Trasferimento tecnologico, formazione, progetti europei… Marco Taisch fa il punto sui primi due anni del Made, che ha finanziato oltre 140 progetti di digital transformation

di Barbara Weisz ♦︎ Il Competence Center Made 4.0 compie due anni all'insegna del salto in Europa, con nuovi progetti finanziati da Bruxelles e la leadership della rete di Edhi, digital innovation hub europei. I trend della digitalizzazione delle imprese del manifatturiero vedono progetti di reshoring (Polti), sostenibilità (Rhea Vendors Group), sicurezza sul lavoro (Vibram). Progetti di formazione per ben 27 mila ore. Un viaggio fra le tecnologie di Made, il bilancio e l'analisi di Marco Taisch

Sostenibilità, reshoring, safety, dati: sono elementi chiave per la trasformazione digitale delle imprese. Nelle sei aree tecnologiche di Made, il competence center 4.0, le tecnologie che abilitano questi trend si possono testare, confrontare, applicare, con un obiettivo specifico: adattarle alla propria azienda. Con soluzione il più possibile “su misura”, altro trend tecnologico al centro delle strategie 4.0. Il punto fondamentale è che ogni azienda è una storia a sé, quindi non esistono prodotti, macchinari o tecnologie che vanno bene per tutti, magari con qualche piccolo accorgimento. «Industria 4.0 non significa robot», spiega per esempio Marco Taisch, presidente di Made 4.0, e docente di sustainable and digital manufactoring e operations management. ma «tirar fuori il valore aggiunto dai dati».

Quindi, la prima cosa che un’impresa deve fare quando approccia la trasformazione digitale è cercare le forme di digitalizzazione più adatte per migliorare processo produttivo, organizzazione, prodotto, partendo proprio dai dati. Le tecnologie innanzitutto consentono di averne moltissimi, di dati, e in tempi fino a pochi anni fa nemmeno immaginabili. La quantità può essere un problema, troppi dati inutili non servono a molto. La soluzione è la selettività. Un esempio pratico: l’ottimizzazione topologica. È una metodologia produttiva che usa l’additive manufactoring per produrre pezzi utilizzando il materiale recuperando la massima efficienza. Come? Lasciando eventualmente spazi vuoti, all’interno di un oggetto, o lavorando sulle forme, in modo tale da utilizzare il materiale esclusivamente nelle parti dell’oggetto in cui serve. È una tecnica che si usa, ad esempio, nell’industria aerospaziale. Un altro esempio: il reverse engineering, un procedimento che consente di produrre pezzi partendo da un oggetto fisico utilizzando la stampa 3D, usando uno scanner 3D, che consente di progettare componenti che si adattano millimetricamente a una specifica forma. Un ambito di applicazione rilevante è quello biomedicale. In tutti questi procedimenti di usano diverse tecnologie, l’intelligenza artificiale può consentire di scartare immediatamente i pezzi che vengono male fotografandoli mentre passano sulla linea, i robot intervengono nelle fasi di assemblamento, trasporto in catena di montaggio, testing, e se sono cobot, quindi collaborativi, interagiscono con l’operatore. Si potrebbe continuare, ma il punto è che le tecnologie sono tante, possono essere più o meno costose, ma anche più o meno utili alle specifiche esigenze di un’azienda.







Ed è qui che intervengono i competence center, la cui mission fondamentale, fin dall’inizio, è il trasferimento tecnologico. Un obiettivo che passa non solo attraverso le tecnologie digitali, ma anche, per esempio, dalla formazione. Che, sottolinea ancora Taisch, resta l’area su cui anche il Piano Industria 4.0 dovrebbe essere maggiormente implementato. Abbiamo visitate il competence center Made 4.0 a due anni dalla sua nascita, cercando di fare il punto su eventuali criticità che sono emerse in questo primo periodo di esperienza sul campo e concentrandosi anche sugli sviluppi futuri. Che, lo diciamo subito, vedono il Made 4.0 capofila di una rete di 25 European digital innovation hub per lo sviluppo del manifatturiero, e fra i sette centri per che hanno ricevuto il finanziamento europeo per l’implementazione dell’intelligenza artificiale nelle piccole e medie imprese.

