Tra incentivi e autoproduzione: sfide e opportunità dell’idrogeno per le aziende

di Renzo Zonin ♦︎ Perché questo elemento abbia un senso deve essere verde, prodotto sfruttando l’energia in eccesso da fonti rinnovabili. Ma con i prezzi dell’elettricità alle stelle, venderla in rete è più vantaggioso. E in futuro? Ne parliamo con Massimo Marengo (Albasolar)

Un sistema di cogenerazione Aspec_GEN. Il software AspecIndustry consente di dotarlo di elettrolizzatore, serbatoio per l'idrogeno e fuel cell

Sempre più spesso si sente parlare dell’idrogeno come fonte di energia pulita, o anche come versatile alternativa ai carburanti fossili. La realtà dei fatti è piuttosto diversa: primo, l’idrogeno non è una fonte energetica rinnovabile ma caso mai un vettore energetico, come l’elettricità; secondo, la sua utilità risiede principalmente nel fatto che, a differenza dell’elettricità, è facilmente immagazzinabile; terzo, il suo utilizzo in ottica di decarbonizzazione presenta una serie di limiti abbastanza stringenti legati al modo in cui lo produciamo.

«Il tema dell’idrogeno è molto interessante e in prospettiva promette grandi sviluppi, ma c’è un problema di fondo che in Italia non gli permetterà di decollare ancora per qualche anno. Perché l’idrogeno abbia un senso, deve essere idrogeno verde, prodotto sfruttando l’energia in eccesso da fonti rinnovabili» ci dice Massimo Marengo, ceo del gruppo Marengo, attivo nelle energie rinnovabili e nella cogenerazione. «Purtroppo, la produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia è ancora molto bassa. Anche nel 2021, nonostante incentivi come il superbonus, non abbiamo superato il Gigawatt di potenza installata». Con questi livelli di produzione di energia da rinnovabile, sarà difficile mettere in movimento quella “economia dell’idrogeno” che molti auspicano.







Quella dell’idrogeno è, in Italia, una corsa a handicap: per essere davvero “ecologico”, deve essere prodotto da rinnovabili in surplus (che qui invece sono insufficienti), e deve essere autoprodotto e autoconsumato in azienda, quando si sa che la politica industriale dei precedenti governi non ha mai favorito l’autoproduzione con incentivi strutturali, del tipo di quelli per Industria 4.0 per esempio. Con il risultato che un investimento nell’idrogeno ha tempi di rientro doppi rispetto a quelli di altre tecnologie di autoproduzione: circa 10 anni, contro i 5 in media di un parco fotovoltaico. Sul lungo periodo, la situazione potrebbe migliorare sensibilmente se il governo riuscirà ad accelerare l’adozione degli impianti di autoproduzione di rinnovabili, sbloccando le autorizzazioni pendenti e incentivando gli investimenti nel settore con piani pluriennali, che non creino bolle effimere come quella del Superbonus.

Tutti i colori dell’idrogeno

Massimo Marengo, Albasolar – Gruppo Marengo

Probabilmente vi ricorderete che sul libro di chimica del liceo l’idrogeno veniva definito “gas incolore e insapore”. Ma oggi l’idrogeno di colori ne ha almeno tre: c’è l’idrogeno grigio, quello blu e quello verde. Parliamo di idrogeno grigio per indicare quello che viene prodotto per via chimica, partendo quasi sempre da idrocarburi (petrolio, gas metano eccetera) se non addirittura dal carbone, oppure quello ottenuto nelle raffinerie come sottoprodotto di vari processi di cracking. L’idrogeno grigio costituisce oltre il 90% della produzione totale di idrogeno, è relativamente economico ma dal punto di vista ecologico ha un “piccolo” difetto: nel produrlo si crea CO2, tanta CO2. Cosa che vanifica il tentativo di usarlo come alternativa “pulita” ai carburanti fossili: l’inquinamento si sposta semplicemente dalla città dove guidate l’auto a idrogeno a quella dove è situato l’impianto di produzione.

Tecnici e scienziati sono al lavoro per risolvere il problema, ma per ora le soluzioni testate sono parziali, troppo complicate o molto costose. Quella più gettonata consiste nel reiniettare la CO2 in eccesso nei giacimenti di gas e petrolio esausti. Quando una di queste tecniche di “cattura” della CO2 viene aggiunta all’impianto che produce idrogeno grigio, si parla di “idrogeno blu”, meno inquinante ma ancora non del tutto pulito. E comunque più costoso: il “grigio” costa 1,5-2€ al chilo, il blu 2-3€, il “verde” arriva a 4-5€ al chilo. Oggi, solo il 3% circa del mercato è costituito dall’idrogeno “verde”, prodotto a partire dall’acqua mediante processo elettrolitico, ovvero sfruttando l’elettricità per rompere le molecole separando l’atomo di ossigeno dai due di idrogeno. Questo processo non crea gas serra, a patto di usare elettricità che provenga da fonti rinnovabili. Ecco spiegata quindi la precondizione iniziale perché l’idrogeno possa aiutare nella decarbonizzazione.

