come carbonara o scoglio, se va insaporito con pepe o peperoncino, e così via. Di fatto una “on demand costumized production”.

Per realizzare i piatti al momento serve una dispensa con un mix di ingredienti vasto, ma studiato (potremmo dire ingegnerizzato) e conservato in quantità coerenti con i consumi previsti, altrimenti scadrebbero in qualità e freschezza. È poi necessario un metodo di lavoro con cui gestire gli addetti: in funzione dell’area di lavoro in cui opera lo Chef gli si portano gli ingredienti per i piatti secondo le dosi definite nelle sue ricette e nella giusta sequenza. Nulla di diverso da un reparto di assemblaggio di un’azienda meccanica. La dispensa può essere un magazzino automatico che contiene tutti i componenti necessari a produrre il catalogo dei prodotti proposti, i vari part number vengono gestiti con logiche di Kanban dinamico per non avere overstock o rotture, il prelievo dei kit di assemblaggio è definito in funzione delle distinte base correlate alle quantità previste sull’ordine cliente, e il rifornimento ai tavoli di montaggio è tirato dallo stato della produzione: si è così realizzato un modello organizzativo che possiamo definire Digital Lean 4.0; in altri termini una logistica di fabbrica per lo smart manufacturing.

 

Ermanno Rondi con Benno Reichmuth, CEO South West Europe di SSI Schäfer

 

D.Il gruppo di cui lei è fondatore si è fuso recentemente con il gigante Ssi Schäfer: come mai avete fatto una scelta di questo tipo e che prospettive avete?

R. Devo fare una premessa: nella rivoluzione di industria 4.0, le aziende italiane, soprattutto le pmi, hanno trovato un ambiente molto vicino al loro modo di pensare. E questo è ancora di più un peccato perché non fa che aumentare il rammarico di non aver continuato con queste politiche iniziate dal precedente esecutivo. Ci sono delle aziende che stanno andando molto bene e che potevano essere best practice per altre. Invece c’è stato un sistema che è stato frenato dalla politica ma che, ciononostante, ha all’interno una serie di soggetti in grado di reagire sperando che non vengano frustrati per molto tempo. In questo scenario, quindi, noi abbiamo fatto una scelta: lo scorso anno abbiamo fatturato 50 milioni di euro, non numeri da capogiro, ma per il mercato italiano eravamo nelle prime posizioni. Il problema è che avevamo raggiunto un livello sostanzialmente massimo per la nostra espansione e ci siamo trovati di fronte a un bivio…

D. Sarebbe?

R. Dovevamo scegliere se acquisire aziende italiane o entrare a far parte di un grande gruppo. Abbiamo scelto questa seconda ipotesi anche per una questione di “carta d’identità”. Il ricambio generazionale bisogna prevederlo per tempo, per andare avanti l’età diventa un handicap. Il gruppo Ssi ci ha lasciato grande autonomia interna ed esterna, e ci ha consentito di mantenere l’approccio nell’ottica del cliente e non in quella del dover vendere. Il gruppo ha una filiale a Parma che verrà integrata interamente in Incas entro la fine dell’anno. Gli impianti che facciamo noi hanno una vita di 30 anni, quindi con questa fusione stiamo dando maggiore sicurezza perché possiamo aggredire il mercato delle macchine più grandi. Con l’integrazione con Ssi Schäfer, che fattura oltre 2 miliardi di euro all’anno, possiamo arrivare a superare quota 100 milioni.

 

Il peresidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

 

D. Chiudiamo con il governo: che giudizio ne dà? Il Decreto Crescita continua a essere rimandato e a diventare terreno di scontro politico soprattutto intorno al nodo “Salva Roma”: lei che cosa ne pensa?

R. Non sono più giovanissimo e ho visto tanti governi alternarsi, ma non ne avevo mai trovati con un livello così elevato di incoscienza e di incompetenza. Non si sta capendo dove si sta andando a finire e si sta giocando con la pancia delle persone, toccando gli argomenti che sono più sensibili ma che portano il Paese verso il baratro.

D. Non salviamo proprio nulla? Il super-ammortamento è stato ripristinato, ad esempio

R. È vero, ma appartiene a quelle misure che vengono fatte di impulso perché si rischia di annegare, più che come parte di una strategia precisa con una prospettiva di lungo periodo. È gravissimo, ad esempio, che veniamo progressivamente isolati da questo esecutivo che non sembra minimamente interessato a mantenere una certa “presenza” all’interno del continente e, anzi, sembra voler rendere l’Italia sempre più chiusa. Peccato che il nostro sia un Paese esportatore che avrebbe bisogno di un confronto continuo con il mondo per continuare a vendere all’estero i beni prodotti. Anche perché se finora la dialettica con l’Europa è stata molto accesa, immaginiamoci che cosa succederà quando, dopo le elezioni, avremo dei rappresentanti ancora più ostili all’autorità continentale. Rischiamo veramente il disastro, ma purtroppo è una politica che guarda soltanto alla parte più istintiva della nazione. Prima si parlava di politica industriale, con Industria e Impresa 4.0. Invece con questo governo si sono continuati degli strumenti senza capirne la portata e senza comprendere dove si stava andando.














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1 commento

  1. 4.0 chi era costui? Probabilmente tra cinque anni ci sarà 5.0 o 4.3 con questo voglio affermare che la formazione per l’elevata astrazione della tecnologia che sarà sempre più micro e logica, dovrà mettere in condizione gli individui di essere creativi e avere capacità di autoapprendimento che negli anni passati non erano richieste. Resto del parere che una formazione liceale puntuale e rigorosa dia maggiori chance ai giovani per l’apprendimento di tecnologie che spesso richiedono manualità e ripetitività. L’industria ha sempre preteso dalla scuola cose che non può dare come l’esperienza e il saper vivere in ambienti altamente gerarchizzati. Solo una formazione aziendale in ingresso potrebbe risolvere questo “gap”.

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