Made 4.0 e i progetti europei

A sinistra Marco Taisch, presidente di Made

Partiamo da questo sguardo sul futuro. In questi due anni, spiega Taisch, «ci siamo resi conto che possiamo fare molto di più rispetto all’intenzione iniziale, quando abbiamo concettualizzato i competence center, quindi orientamento, formazione, trasferimento tecnologico. Oggi noi produciamo contenuti di innovazione». Ci sono 24 progetti Ue nei quali Made 4.0 è coinvolta, che hanno l’obiettivo di innovare. E qui si inserisce la seconda novità: cominciamo a uscire dall’Italia in termini di attività. Riceveremo un finanziamento della Commissione europea come centro italiano per testare le tecnologie di intelligenza artificiale sul manifatturiero». Quindi, oltre alla soddisfazione per essere stati selezionati, «possiamo svolgere un nuovo servizio per il Paese». Made ha fatto anche un ulteriore passo avanti sul fronte europeo, nell’ambito degli European digital innovation hub (Edih), erogatori di servizi sulla trasformazione digitale. «Ci siamo detti: forse dovremmo guardare cosa fanno le altre Regioni comunitarie. E abbiamo creato una rete, che verrà lanciata il prossimo 25 gennaio. E la Lombardia è al centro di questa rete europea».

I risultati di due anni di Made 4.0

Nel frattempo, in questi due anni Made ha finanziato oltre 140 progetti di trasformazione digitale, che riguardano 130 aziende. Di questi, sono 56 quelli che hanno utilizzato il finanziamento pubblico, che coinvolgono 65 aziende, per un valore totale di 7 milioni di euro, utilizzando 3,35 milioni di finanziamento statale. Il 57% sono Pmi, l’80% sono del Nord e il 20% del Cetro Sud. Sul fronte della formazione, ha erogato 210 corsi a 4mila partecipanti, per un totale di 27mila ore di formazione che hanno coinvolto 1350 aziende. In questo caso, le Pmi sono il 31%, il 47% del Nord e il 53% del Centro Sud. Quest’ultimo è un dato positivo, perché dimostra il valore nazionale dei progetti di formazione del competence center. Anche «il 31 per cento di Pmi è un successo – sottolinea Taisch -, ma non è sufficiente, perché se consideriamo l’alto numero di imprese di piccola o media dimensione presenti in Italia sono ancora poche quelle che vengono da noi, o che si rivolgono agli altri competence center».

I progetti di trasformazione digitale del competence center Made 4.0

Qui si inserisce una considerazione importante. Uno dei fattori maggiormente critici emersi in questi due anni di attività, sottolinea il presidente di Made, è proprio «la risposta sulla formazione da parte delle imprese. Abbiamo fatto tantissimo, 26mila ore uomo di formazione non sono da sottovalutare. Ma mi aspettavo di vedere più imprese rivolgersi a noi per chiederci formazione. Su questo punto, c’è ancora un problema di sensibilizzazione». Ci sono stati fondamentali fattori di crisi del tutto imprevisti, a partire dal Covid, piuttosto che dalla necessità di recuperare pil dopo il 2020. Ma la formazione resta un fattore su cui lavorare. Anzi, secondo Taisch, è uno dei punti del Piano Industria 4.0 che bisognerebbe alimentare maggiormente. «Lavorerei in generale sull’aumento delle aliquote dei crediti d’imposta», sottolinea, che invece sono scese nel 2023 (in base al ridimensionamento contenuto nella manovra 2022). «Ma mi concentrerei in particolare sulla formazione. Abbiamo aiutato le imprese a comprare le macchine, ma è fondamentale insegnare loro ad usarle». Fra l’altro (visto che spesso e volentieri il problema sono le risorse che lo Stato ha a disposizione per finanziare la digitalizzazione), «incentivare la formazione costa molto meno che aiutare un’azienda, per esempio, con 1 milione di euro per comprare una macchina. Con la stessa cifra, 1 milione di euro, è possibile formare qualche migliaio di persone, con un impatto molto importante sul sistema paese».

