Ma a che cosa serve davvero l’Innovation Manager col contributo statale?

di Marco de' Francesco ♦︎ Dal prossimo 27 settembre potranno essere presentate le domande per far parte dell'elenco degli Innovation Manager. Alcune aziende che li reclutano potranno accedere a un voucher tra i 20 e gli 80 mila euro. Ma davvero l'innovazione si può fare grazie a una figura esterna così? E comunque i suoi contorni sono molto generici. Tutto sembra finalizzato più a facilitare qualche assunzione che non a risolvere i problemi di un sistema imprenditoriale che innova ancora assai poco....

Dopo una lunga gestazione, la montagna rischia di partorire il topolino. L’innovation manager, consulente richiesto a gran voce da Confindustria per indirizzare aziende e reti di imprese sulla strada della trasformazione digitale, nasce come figura dai contorni imprecisati. Anzitutto, a leggere la Legge di Bilancio 2019 e le norme successive che ne hanno abbozzato il profilo, emerge un impianto più indirizzato a risolvere problemi occupazionali di giovani con competenze teoriche che a colmare il gap competitivo delle aziende. Possono iscriversi all’elenco degli innovation manager anche dottori di ricerca che non hanno mai messo piede in azienda; o ragazzi masterizzati che ci sono stati di passaggio, per un solo anno. Quanto alla consulenza, il ventaglio è troppo vasto: dai grandi temi – big data, cloud, e altro – a locuzioni generiche come “programmi di digital marketing” e di “open innovation”.

Il rischio è che le aziende si servano dell’attività dell’esperto per scopi eterogenei. Ma forse il punto vero è un altro: lo stimolo alla digital trasformation nasce all’interno dell’azienda per volontà del management, o proviene dall’esterno, da giganti industriali a capo di filiere evolute, come l’automotive o il Bianco; non certo da una figura terza inventata a tavolino. Infine, è improbabile che piccole imprese, così gelose dei propri segreti, si associno in rete per avvalersi dello stesso esperto. Insomma, per dirla con il docente di politica economica all’università di Genova Luca Beltrametti «l’obiettivo della legge è condivisibile, ma non è certo che l’impianto possa funzionare». Comunque l’innovation manager sta per debuttare. Tra il 27 settembre e il 25 ottobre potranno essere presentate le domande per iscriversi all’elenco. E dal 25 ottobre, con il completamento dell’elenco dei consulenti, le aziende potranno finalmente fruire del voucher per avvalersi delle loro competenze.







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Luca Beltrametti, economista e docente di politica economica all’università di Genova

Dieci mesi perduti

Un anno fa Confindustria aveva richiesto al governo l’istituzione del “temporary digital manager”; al tempo si chiamava così. L’idea era che le piccole aziende non disponessero delle risorse necessarie a retribuire uno specialista con skill avanzati, un esperto in digital transformation; pertanto, si pensava di dar vita ad una figura professionale che lavorasse on demand per più imprese, disposte a condividere la spesa. Il governo rispose introducendo, con la Legge di Bilancio 2019, l’innovation manager, consulente sia per reti di impresa che per singole aziende. Da allora al 25 ottobre, saranno passati 298 giorni. È un calcolo semplice, considerato che la data iniziale è il 31 dicembre 2018. Dieci mesi persi, in linea con una certa tradizione italiana. Il tempo perduto è il vero costo della burocrazia, che per perpetuarsi e rendersi indispensabile protrae di continuo l’assunzione degli atti e delle responsabilità. Per la precisione, il voucher per le aziende interessate ad avvalersi delle competenze dell’innovation manager (vedremo poi con quali modalità) era previsto dal comma 228, articolo 1, della Legge; che rimandava ad un decreto ministeriale per la normativa di dettaglio. Questo, che avrebbe dovuto essere licenziato entro il 30 marzo, è stato firmato dall’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio il 7 maggio. Dopo il consueto passaggio alla Corte dei Conti, il decreto ministeriale è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale del primo luglio; l’atto rimandava ad un decreto direttoriale la definizione dei termini per l’iscrizione all’elenco. Quest’ultimo atto è stato infine emanato dal direttore generale per gli incentivi alle imprese del Mise, Laura Aria, il 29 luglio; nel documento si precisa che le domande di iscrizione potranno essere consegnate dal 27 settembre al 25 ottobre. E dieci mesi sono passati.