Utilizzi drogeno

Una questione di costi e ricavi

Anche disponendo di energia elettrica da rinnovabili in eccesso, però, non è detto che usarla per produrre idrogeno sia la cosa migliore da fare, soprattutto in questo periodo di prezzi dell’energia alle stelle. «Se il mio parco fotovoltaico genera un surplus di elettricità, perché dovrei utilizzarlo per produrre l’idrogeno, quando l’energia che vendo in rete mi viene pagata 30 centesimi al kWh?» si domanda Marengo. E in effetti, produrre l’idrogeno costa. Con gli attuali elettrolizzatori, servono circa 50 o 60 kWh per chilogrammo di idrogeno, e i modelli della prossima generazione potrebbero scendere fino a circa 40 kWh, ma quello è il meglio che si può fare, teorizzando un rendimento del 100%. Si stanno sperimentando metodi di produzione meno energivori, dall’elettrolisi anodica a quella ad alta temperatura, ma non sono ancora a punto. E quindi, al momento, chi ha scelto di autoprodurre la propria energia e dispone di un surplus di produzione molto probabilmente troverà maggiore convenienza nel vendere la sovrapproduzione piuttosto che trasformarla in idrogeno. Soprattutto ai prezzi attuali.

Un impianto capace di proteggere dai problemi di linea e in grado di produrre anche idrogeno

Vettori energetici e perdite da trasformazione

Toyota Mirai Fuel Cell cutaway

L’elettricità è una forma di energia difficile da immagazzinare, soprattutto in grandi quantità. Tipicamente, il problema si risolve trasformandola in qualcosa di più “maneggevole”. Per esempio energia chimica (batterie, idrogeno da stoccare in silos a pressione) o meccanica (si usa l’elettricità in surplus per pompare in quota acqua nei bacini idroelettrici, per poi ritrasformarla in energia elettrica tramite centrali idroelettriche quando la domanda cresce). Ma ogni volta che trasformiamo l’energia da una forma a un’altra (da elettrica a chimica, da meccanica a elettrica, eccetera) dobbiamo mettere in conto una perdita, che varia a seconda del processo, del tipo di trasformazione, dell’efficienza, eccetera. Se immagazziniamo l’elettricità sotto forma di idrogeno, perderemo nel processo una parte dell’energia, e un’altra parte verrà persa se convertiremo nuovamente l’idrogeno in elettricità. L’intero processo, dunque, non sarà particolarmente efficiente. Ma per un’azienda dotata di un impianto di autogenerazione di elettricità, può essere comunque conveniente produrre idrogeno, purché esso possa essere riutilizzato all’interno del proprio processo produttivo, possibilmente senza ulteriori trasformazioni. «Un’azienda che disponga per esempio di un parco fotovoltaico può produrre idrogeno da usare fondamentalmente per tre cose: primo, come carburante per veicoli. Per esempio, potrebbe alimentare a idrogeno la sua flotta di camion. Secondo, potrebbe bruciarlo per generare acqua calda, vapore, calore da utilizzare nei suoi processi di produzione. Una terza possibilità, infine, è di usare delle celle a combustibile industriali, che alimentate a idrogeno consentono di ricavare nuovamente elettricità».