Il competence center Made ha supportato l’implementazione di nuove tecnologie in varie aziende, fra cui Vibram ed Ero

Il trasferimento tecnologico e le tecnologie di Made 4.0

Uno strumento fondamentale che i competence center utilizzano per ingaggiare le imprese è rappresentato dall’attività delle associazioni imprenditoriali, per esempio la rete dei Dih, digital innovation hub. Ma ci sono anche attività proprie, ad esempio i webinar gratuiti, «che hanno lo scopo di incuriosire le imprese su quello che si può fare con le tecnologie digitali e su quello che può fare un competence center». Ma le iniziative che funzionano meglio sono le esperienze pratiche. «Quando le imprese vengono qui e insieme facciamo il tour del competence center, raccontiamo e mostriamo le le tecnologie, scatta la molla. Perché vendendole, toccandole con mano, cominciano a capire che stanno facendo qualcosa per il loro futuro».

E siamo a quello che, nella pratica, si può fare nel competence center. Ci sono sei aree, che simulano scenari di fabbrica:

  • All’interno del competence center è stato allestito un ambiente Cave per la realtà virtuale immersiva

    Virtual Design e sviluppo di prodotto: si usano Plm, product lifecycle management, per supportare la fase di progettazione, fare prime attività di testing, realizzare prototipi. E strumenti di realtà virtuale (c’è anche una stanza per la realtà virtuale, Cave automatic virtual environment), e di stampa 3D. Abbiamo sperimentato la progettazione di un componente critico per la refrigerazione di un frigorifero: attraverso l’utilizzo di una piattaforma Siemens, tutti i dati sono immediatamente e flessibilmente a disposizione delle risorse che lavorano al progetto, si immettono le modifiche e le richieste specifiche del cliente, si procede al disegno in 3D, con un determinato materiale, viene simulato il flusso dei gas di scarico, e validato. In base ai dati, è possibile modificare le geometrie mantenendo qualità e performance, e di conseguenza diminuire costi e tempi di produzione. La fase di testing consente alal fine di aver i dati reali di performance, e di confrontarli con quelli che erano alla base del progetto. Qui si utilizzano la realtà virtuale, che semplifica la visualizzazione dei valori, e la realtà aumentata. Oppure, si realizza un oggetto con una stampante 3D partendo da un oggetto fisico che viene analizzato da uno scanner. E’ una tecnologia utile per progettare un componente che si adatti in maniera molto precisa a un altro, molto usata in ambito medico, ad esmepio per un apparecchio dentale dentale.

