Marco Bentivogli, Cisl: l’ecosistema 4.0 in Italia è ancora da costruire

di Roberto Castagnoli ♦︎ Il Segretario Generale Fim-Cisl è intervenuto durante la presentazione dei bandi per l’industria 4.0 del Made, il Competence Center del Politecnico di Milano

Marco Bentivogli, coordinatore nazionale Base Italia

Rispondendo alle domande del moderatore Simone Cerroni, Bentivogli ha evidenziato il ritardo dell’Italia nella creazione di un ecosistema 4.0, dovuto sia a problemi culturali (delle aziende ma non solo), sia alla scarsità di fondi disponibili e alla scarsa attenzione alla formazione, che dovrebbe essere maggiormente considerata.

 







Come vede il sindacato questo mondo 4.0?

Questo mondo 4.0 è ancora da costruire, non è ancora completo. Se guardiamo cosa stanno facendo le imprese rispetto al 4.0, ci sono tre atteggiamenti. Ci sono quelli che fanno finta che non stia succedendo niente. Abbiamo un dato drammatico di InfoCamere: 4 imprenditori su 10 (su 5 milioni di imprese censite) non ritengono che l’Intelligenza Artificiale sia utile, e molti pensano che anche Internet sia inutile. Poi ci sono quelli che hanno capito l’importanza, ma stanno lavorando su un’innovazione a spicchi. La maggior parte lavora sul fine linea, cioè sul prodotto finito, per la parte di confezionamento e logistica. L’innovazione a spicchi sta dando risultati eccezionali ma non all’altezza della produttività e del cambio completo di modello organizzativo e di business che ci si aspetta da questa rivoluzione. Infine ci sono coloro che invece cercano innanzitutto di farsi aiutare a coltivare una visione complessiva dell’impresa e lavorano, magari progressivamente a spicchi, ma con un disegno di cui si vede in qualche modo la completezza. In questa situazione, l’ecosistema è il tema più serio e più urgente da realizzare. Penso che il competence center, Made in questo caso, sia un po’ il motore dell’ecosistema 4.0. E insieme all’impresa deve essere in grado di offrire competenze e altre cose in sinergia con gli Innovation Hub. Una cosa che mi piacerebbe è che i competence center entrassero in sinergia fra loro, non semplicemente in competizione. In un paese come l’Italia dove c’è una grande necessità di integrare le cose che funzionano, tutti questi cartelli rischiano di essere un problema. In Italia abbiamo molte più cose da fare rispetto alla Germania, bisogna suggerire politiche e pratiche per cambiare la pubblica amministrazione, cambiare i sistemi di formazione e istruzione, i sistemi di mobilità e di produzione dell’energia eccetera. Un ecosistema è una cosa davvero complessa da realizzare.

 

L’operaio come vive l’avvento delle nuove tecnologie?

Tutta quesa paura della tecnologia, diffusa più che altro dai giornalisti, in fabbrica non c’è. Non c’è la tecnofobia, quando un lavoratore vede arrivare una macchina nuova e ne comprende le finalità è contentissimo. Non è vero che c’è questo luddismo, è una cosa che non esiste in fabbrica. Ma quello che è interessante è come stanno cambiando le aziende. In quelle dove c’è una manifattura avanzata, le palazzine direzionali, impiegatizie cominciano a sparire e si sposta tutto vicino alla produzione.

 

Nel suo ultimo libro “Fabbrica futuro” cita Fca, perché?

Perché raccontiamo cosa è successo lì in quegli anni di svolta, nonostante l’Italia faccia fatica ad accettarlo. E tutto ruota attorno a un nuovo sistema di organizzazione del lavoro. Il cuore della partita è stato il Wcm, World Class Manufacturing, che è un po’ un sistema Toyota avanzato, più sostenibile. Nel Wcm c’è un medagliere, nel medagliere noi abbiamo convogliato la contrattazione aziendale, ci sono per esempio indicatori che riguardano la riduzione degli infortuni, la riduzione del consumo di risorse naturali, la sostenibilità ambientale, e queste cose sono nel contratto aziendale. L’idea di produttività è un po’ più rotonda, collegata alla sostenibilità. Sì dirà che Fca è una grande azienda, ma nel nord est ci sono aziende medio piccole che si sono risollevate cambiando modello, adottando il Wcm. Se invece i modelli organizzativi rimangono gli stessi, emerge il problema degli ecosistemi: non esiste più chi accompagna la piccola impresa alla crescita. Se non si capisce che serve un sistema di organizzazione del lavoro codificato, non si fa il salto di qualità e si rischia di non superare i 15 dipendenti anche per motivi culturali. Spesso la piccola azienda è stata elogiata proprio per le peculiarità che l’hanno condannata al nanismo. Nel modello familiare, la zia che sa fare un po’ di conti deve diventare responsabile commerciale, ma se la zia rimane responsabile commerciale anche quando l’azienda supera i 20 dipendenti, l’azienda chiude. Uscire dal modello familiare e crescere attraverso sistemi di organizzazione del lavoro è fondamentale, ma queste cose vanno fatte con qualcuno nel territorio che accompagna questi processi. Io vedo il ruolo delle organizzazioni sindacali e datoriali come un ruolo di accompagnamento e promozione fondamentale. Se non facciamo questo diventiamo sempre più inutili.

 

Quale sarà il ruolo della formazione?

Nel contratto sono previste 8 ore l’anno di formazione, è pochissimo. ArcelorMittal, per esempio, fa 80 ore obbligatorie l’anno di formazione in fonderia. C’è chi ha fatto fare la formazione fuori dall’orario di lavoro, tanti hanno fatto di tutto pur di non farla. Appena il 40% ha onorato questo obbligo contrattuale. Noi sosteniamo che il diritto alla formazione deve diventare una sorta di diritto umano, migliorando sia in termini di quantità che di qualità. Abbiamo appena completato i nostri skill days, nei quali valutiamo tutti i piani formativi presentati tramite Fondimpresa. Purtroppo abbiamo ancora molte imprese e molti centri di formazione professionale che contrabbandano per formazione 4.0 un’infarinatura di social network e quattro parole d’inglese. Quelle sono cose che servono a tenere in piedi il centro di formazione professionale, ma non servono a formare le persone.

 

Gli incentivi per Industria 4.0 cambiano forma, da super/iper ammortamento a credito d’imposta. Qual è il suo parere?

«Io penso che non dobbiamo mai avere pregiudizi su queste cose. Il problema vero è che non siamo ancora in grado di vedere se iper e super ammortamento erano meglio o peggio rispetto al credito d’imposta, però possiamo già dare un giudizio sulle somme stanziate: sono niente. Guardiamo come stanno agendo gli altri: la Germania ha stanziato 40 miliardi di Euro, la Francia, addirittura ha attivato un filone specifico per l’innovazione nell’automotive. E noi rispondiamo con queste cose in cui c’è scarsissimo coinvolgimento sindacale. Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha proposto di togliere il vincolo sindacale sul credito d’imposta alla formazione, e questo è un errore. A noi non interessa mettere il timbro, ma se non facciamo diventare popolare fra i lavoratori la formazione, attraverso percorsi di coinvolgimento e condivisione, la formazione sarà sempre considerata una cosa poco importante. Per quello serve l’accordo sindacale. Anche perché bisogna cambiare la cultura dell’impresa e la cultura dei sindacalisti.














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