Questa terza possibilità sembra poco efficiente, quindi perché un’azienda dovrebbe servirsene? «Perché di notte l’impianto fotovoltaico non produce elettricità. E se l’azienda deve funzionare 24 ore su 24, con l’idrogeno sarà possibile alimentare i macchinari elettrici a qualsiasi orario, riducendo o azzerando l’utilizzo di energia proveniente dalla rete elettrica esterna» spiega Marengo. Un’alternativa potrebbe essere l’uso dell’idrogeno come carburante pulito per un cogeneratore, in alternativa al gas o al gasolio. Tra l’altro, se per consumi bassi, dell’ordine di qualche centinaio di kWh, si può ricorrere a sistemi di accumulo industriali a batteria per immagazzinare l’elettricità, per consumi medi e alti questa soluzione sarebbe al momento difficilmente percorribile, per costi e complessità. Certo, la soluzione ideale sarebbe disporre di un sistema che sia in grado di approvvigionarsi in varie modalità, e di gestire la produzione e l’utilizzo delle varie forme di energia in base a parametri come il costo di produzione o di acquisto dell’energia e del gas, l’impronta di CO2 ammessa, eccetera. «In futuro, vedremo sempre più spesso impianti ibridi che produrranno energia da fonti rinnovabili e da cogenerazione, la immagazzineranno in batterie o in idrogeno, la venderanno o la acquisteranno, in base ai parametri decisi dall’azienda, e inseriti in un software sofisticato che gestirà automaticamente tutti i componenti dell’impianto» conferma Marengo. La sua società, fra l’altro, ha già installato in varie aziende del nord Italia sistemi di autoproduzione multi-sorgente e multi-obiettivo, equipaggiati con il software Aspec Industry che è appunto in grado di ottimizzare la produzione e la gestione dell’energia. Albasolar propone ai suoi clienti anche una soluzione per l’autoproduzione dell’idrogeno, con un approccio suddiviso in quattro step: una progettazione preliminare con l’individuazione di eventuali incentivi disponibili, la progettazione e realizzazione dell’impianto di produzione di energia rinnovabile per alimentare l’elettrolizzatore, la progettazione e realizzazione dell’impianto di elettrolisi e stoccaggio del gas prodotto, e infine la progettazione e realizzazione degli impianti per l’utilizzo dell’idrogeno, sia come combustibile diretto che per l’alimentazione delle fuel cell.

Timeline dei fondi Ue

L’autoproduzione è il secondo fattore chiave

Una Hyundai ix35 funzionante a Fuel Cell fa rifornimento di idrogeno

Se la disponibilità di energia da rinnovabili in alta quantità è un prerequisito assoluto per il successo dell’idrogeno, subito dopo viene la presenza di impianti di autoproduzione dell’energia. E questo perché in effetti l’idrogeno abilita diversi scenari proprio nel range di consumi tipico delle aziende, mentre appare meno adatto a grandi scenari di rete (sostituzione di grandi centrali tradizionali per esempio) o a piccoli impianti casalinghi. Tuttavia, a oggi entrambi questi prerequisiti in Italia non ci sono. «I numeri sono noti a tutti – commenta Marengo – negli ultimi anni, non siamo arrivati a installare un GW l’anno di nuove fonti rinnovabili. Secondo il ministro Cingolani, nei prossimi cinque anni avremmo bisogno di installarne il quintuplo, 5 GW l’anno. Il ministro ha anche detto che il Governo si attiverà per spingere le fonti rinnovabili, sbloccando le autorizzazioni ancora ferme (si parla di circa 70 MW fermi per problemi burocratici, NdR) e inserendo incentivi anche tramite il Pnrr. Non sappiamo ancora le condizioni, ma dovrebbero essere pensati per le industrie: per esempio si parla di parchi eolici o fotovoltaici sotto il MW, con la condizione di autoconsumare una certa percentuale. Il risultato dovrebbe quindi essere migliore di quello ottenuto con il bonus del 110%, in quanto sarà più strutturato sul lungo termine. La continuità nel tempo è importante perché bisogna mettere in movimento una filiera complessa».

Il nodo dell’autoproduzione finisce dunque per risultare strettamente legato al discorso delle rinnovabili. «Noi abbiamo un buon numero di clienti che hanno installato impianti di autoproduzione, con il solare, con la cogenerazione eccetera. Ma si tratta di una percentuale piccolissima delle aziende italiane che potrebbero trarre vantaggio da questo tipo di impianti. Il fatto è che, per qualche motivo, negli ultimi dieci anni l’autoproduzione dell’energia elettrica è sempre stata esclusa dalle tecnologie del Piano Industria 4.0, e non ha mai goduto quindi di alcun importante incentivo». Così, solo le aziende più lungimiranti hanno investito per rendersi indipendenti energeticamente, e spesso lo hanno fatto sia per il vantaggio competitivo diu riduzione dei conti ma anche per l’immagine che dava loro il fatto di essere “green”. «Questa lungimiranza è però stata doppiamente premiata perché adesso queste aziende si stanno producendo energia a bassissimo costo, oppure la stanno vendendo ad alti prezzi. Chi poi è stato ben consigliato ha stipulato contratti pluriennali di acquisto del gas e adesso, oltre ad avere bassissimi costi, ci sta pure guadagnando vendendo l’energia anche generata dalla cogenerazione. Nel nostro caso tutto gestito in automatico per merito del del software energetico intelligente, Aspecindustry. Anche nell’energia si può innovare, basta il partner giusto!» commenta Marengo.














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