Sindacati all’unisono: evviva il Pnrr di Draghi!

di Aldo Agosti ♦︎ Il piano nazionale di ripresa e resilienza, ora a Bruxelles, mette sul piatto 6,66 miliardi per promuovere imprese, occupazione e skill. Ma forse sarebbe servito un maggior coinvolgimento dei lavoratori... Cosa si deve fare e cosa no secondo Roberto Benaglia (Cisl), Rocco Palombella (Uil) e Francesca Re David (Cgil)

Sul tavolo di Ursula von der Leyen. Il Pnrr, il piano d’azione italiano che vale fino a poco meno di 250 miliardi (248 per la precisione, Mario Draghi dixit) tra pochi giorni comincerà ad essere esaminato dalla Commissione europea, che dovrà valutare se i progetti italiani sono meritevoli dei mastodontici finanziamenti e contributi a fondo perduto, dell’Europa. Inutile negare che lavoro e industria italiana sono uno dei pilastri del Pnrr. D’altronde, l’humus dell’intero piano sono proprio gli investimenti che vanno nella direzione di un sistema manifatturiero più competitivo, digitalizzato, produttivo e, soprattutto, sostenibile.

E, su uno dei capitoli portanti, il quinto, quello dedicato all’industria e al lavoro, i principali sindacati italiani, Cisl, Cgil e Uil, sono d’accordo, o quasi, con il governo di Mario Draghi: molto è stato scritto tra le pieghe delle oltre 300 pagine del Pnrr e tutto sommato va anche bene. Semmai occorre metterlo in pratica, con le dovute accortezze e la giusta dose di pragmatismo. Industria Italiana ha sentito i pareri dei metalmeccanici italiani. Ovvero, Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl, Rocco Palombella, leader della Uilm e Francesca Re David, capo della Fiom. Prima però, un passo indietro.







 

Nel nome del lavoro

La quinta missione del Pnrr è quella dedicata all’inclusività e alla coesione. Dietro tali parole, così tanto in voga oggi, si celano i capitoli lavoro e industria. Uno sguardo può aiutare a capire. Tra i fondi stanziati dal governo, alla Missione 5 sono destinati 19,81 miliardi di euro.

Questa missione ha un ruolo di grande rilievo nel perseguimento degli obiettivi, trasversali a tutto il
PNRR, di sostegno all’empowerment femminile e al contrasto alle discriminazioni di genere, di incremento
delle prospettive occupazionali dei giovani, di riequilibrio territoriale e sviluppo del Mezzogiorno e delle
aree interne. Fonte governo.it

Di questi, 6,66 miliardi di euro sono per le politiche attive per il lavoro, con questi precisi obiettivi:

– potenziare le politiche attive del mercato del lavoro e la formazione professionale

– sostenere l’occupabilità di lavoratori in transizione e disoccupati, mediante l’ampliamento delle misure di politica attiva del lavoro, nell’ambito del nuovo Programma Nazionale per la Garanzia Occupabilità dei Lavoratori, e promuovere la revisione della governance del sistema di formazione professionale in Italia, attraverso l’adozione del Piano Nazionale Nuove Competenze.

Il premier Mario Draghi

– rafforzare Centri per l’Impiego e promuovere interventi di capacity building a supporto dei Centri per l’Impiego, con l’obiettivo di fornire servizi innovativi di politica attiva, anche finalizzati alla riqualificazione professionale (upskilling e reskilling), mediante il coinvolgimento di stakeholder pubblici e privati, aumentando la prossimità ai cittadini e favorendo la costruzione di reti tra i diversi servizi territoriali.

– favorire la creazione di imprese femminili e l’introduzione della certificazione della parità di genere. Ovvero realizzare la piena emancipazione economica e sociale della donna nel mercato del lavoro, prevedendo una sistematizzazione e ristrutturazione degli attuali strumenti di sostegno, con una visione più aderente ai fabbisogni delle donne, attraverso una strategia integrata di investimenti di carattere finanziario e di servizi di supporto per la promozione dell’imprenditorialità femminile. L’introduzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere mira ad affiancare le imprese nella riduzione dei divari nella crescita professionale delle donne e alla trasparenza salariale.