  • Gemello digitale e virtual commissioning, produzione snella 4.0: questa area consente di simulare il processo sulla linea di produzione. I protagonisti sono i robot collaborativi (gli Agv, automated guided vechicle, di Comau, i Cobot di Kuka e di Fanuc), le stazioni di assemblaggio, dotate di software che indicano all’operatore le operazioni da compiere, riducendo la possibilità di errore: ad esempio, con alert luminosi che indicano quale oggetto prelevare per efffettuare un assemblaggio, e avvertono in caso di errori).
  • Logistica 4.0, Robotica collaborativa e Sistemi intelligenti di assistenza al lavoratore: questa è un’area in cui è coinvolto per esempio l’Inail, con diversi progetti per la sicurezza degli operatori che lavorano in fabbrica. Fra gli strumenti, l’esoscheletro Mate di Comau, che sostiene l’operatore nel mantenere la posizione corretta, a fronte di operazioni ripetitive, la realtà aumentata.
  • Qualità 4.0, tracciabilità di prodotto e additive manufacturing: anche qui c’è una vera e propria linea, sulla quale passano oggetti realizzati con stampanti 3D. È l’additive manufacturing, che abilita ad esempio l’ottimizzazione topologica di cui abbiamo parlato prima, o viene usato per la prototipazione rapida. Un altro collegamento con le esigenze legate alla sostenibilità: si può stampare in Italia, un oggetto basandosi su un disegno che arriva dall’altra parte del mondo. Sulla linea ci sono telecamere dotate di intelligenza artificiale, che fotografano gli oggetti che passano e li confrontano con immagini immesse manualmente da un operatore.
  • Monitoraggio e controllo smart dei processi industriali, Monitoraggio e controllo energetico smart, Manutenzione smart: in questa area viene simulata una fabbrica non nativa digitale, per così dire, ma in cui sono presenti macchine che sono state digitalizzate in un secondo momento (revamping). Ci sono strumentazione per effettuare analisi e monitoraggio dei consumi di energia, eliminare distorsioni, ridurre tensioni sulla rete. Anche qui, la tecnologie consente di unire il risparmio economico a quello energetico. E ci sono tecnologie per il controllo di processo.
  • Cyber-Security industriale e Big Data Analytics: qui ci si concentra per esempio su software che proteggono i dati aziendali (esigenza fondamentale per le imprese), anche a livello di impianti produttivi.

Casi pratici di trasferimento tecnologico

Agv di Comau all’interno del compterence center Smau

Made per fare tutto questo si avvale di una rete di 51 partner. Nella maggioranza dei casi sono fornitori di tecnologia e automazione industriale (fra gli altri, Siemens, Bosch, Ibm, Comau, Fanuc, Tesar, Sap, Alleantia, Italtel, Cisco), ma ci sono anche realtà del mondo industriale (Brembo), enti pubblici (Inail), enti di ricerca e formazione (Politecnico di Milano, Cefriel, Università di Pavia).

Fra i progetti di digitalizzazione più emblematici:

  • Polti: azienda comasca degli elettrodomestici, ha intrapreso un percorso di intera revisione della produzione in ottica lean. La particolarità della soluzione scelta, è rappresentata dla fatto che la robotica non è stata ritenuta la soluzione più adeguata. E’ stato praticato il cosiddetto metodo Kaizen, che si basa sulla filosofia di ottimizzare la linea sul fronte del benessere di lavoratori (ergonomia) e della riduzione di tutti gli sprechi (di materiali, di processo e via dicendo). L’eliminazione delle inefficienze del processo produttivo consente di abbassare i costi, ma anche aumentare efficienza e sostenibilità. L’obiettivo: riportare in Italia produzioni che attualmente si trovano in estremo oriente (come si diceva all’inizio, reshoring).
  • Vibram: l’azienda di Albizzate (Varese) produce gomma per calzature, siamo qui di fronte a un esempio di incontro fra tecnologie (dei materiali) e Made in Italy. Il processo di stampaggio a compressione delle suole in gomma è totalmente manuale, e richiede manodopera per le operazioni di caricamento del materiale, verifica del ciclo di stampaggio, qualità e scarico del prodotto. Il progetto attuato con Made riguarda la sicurezza sul lavoro. Qui si utilizzano i cobot, ovvero i robot collaborativi, per l’automazione delle fasi di carico e scarico, e sistemi di visione intelligente per analizzare i difetti delle suole di gomma. Risultato: riduzione dei rischi per l’operatore, interazione cognitiva tra robot e operatore, upskilling del lavoratore.
  • Rhea Vendors Group: produttore di distributori automatici (ma non solo), storica azienda familiare del Made in Italy, vocazione internazionale, ha implementato un progetto basato sul concetto di “Fabbrica digitale sostenibile”. Una sintesi fra tecnologie digitali, competenze strategiche dell’azienda, sostenibilità ed efficienza energetica, nell’ambito di una strategia di carbon neutrality. Risultati raggiunti: più competitività, consapevolezza interna (comunicazione fra funzioni) ed esterna (tecnologie e nuovi approcci).













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