Marc Baret e le nuove frontiere di Rockwell Automation

di Marina Guiomar Parada ♦︎ La multinazionale americana non si accontenta più di fornire prodotti per l’automazione e gli impianti. Ora, grazie alla sinergia con la software house PTC, tramite il lifecycle management service l’azienda supporta i clienti per tutto il ciclo di vita dei prodotti. Realtà aumentata, Ai, e analytics le chiavi di questa nuova strategia

«Vogliamo accompagnare le imprese lungo tutto il ciclo di vita delle loro attività. Non si tratta solo di occuparsi dei macchinari, ma di ogni aspetto di un progetto». Così Marc Baret, Regional Director CSM di Rockwell Automation per l’area Emea, spiega il posizionamento che la multinazionale americana dell’automazione ha scelto di darsi.

Quelli che Rockwell Automation chiama lifecycle management services, non si limitano ai prodotti per l’automazione e gli impianti, ma «devono includere anche il capitale umano e la conoscenza, perché entrambi contribuiscono a creare valore per le imprese manifatturiere e per i loro clienti». Inoltre, è importante che per tutti questi asset si individui con precisione il punto del ciclo di vita nel quale si trovano.







Marc Baret, Regional Director CSM di Rockwell Automation per l’area Emea

Che il progetto riguardi la costruzione di nuovi impianti o processi o la trasformazione digitale, ci sono sempre alcuni passaggi indispensabili: modernizzare i sistemi per renderli sostenibili per il futuro; disporre di una valutazione regolare degli asset installati per mitigare il rischio di obsolescenza o la mancanza di ricambi; rendere le reti di connettività interne ed esterne robuste con un particolare accento sulla cybersicurezza e, non da ultimo, disporre del capitale umano appropriato: persone altamente specializzate e, al tempo stesso, con un approccio interdisciplinare.

«Se una fabbrica deve durare nel tempo» spiega Baret, «occorre misurarsi con il tema dell’obsolescenza di alcuni strumenti e componenti, ad esempio alcune parti elettroniche di un robot. Noi supportiamo i clienti nell’identificarli, aggiornarli o sostituirli, avendo cura di minimizzare l’alterazione o il rallentamento dell’operatività». Questo tipo di approccio, per la verità, contraddistingue già da alcuni anni l’operato di Rockwell Automation. Di recente, però, sono stati mutati e potenziati gli strumenti «Per esempio, oltre a 700 ingegneri che vanno sul campo in tutta Europa, ora contiamo su altri 200 che forniscono assistenza remota. È un trend in rapida crescita».

 

 

 

Il salto qualitativo con la realtà aumentata

Realtà aumentata industriale Ptc

In questo ambito, un vantaggio competitivo importante è stato la sinergia con la software house PTC. Un punto di forza è così la realtà aumentata industriale (AR) di PTC, che nelle varie soluzioni della suite software FactoryTalk InnovationSuite può accelerare di un 60% i tempi di risoluzione dei problemi nei macchinari – e con un costo minore. La realtà aumentata Vuforia implica uno sforzo iniziale per la creazione del database con tutti i dati su struttura e operatività dei macchinari. Sono quindi avvantaggiati i manifatturieri che dispongono già di una buona parte di questi dati fin dalla fase di progettazione Cad. Inoltre, la RA è di particolare beneficio per i produttori che hanno infrastrutture lontane dalla sede ingegneristica, perché il tecnico che si trova in loco non deve essere un esperto per affrontare un problema, almeno inizialmente. Basta che abbia un terminale Vuforia, che può anche essere un semplice tablet o, in alcuni casi, un visore HoloLens, di Microsoft. Puntando la telecamera o il visore (che lascia le mani libere) sulla macchina o su un componente, si vedono non solo i nomi delle singole componenti e le informazioni relative, ma anche le parti inaccessibili di un macchinario o di un impianto. Poiché anche gli ingegneri vedono la stessa immagine, dalla sede remota in cui si trovano possono indicare sull’immagine stessa i punti dove intervenire e in quale modo o la direzione o successione dell’intervento, oltre a parlare con il tecnico. In alcuni casi più sofisticati può essere lo stesso software a segnalare il punto critico (decolorazioni, crepe…).