– Ultimo, ma non meno importante, promuovere l’acquisizione di nuove competenze da parte delle nuove generazioni: favorire il matching tra il sistema di istruzione e formazione e il mercato del lavoro.Tutto questo a fronte di una verticale operazione digitalizzazione industriale e amministrativa, forte di quasi 49,2 miliardi di investimenti. Azioni mirate per promuovere la trasformazione digitale del Paese, si legga alla voce banda larga, e sostenere l’innovazione del sistema produttivo, e investire in due settori chiave per l’Italia, turismo e cultura.

La componente “Politiche per il lavoro” mira ad accompagnare la trasformazione del mercato del lavoro
con adeguati strumenti che facilitino le transizioni occupazionali; a migliorare l’occupabilità dei
lavoratori; a innalzare il livello delle tutele attraverso la formazione. Fonte governo.it

Parola ai sindacati

Fin qui il terreno su cui si gioca la partita del rilancio dell’industria italiana. Ma cosa ne pensano i principali sindacati italiani, che proprio in questi giorni hanno avviato un confronto con il premier Mario Draghi, a Palazzo Chigi? Roberto Benaglia, 59 anni, è sindacalista di lunga esperienza e arriva alla Fim dopo diversi incarichi territoriali e nazionali a partire dai primi anni ’80, dal 1998 fino al 2008 è prima in segreteria e poi alla guida della Fim Cisl Lombardia. Tra il 2008 e il 2016 è stato componente della segreteria regionale Cisl lombarda con incarichi sui temi del mercato del lavoro e della contrattazione. Tra il 2016 e il 2019 diviene operatore della Cisl confederale sempre sui temi delle politiche contrattuali, fino ad approdare nel maggio del 2019 nella segreteria nazionale della Fai Cisl dove ha seguito i rinnovi contrattuali e le relazioni sindacali nell’industria alimentare e con i principali gruppi della stessa.

Roberto Benaglia, leader della Fim-Cisl

«Dal Pnrr, ma soprattutto dalla sua adeguata e puntuale attuazione dipende non solo il rilancio generale dell’economia reale, ma soprattutto la chance di ridare competitività, crescita e modernizzazione all’industria italiana. Transizione ecologica, digitalizzazione e adeguatezza delle competenze sono le 3 direttrici attorno alle quali tutta la manifattura europea è chiamata a confrontarsi – spiega Benaglia – Il nostro è un paese che non parte in vantaggio in questa competizione evolutiva. L’industria ha nella sfida della sostenibilità il suo fronte di impegno maggiore in questa prossima fase. Ed è una ricombinazione del modo di fare industria che deve ormai vedere nell’ambiente non una variabile migliorativa ma una condizione per una capacità di lungo periodo. Rendere socialmente sostenibile la sostenibilità ambientale diventa il cuore di un ripensamento dell’industria, soprattutto di quella manifatturiera, rispetto al quale il sindacato deve essere protagonista con proposte attive e nuove».

Il leader dei metalmeccanici della Cisl ha ben chiara quale sia la sfida del Pnrr. Ora che è tutto nero su bianco, è il momento di aprire i cantieri indicati nel piano. Ed ecco cosa fare per la manifattura italiana. «Come adeguare gli investimenti, come governare la transizione, come dimensionare gli interventi pubblici alla tipicità della manifattura italiana la cui dorsale poggia sulle catene di fornitura e sulle pmi piuttosto che su grandi imprese è la sfida che ci attende e che con le risorse e i progetti del Pnrr possiamo superare». Di qui, una conclusione.

«Di questo importante piano non dobbiamo guardare solo le ingenti risorse in gioco, ma quanto queste potranno mobilitare risorse private aggiuntive. La manifattura italiana ha bisogno di attrarre nuovi investimenti anche internazionali. E l’attrazione di nuovi investimenti non si gioca solo sul piano delle convenienze finanziarie, ma soprattutto su come il nostro Paese saprà snellire la giustizia, sburocratizzare le procedure autorizzative, semplificare la vita di chi fa impresa. Ed è dalla capacità di attuare queste riforme, più che dai miliardi presi in prestito dalla Europa, che dipenderà la sfida di uscire dalla pandemia con un di più di competitività e crescita per la nostra industria, che nel frattempo ha saputo dimostrare doti di resilienza e di ripresa molto positive nelle filiere del valore internazionali».