L’allora Ministro del lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio (foto di Mattia Luigi Nappi)

Una agenzia del lavoro per dottori di ricerca?

All’apparenza, il modello definito dalla legge di Bilancio 2019 e norme successive sembra più indirizzato a risolvere problemi occupazionali di giovani con competenze teoriche che a colmare il gap competitivo di tante piccole aziende. Possono iscriversi all’elenco dei manager per l’innovazione persone già accreditate in analoghi elenchi istituiti da Unioncamere, da associazioni di rappresentanza dei manager o da associazioni di rappresentanza datoriali; o ancora dalle Regioni; ma possono farlo anche persone in possesso di un dottorato di ricerca in matematica o in informatica, in fisica o in chimica, in biologia o in ingegneria industriale o dell’informazione, e in economia e statistica. «Dal dottorato senza un giorno in fabbrica alla capacità di gestire la trasformazione digitale delle imprese, ce ne passa» – commenta Luca Beltrametti, economista, ordinario di Politica Economica a Genova. In effetti, senza un bel po’ di esperienza pratica, come può un biologo comprendere veramente e trasformare il modello di business? Non può, secondo Beltrametti. Possono poi iscriversi persone con un master universitario di secondo livello nelle stesse materia, a condizione che abbiano svolto incarichi in azienda relativi a tecnologie abilitanti. Per un anno. È un po’ pochino, per dirsi esperti. È il tempo che occorre per ambientarsi, per prendere un po’ di confidenza con le persone e con le cose. Si poteva richiedere di più. Ancora, possono presentare domanda di iscrizioni semplici laureati nelle materie indicate, ma con tre anni di esperienza, o persone senza laurea, ma con sette anni di incarichi in azienda negli ambiti di applicazione già descritti. Infine, possono presentare domanda di iscrizione all’elenco le società operanti nei settori della consulenza, i centri di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, i centri di competenza ad alta specializzazione e gli incubatori certificati di start-up innovative. Tutti questi soggetti sono tenuti ad indicare, entro la misura massima di dieci nominativi, i manager in possesso dei requisiti previsti dalla normativa.

I dati relativi a R&S in Italia. Fonte Istat

 

Una consulenza troppo varia

«Qui ci sta dentro tutto» – sbotta Beltrametti. E in effetti la norma, quando si tratta di indicare le tecnologie abilitanti oggetto di consulenza, snocciola un poderoso elenco, che va dalla prototipazione rapida alla cyber security, dai big data al cloud, fog e quantum computing, dalla robotica avanzata all’IoT, dalla realtà virtuale e aumentata all’interfaccia uomo-macchina e così via. Si citano peraltro gli assai più vaghi i concetti di “programmi di digital marketing, quali processi trasformativi e abilitanti per l’innovazione di tutti i processi di valorizzazione di marchi e segni distintivi (cosiddetto “branding”) e sviluppo commerciale verso mercati” e di “programmi di open innovation”. «Questa ampiezza contenutistica – afferms l’economista– rende più confusa e più incerta la missione dell’innovation manager, che sembra svolgere il lavoro del consulente individuale a favore di chi non può permettersi McKinsey. È tutto troppo generico». Certo, la norma dice che la consulenza è finalizzata anche alla sola applicazione di una o più delle tecnologie abilitanti elencate; ma è evidente che lo scopo dell’innovation manager non può essere quello di sviluppare programmi di branding. Non perché questo non possa essere ricompreso un progetto complessivo di trasformazione digitale; ma perché difficilmente un programma del genere può integrare da solo l’attività che l’innovation manager è chiamato a compiere.  Si indicano tante missioni, forse troppe; e alcune delle quali, considerate isolatamente, non sono destinate a modificare i destini delle imprese. E poi, la vaghezza di alcune definizioni non chiude la porta al rischio di inserire in azienda degli “infiltrati”. Forse sono quelle circostanze in cui il legislatore si trova di fronte ad un dilemma: con l’eccessiva precisione nella definizione delle materie, si rischia di escludere qualcuno; quando si è troppo generici, però, si corre il rischio di perdere di vista gli obiettivi.

