Il periodo nero della siderurgia italiana durerà ancora per molti mesi

di Marco de' Francesco ♦︎ Per risolvere il problema energetico occorrono i rigassificatori: non sono stati realizzati a causa di movimenti di protesta e lobby interne. Quanto alle carenza di ferroleghe, bisogna ricostituire filiere che facciano a meno di Russia e Ucraina. Soffriranno i settori più legati all’acciaio: automotive, elettrodomestico, costruzioni, cantieristica, packaging. Gli incentivi? Non sono la soluzione! Bisogna creare un ambiente trasparente per gli approvvigionamenti. Parla Carlo Mapelli

È destinato a durare mesi il periodo nero della siderurgia italiana, fiaccata non solo dai costi dell’energia e dalla carenza delle ferroleghe necessarie alla produzione di acciai speciali, ma anche dall’inevitabile calo della domanda: l’acciaio costa troppo e il mercato non è più ricettivo. Ad esempio, costruzioni e lavori pubblici attendono tempi migliori. Lo pensa Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano ed esperto di siderurgia. Peraltro, è consigliere designato di Acciaierie d’Italia, l’ex-Ilva ora costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia.

Quanti mesi? È questo il guaio: la tempistica dipende dalla capacità del sistema-Paese di reagire. Per risolvere il problema energetico occorrono i rigassificatori. Altre soluzioni (solare, eolico) sono parziali e insufficienti. Ma i rigassificatori non sono stati realizzati a causa dell’opposizione di alcune formazioni politichemovimenti di protesta sensibili alle pressioni di Paesi stranieri (facilmente individuabili) che non avevano interesse alla realizzazione, da parte dell’Italia, di queste infrastrutture. Hanno giocato a sfavore anche alcune lobby interne, che puntavano e puntano ancora su sistemi diversi. Si riuscirà a fare il bene del Paese, liberandosi dall’influenza di tutti costoro? Quanto alle ferroleghe, bisogna ricostituire delle filiere in grado di prescindere dal contributo di Russia e Ucraina. Altri Paesi produttori ci sono, ma sono lontani. Con loro, comunque, bisogna parlare.







Nel frattempo, soffriranno a cascata altri settori, che dell’acciaio non possono fare a meno: a parte il building, l’automotive, le costruzioni navali e altri. Tutto questo secondo Mapelli, che abbiamo intervistato.

 

D: Alle Acciaierie Venete (sede a Borgo Valsugana, Trento) la produzione è rimasta ferma dal 4 all’11 marzo. Abs (gruppo Danieli) di Cargnacco (Udine) ha sospeso il lavoro dell’8 marzo.  Importanti acciaierie a forno elettrico, come le Acciaierie di Verona (gruppo Pittini) e le bresciane Ori Martin e Feralpi procedono a “stop and go”. Verso l’una o le due del primo pomeriggio i gestori dell’energia rendono noto il costo dell’elettricità per il giorno successivo: sulla scorta di queste informazioni, si decide se e quale stabilimento attivare e a che ora. Cosa accade?

Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano

R: Ci sono due ordini di problemi, per la siderurgia italiana. Il primo è che con la guerra si è verificato un ulteriore rincaro dei costi energetici; giorni fa l’energia elettrica ha raggiunto nuovi record: 12 volte il valore di due anni fa. È un problema trasversale alla manifattura, ma nell’acciaieria la spesa energetica vale ormai il 15% del costo di produzione. A ciò si aggiungono l’irreperibilità e il rialzo dei prezzi delle materie prime: Russia e Ucraina erano esportatrici di bramme, billette, ghisa, preridotto, ferroleghe, rottame. Molto di questo materiale è fermo nei porti del Mar Nero. Tutto ciò ha peraltro limato i margini; anzi, talvolta li ha proprio azzerati. Il secondo ordine di problemi, molto serio, riguarda il fatto che il mercato non è più in grado di ricevere il prodotto, perché costa troppo. Questo è molto evidente nelle costruzioni, e soprattutto nei lavori pubblici, dove ci sono regole precise sugli appalti. Non è che l’appaltatore, che ha assunto l’obbligazione di compiere l’opera, può aumentarne il costo come gli pare. E questo è un freno importante per la domanda.

 

D: Secondo alcuni economisti, come Giulio Sapelli, lo stop alla fornitura russa di metano e petrolio ha accentuato fenomeni rialzisti già in corso, perché ha concentrato per l’Europa la quantificazione dei prezzi al mercato spot di Amsterdam, che si basa sui future ed è pertanto intrinsecamente speculativo.

R: Questo è vero, ma non per colpa del mercato spot: ultimamente alcuni grossi fondi hanno colto la palla al balzo per speculare. Era prevedibile. Storicamente, però, l’idea di riferirsi a questo mercato per la determinazione dei prezzi era ed è giusta: ha contribuito alla trasparenza delle contrattazioni e pertanto al contenimento dei costi. Nessuno, fino a poco tempo fa, si lamentava del mercato di Amsterdam. Il problema non è certo lì.

 

D: E allora dov’è il problema?