Rocco Palombella, leader della Uilm

Ed ecco la seconda voce, quella di Rocco Palombella, leader della Uilm, i metalmeccanici della Uil e membro della segreteria nazionale. Palombella è iscritto da oltre 37 anni alla Uilm e da circa 36 anni come delegato sindacale all’Ilva di Taranto. Dal 2003 è stato eletto Segretario generale della Uilm di Taranto (carica che ha ricoperto fino all’11 febbraio 2010) e dal 12-6-2009 Segretario nazionale.

«L’Italia è il secondo Paese europeo più industrializzato e tra i primi al mondo. Nonostante le crisi che si sono verificate dal 2008 ad oggi, l’export è riuscito a controbilanciare la contrazione del mercato interno. Negli ultimi anni i Governi hanno dedicato importanti finanziamenti e strutture tecniche a Industria 4.0, ma i risultati sono stati molto modesti. Solo alcuni settori e aziende hanno fatto quegli investimenti, mentre la stragrande maggioranza delle Pmi è rimasta al palo. La pandemia ha arrestato questo processo che andava avanti, seppur lentamente, dal 2011. Per uscire da questa grave situazione, l’Ue, sollecitata dagli Stati membri, ha previsto 750 miliardi di investimenti su temi come ambiente, digitalizzazione, innovazione, competitività, transizione ecologica, mobilità sostenibilità, istruzione e ricerca, salute. Di questi fondi europei, all’Italia spettano circa 200 miliardi di euro, a dimostrazione di come il nostro Paese debba recuperare anni persi in questa direzione. Senza voler entrare nel merito delle misure, questo piano è un’iniezione di risorse senza precedenti nella storia dell’Ue e va considerata un’opportunità da non sprecare».

Peccato che il governo italiano abbia finora coinvolto ben poco i lavoratori nella stesura del Pnrr. «Il piano italiano, purtroppo, non ha visto il coinvolgimento diretto delle organizzazioni sindacali – spiega Palombella – Noi metalmeccanici abbiamo presentato delle proposte nell’agosto 2020 all’allora ministro Patuanelli riguardo settori strategici come siderurgia, automotive, aerospazio, difesa, infrastrutture digitali. Il Pnrr sembra tenere in considerazione questi asset importanti ma la vera sfida sarà quella di verificare che i progetti si concretizzino affrontando le problematiche strutturali del nostro sistema industriale e non solo. Ci aspettiamo, comunque, un coinvolgimento delle organizzazioni sindacali perché siamo convinti di poter dare un importante contributo per salvaguardare il sistema industriale italiano e vincere questa sfida fondamentale per il futuro del Paese».

Francesca Re David, segretaria Fiom

La terza voce è quella di Francesca Re David, a capo della Fiom Cgil. La quale ha ristretto il campo delle sue valutazioni soprattutto sulla siderurgia, che in Italia fa rima con Ilva. Tutto, o quasi, deve ruotare intorno al rilancio del siderurgico. «Non esiste nessun Piano di ripresa e resilienza che possa prescindere dalla qualità e quantità della produzione di acciaio vista la grande preoccupazione nella manifattura che non ha una visibilità di acciaio e non sa di quanto e in che modo potrà disporne per la ripartenza. Nonostante ci troviamo con una richiesta di acciaio enorme i lavoratori continuano a pagare un grande prezzo in termini di sacrifici – ha spiegato Re David – Ad oggi non si conosce nulla del piano per la siderurgia e, nonostante, da mesi come Fiom chiediamo di conoscere la connessione che ci sarà tra la questione Taranto e il resto del Paese, con gli altri impianti siderurgici, ancora non vediamo una disponibilità a discutere sul serio e ad entrare nel merito delle questioni».














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