«Certo, talvolta il settore manifatturiero può avere la tendenza a essere conservatore», dice Baret, «ma molti clienti, soprattutto alcune realtà importanti del settore alimentare e automotive stanno già adottando questo strumento, che rende la comunicazione nell’assistenza non solo visiva ma anche completa di informazione». Come criterio per l’adozione, Rockwell Automation propone il ROI, che i clienti siano grandi o piccoli. «Per esempio, in uno stabilimento farmaceutico, l’interruzione di un’ora di una linea può costare decine di migliaia o addirittura centinaia di migliaia di euro. Una risoluzione molto più rapida dei problemi cambia vantaggiosamente il ROI». Insomma, «Sono strumenti importanti perché aumentano la produttività e minimizzano i tempi di fermo, soprattutto per quelle aziende nelle quali ogni minuto conta. Noi aiutiamo a riprendere la produzione piena molto più rapidamente che quando si devono aspettare gli ingegneri o quando non c’è un’interazione visiva tra il plant e gli esperti».

 

Lo stato di vita del prodotto

Automation Fair a: Rachel Conrad , Vice President Customer Support and Maintenance Rockwell Automation e
Matt Fordenwalt Vice President and General Manager Systems and Solutions Business Rockwell Automation

Legata alla risoluzione dei guasti o fermi imprevisti, nel pacchetto Lifecycle Management Services, come si è detto Rockwell Automation enfatizza l’importanza della valutazione del punto del ciclo di vita nel quale si trovano gli asset. «La digitalizzazione sta integrando nei macchinari sempre più device intelligenti. Da questi dispositivi ci arrivano informazioni preziose sul processo di obsolescenza dei prodotti, che non avevamo prima quando questo tipo di valutazione della base installata si faceva mandando un ingegnere a ispezionare visivamente ogni prodotto ed entrando appositamente nel software dei sistemi», continua Baret. «Sono informazioni che ci permettono, da una parte, di anticipare la manutenzione e, dall’altra, di offrire ai clienti uno strumento di analisi sul rischio di obsolescenza in un macchinario o una parte del plant. Il ciclo di sostituzione [tra device tradizionali e “smart”] richiederà ancora un 5-10 anni, perché i nostri clienti hanno ancora molti macchinari tradizionali, che valutiamo in maniera manuale. Arriveremo al punto in cui queste valutazioni potranno essere fatte totalmente in maniera digitale – e avremo sempre aggiornato lo stato di vita di ogni prodotto».

 

 

Data analytics e intelligenza artificiale

La manutenzione predittiva si appoggia ai data analytics: «Analizziamo l’attività a partire dai dati delle macchine o dell’impianto e siamo in grado di predire quando il rischio di un fermo imprevisto o di un malfunzionamento o di obsolescenza è alto e conviene fare la manutenzione o l’upgrade». Sempre di più, tuttavia, questi dati andranno ad alimentare i programmi d’intelligenza artificiale (AI) in grado di individuare consequenzialità e altre informazioni utili anche per l’ottimizzazione dell’impianto. L’AI fa fare un salto qualitativo quando si possono combinare dati del contesto (da sensori di ambiente, umidità, temperatura) con banche dati esterne, casistiche, frequenza dei problemi, tassi di utilizzo, e via dicendo. «Sì, i clienti ne vogliono sapere di più, ma ce lo domandano chiedendo come possono migliorare la produttività. Abbiamo vari progetti pilota in corso. È un settore che si sviluppa molto rapidamente. Si può applicare a vari livelli: stiamo lavorando già al controllo delle macchine, ma anche a un utilizzo a un livello più alto per ottimizzare i processi, per esempio».














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