È destinato a durare mesi il periodo nero della siderurgia italiana, fiaccata non solo dai costi dell’energia e dalla carenza delle ferroleghe necessarie alla produzione di acciai speciali, ma anche dall’inevitabile calo della domanda: l’acciaio costa troppo e il mercato non è più ricettivo

R: È mancata completamente, in Europa, una programmazione per diversificare le fonti di approvvigionamento del metano e dell’energia in generale. Ci siamo attaccati al tubo o ai tubi russi, ed è per questo che il prezzo spot è schizzato. Negli Usa ad esempio non è accaduto in maniera così travolgente, perché lì c’è una grande differenziazione tra Dakota, Louisiana e Texas quanto a fonti: si pensi allo shale oil e allo shale gas. Quello che gli statunitensi hanno fatto sotto il profilo produttivo, noi potevamo farlo sotto quello del rifornimento. La soluzione più immediata, per l’Italia, erano i rigassificatori. Non è vero che questi il gas da rigassificatori costa di meno: costa di più perché vi sono tutti gli oneri di compressione e decompressione. Ma in caso di crisi, si evita il fenomeno dell’impazzimento dei prezzi, che per un Paese manifatturiero come l’Italia non è poco.

 

D: E perché i rigassificatori non sono stati realizzati?

R: Perché in Italia si è verificato un incrocio tra la posizione di alcune forze politiche e il tornaconto geo-politico di alcuni Paesi fornitori di gas, che avevano un interesse opposto alla diversificazione delle fonti da parte dell’Italia e alla realizzazione di apposite infrastrutture. Alcuni movimenti di protesta erano e sono, nel migliore dei casi, permeabili a certe “influenze” starniere. Si è seguita la convenienza altrui. Peraltro, l’impatto ambientale di un rigassificatore flottante è prossimo a zero; ma si consideri che quelli su terra potevano essere utilizzati anche dalle filiere del freddo, visto che il gas, per note leggi della fisica e della chimica, espandendosi si raffredda e di questo poteva e può beneficiare anche l’industria conserviera.

 

D: Quali lobby? Che peso hanno avuto nella vicenda dei rigassificatori?

Regasification plant al port di Sagunto, Spagna. Per risolvere il problema energetico occorrono i rigassificatori. Altre soluzioni (solare, eolico) sono parziali e insufficienti.

R: Si pensi al piano green di Enrico Bondi (dirigente d’azienda noto per aver risanato Montedison e Parmalat; Ndr) per l’Ilva di Taranto. In qualità di commissario straordinario (scelto dal governo Letta; Ndr) intendeva trasformare il ciclo dell’acciaieria dal carbon fossile al gas naturale. Se il progetto fosse stato realizzato (e avrebbe avuto un costo di tre miliardi, cifra assai minore dell’attuale impegno dello Stato; Ndr) le emissioni di idrocarburi policiclici sarebbero state azzerate, come quelle di diossina; quelle di anidride carbonica, di anidride solforosa e di ossido di azoto sarebbero calate fortemente. Bisognava produrre il preridotto (in forma analoga a quanto si realizza nell’impianto di produzione che si trova a Misurata, in Libia), aggiornare le competenze tecniche del personale e realizzare almeno un rigassificatore per mettere in sicurezza la fornitura. Purtroppo l’azione di alcune lobby con il coinvolgimento di alcuni concorrenti europei di Ilva non ha permesso che il piano di realizzasse e ottennero la rimozione di Enrico Bondi.

 

D: Facciamoli adesso, i rigassificatori.

R: Sì, ma non è più conveniente come prima: ora tutti, in Europa, vogliono fare i rigassificatori, ma questi necessitano di speciali navi da trasporto (le metaniere, navi da carico specializzate nel trasporto del gas naturale liquefatto) che i Paesi in questo momento si contendono. Aumenta la concorrenza, e quindi anche i costi del servizio. A prescindere da ciò, i rigassificatori restano una soluzione importante.

 

D: Se il problema dell’energia si risolve con i rigassificatori, come si supera quello della carenza di ferroleghe? Mancano il cromo, il molibdeno, il silicio, il titanio, il tungsteno, il nickel, il manganese, il vanadio, e il nichel.

Altoforno dell'Ilva di Taranto
Altoforno dell’ex-Ilva di Taranto

R: Dipende dalla materia prima siderurgica. Per la maggior parte di loro si può ricorrere alle riserve di certi Paesi come l’Australia, il Sudafrica, l’Algeria e il Brasile; ma ci vorranno diversi mesi per modificare le catene logistiche. Quanto al nichel, la questione è più complessa. Questo metallo è fondamentale per la realizzazione dell’acciaio inossidabile e per gli acciai ad alta tenacità; e, a parte la Russia, ci sono pochi Paesi produttori come le Filippine, l’Indonesia e il Canada legati soprattutto alle manifatture asiatiche.

 

D: Cosa comporterà per la manifattura il “periodo transitorio” della siderurgia?

R: L’acciaio è una materia prima necessaria a molti e diversi ambiti produttivi, come l’automotive, l’elettrodomestico, le costruzioni, i mezzi agricoli e movimento terra, la cantieristica navale, il packaging. Tutti questi settori hanno già i propri guai con la spesa per l’energia. Certamente il costo dell’acciaio e la diminuzione della produzione del metallo aggrava la loro posizione.

 

D: Pensa che occorra una politica di incentivi o di aiuti per la siderurgia?

Una colata di acciaio nello stabilimento Feralpi

R: Personalmente, io non credo alle logiche di incentivo. Bisogna creare un ambiente competitivo e trasparente per gli approvvigionamenti. In questo passaggio deve essere coinvolta anche la Difesa a livello europeo. Gli Usa sono una grande potenza navale che presidiano le rotte strategiche. Penso che dovrà farlo anche l’Unione europea.














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