I vantaggi che porta la figura dell’Innovation Manager. Fonte Mise

 

Opinioni diverse sul ruolo che l’innovation manager potrebbe ricoprire: ingegnere di interfaccia o collante tra tecnologia e business?

Ma poi, cosa dovrebbe fare l’innovation manager? Secondo l’economista industriale Riccardo Gallo, allo stato più che di un responsabile del progetto di innovazione, le aziende hanno bisogno di un “ingegnere di interfaccia”. Perché oggi potenzialmente «ogni processo produttivo viene positivamente contaminato dalla disponibilità di big data, informazioni di rilievo derivanti dalla sensoristica installata a bordo macchina; sono questi dati a consentire le innovazioni. Solo che gli informatici non li sanno decifrare, e gli ingegneri di processo non li sanno leggere. Dunque c’è un’esplosione di informazione la cui elaborazione consentirebbe grandi avanzamenti; ma che poi non si verificano perché le aziende non sono in grado di interfacciare dati e processi produttivi». La pensa diversamente un noto consulente di strategie che non desidera essere citato. L’innovation manager, dice, può rivestire un ruolo utile, qualora non rimanga isolato in una visione esclusivamente tecnologica o in una di business. Deve essere legato in via paritetica ai due mondi. Questo perché in quanto «divulgatore di una cultura di contaminazione e di apertura al cambiamento», deve porsi come il «garante di un approccio metodologico che consenta una forte focalizzazione su elementi di interesse, ma senza tralasciare l’apertura a mondi confinanti, che possono creare valore».

Chi può richiedere la figura dell’Innovation Manager? Fonte Mise

 

Un budget ridotto

L’agevolazione è costituita da un voucher concedibile in regime “de minimis” (lo Stato e le altre amministrazioni pubbliche possono erogare aiuti alle imprese solo nel limite di determinati massimali, per non violare le norme europee). Secondo la norma, il contributo massimo concedibile varia in funzione della tipologia di beneficiario: per le micro e piccole aziende, è pari al 50% dei costi sostenuti fino ad un massimo di 40mila euro; per le medie, è pari al 30% dei costi sostenuti fino ad un massimo di 25mila euro; per le reti di imprese, è pari al 50% dei costi sostenuti fino ad un massimo di 80mila euro. Senonché il Mise chiarisce che «la dotazione finanziaria stanziata per l’attuazione dell’intervento è pari a 75 milioni di euro ripartita per ciascuna delle annualità 2019, 2020, e 2021». E dal momento che in Italia ci sono più di 5 milioni di piccole aziende, è abbastanza evidente che l’agevolazione potrà riguardare solo una piccola parte del tessuto industriale italiano.

 

Lo stimolo alla trasformazione digitale può essere interno od esterno, ma non proviene dall’innovation manager

Ma forse la questione più importante è un’altra: aziende che non hanno intrapreso il percorso di trasformazione digitale, lo faranno a seguito dell’introduzione della figura dell’innovation manager? Beltrametti ha dei dubbi: «Alla fine, il processo di maturazione verso il 4.0 nasce all’interno di una azienda. Ci deve essere uno stimolo forte da parte del management, che va accolto senza riserve dai quadri e dai dipendenti in generale. Eventualmente, l’innovation manager può aiutare; ma deve trattarsi di una persona in grado di penetrare i segreti dell’azienda dall’interno, perché deve capire il modello di business per trasformarlo. Se ciò non accade, non ci sarà nessun cambiamento; e quella dell’innovation manager si trasformerà in una storiella banale». Insomma, è difficile che l’innovation manager funzioni. Beltrametti fa un esempio: «Non è come nel porto di Genova, dove il capitano della nave chiama un pilota esterno per attraccare: non funziona così». In realtà gli stimoli forti vengono dall’esterno: le aziende italiane che si sono attivate, lo hanno fatto soprattutto in quanto parte di filiere internazionali dove la digital trasformation era richiesta, come quelle dell’automotive o del Bianco. Comunque sia, che lo stimolo sia interno o esterno all’azienda, di certo non proviene dall’innovation manager.

Le spese ammissibili. Fonte Mise

 

Le reti di impresa: può l’innovation manager costituire un motivo sufficiente perché le aziende si mettano insieme?

Come si è visto, la norma concede agevolazioni alle reti di impresa. Per Beltrametti «è un’idea affascinante, quella che le imprese si mettano insieme per usufruire dell’innovation manager, ma non sono certo che si tradurrà in realtà». Ciò perché in questi casi le aziende «hanno una vita a sé, con servizi e processi che non sono standard». E poi le piccole imprese italiane sono famose per la gelosia con la quale custodiscono i propri segreti. Molte sono nate in un contesto familiare: l’azienda è interpretata come una missione che accompagna la discendenza. La mancata managerializzazione è stata la causa di molte sventure nei passaggi generazionali; difficile che una figura inventata dalla legge possa incidere su una mentalità radicata in profondità.

 

Che cosa dice la legge
Tutto nasce con il comma 228, articolo 1, della Legge di Bilancio 2019, presentata il 31 dicembre dell’anno scorso. Si legge che per i due periodi di imposta successivi è attribuito alle micro e piccole imprese, un contributo a fondo perduto sotto forma di voucher, «per l’acquisto di prestazioni consulenziali di natura specialistica finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano nazionale impresa 4.0 e di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali». Un contributo riconosciuto in misura pari al 50% dei costi sostenuti, entro il limite massimo di 40mila euro. Per le medie imprese, la percentuale massima è del 30% con un tetto di 30mila euro. Per le reti, la percentuale è il 50% mentre il tetto è di 80mila euro. Secondo la norma, entro 90 giorni  avrebbe dovuto essere adottato l’elenco dei manager istituito con apposito decreto ministeriale, che avrebbe dovuto anche chiarire criteri e modalità di erogazione dei contributi.  Il decreto viene siglato dall’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio il  7 maggio e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il primo luglio.  L’atto individua le tecnologie oggetto di consulenza. Queste sono: big data e analisi dei dati; cloud, fog e quantum computing; cyber security; integrazione delle tecnologie della Next Production Revolution (NPR) nei processi aziendali, anche e con particolare riguardo alle produzioni di natura tradizionale; simulazione e sistemi cyber-fisici; prototipazione rapida; sistemi di visualizzazione, realtà virtuale (RV) e realtà aumentata (RA); robotica avanzata e collaborativa; interfaccia uomo-macchina; manifattura additiva e stampa tridimensionale; internet delle cose e delle macchine; integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali; programmi di digital marketing, quali processi trasformativi e abilitanti per l’innovazione di tutti i processi di valorizzazione di marchi e segni distintivi (c.d. “branding”) e sviluppo commerciale verso mercati; programmi di open innovation.  Definisce anche i criteri soggettivi per la presentazione delle domande di iscrizione. L ’atto rimanda ad un decreto direttoriale la definizione dei termini per l’iscrizione all’elenco. Quest’ultimo atto viene infine emanato dal direttore generale per gli incentivi alle imprese del Mise, Laura Aria, il 29 luglio; nel documento si precisa che le domande di iscrizione potranno essere consegnate dal 27 settembre al 25 ottobre. I richiedenti sono tenuti a presentare la domanda secondo lo schema predisposto dal Ministero in più allegati.













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