Le parole di Gualtieri: finalmente una visione di politica industriale e un progetto di sviluppo!

di Filippo Astone ♦︎ L'intervista del ministro dell'Economia a Repubblica sottolinea il ruolo dello Stato nei processi di modernizzazione, come già da tempo avviene negli Stati Uniti, in Germania e in Francia. E delinea ciò che occorre per fronteggiare una fase nuova, caratterizzata dall'innovazione continua, dalle tecnologie dirompenti e dalla sostenibilità ambientale e sociale. Emerge anche un nuovo approccio di Sinistra. Solo parole o anche vere politiche? Lo si capirà nei prossimi mesi

Il ministro dell'economia Roberto Gualtieri. Foto credits Di Arno Mikkor (EU2017EE) - Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=81873858

Un programma di Governo potenzialmente efficace e che finalmente contiene una visione ben definita del futuro dell’economia e della società in Italia. Con grande attenzione all’industria, che è ciò che rende possibile non solo la ricchezza e il progresso, ma anche l’esistenza stessa della società italiana. Ma anche un nuovo pensiero per una sinistra italiana ed europea finalmente moderna e capace di lasciare il segno. Stiamo parlando dell’intervista rilasciata lo scorso 24 dicembre dal Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a Francesco Manacorda e Carlo Petrini di Repubblica (Gualtieri “Basta tabù, lo stato azionista fa bene anche al mercato”, pagg. 2 e 3 del quotidiano diretto da Carlo Verdelli). «La logica di mercato e l’intervento dello Stato possono coesistere perfettamente, proprio perché esistono i fallimenti di mercato nei quali lo Stato non solo può, ma deve intervenire», ha esordito il ministro.

L’intervista ha suscitato grande attenzione soprattutto per la rottura del dogma neoliberista secondo il quale allo Stato spetterebbe solo la determinazione delle regole, e la sua presenza nell’economia sarebbe inversamente proporzionale alla creazione di ricchezza. Un dogma che in Italia ha prodotto conseguenze rovinose e che si scontra con l’evidenza dei fatti, ma che è talmente forte da essere ancora assai radicato. Contrastarlo sarebbe già molto, ma l’intervento di Gualtieri va ben oltre. Resta da vedere se queste parole riusciranno a trasformarsi in politiche industriali reali e incisive. Ma ciò dipende dalla tenuta dell’esecutivo e da una serie di condizioni che sono al di fuori del controllo di Gualtieri e di coloro che lo hanno voluto in quel ruolo.







 

Stato e mercato possono coesistere. Le uniche grandi industrie rimaste sono quelle dove lo Stato è socio forte: Eni, Enel, Leonardo

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L’ ad Eni Claudio Descalzi

«Stato e mercato possono coesistere proprio per far funzionare meglio il mercato, e d’altronde è quello che avviene in tutti i grandi Paesi avanzati. Non vogliamo sussidiare inefficienze ma, quando è necessario, promuovere gli investimenti e l’innovazione nei settori strategici. Da questo punto di vista la formula dell’azionariato misto pubblico-privato ha dato buona prova di sé anche nel contesto delle privatizzazioni. Le più importanti multinazionali italiane sono ancora oggi società a partecipazione pubblica». Le parole di Gualtieri non sono solo opinioni, ma soprattutto fatti. Come abbiamo ricordato più volte su Industria Italiana, negli ultimi 20 anni il Grande capitalismo famigliare italiano si è dissolto, soprattutto per l’incapacità e la protervia dei suoi esponenti, mai contrastati da una politica troppo debole. Fca ormai in Italia è poca cosa ed è stata venduta ai francesi di Psa. Pirelli prima ha ceduto i cavi (oggi Prysmian) e poi è stata venduta ai cinesi. Il gruppo De Benedetti si è dissolto e ormai non controlla nemmeno più Repubblica. Italcementi è stata venduta ai tedeschi di Heidelberg. I grandi marchi del bianco (Merloni e Candy, ma non solo) sono oggi periferie di industrie straniere. E chi più ne sa più ne canti. Che cosa resta di solido e grande? Eni, Enel, Leonardo: tutte aziende che, per fortuna, hanno ancora lo Stato come azionista di riferimento. Autostrade e Telecom Italia, i due casi in cui lo Stato è uscito completamente dall’azionariato, hanno prodotto aziende fragili e spolpate dai “privati” che si sono avvicendati nel loro capitale. E la scarsità di grandi aziende private è, oggi, una delle maggiori cause dell’impoverimento e dell’arretratezza nazionale. Inoltre, Gualtieri ha aggiunto: «Non faremo privatizzazioni per fare cassa, anche perché le partecipate non sono solo strategiche, ma danno anche ottimi dividendi al bilancio pubblico».

 

Ci vogliono politiche industriali: finalmente qualcuno che lo dice! E la sottolineatura di una fase nuova, caratterizzata dall’innovazione continua, delle tecnologie dirompenti e della sostenibilità ambientale e sociale

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Alessandro Profumo, ad Leonardo

«Servono senza dubbio politiche industriali per favorire lo sviluppo del Paese. Sarebbe improprio considerare lo Stato come quello che si accolla le perdite quando un’impresa non può stre in piedi per ragioni strutturali, ma è altrettanto datato un pensiero che affida allo Stato solo la funzione di fare le regole. Siamo invece in una fase nuova – a livello non solo italiano, ma europeo e globale – con sfide mai viste prima: quella dell’innovazione continua, delle tecnologie dirompenti e della sostenibilità ambientale e sociale. E proprio per far fronte a queste sfide, in sintonia con quanto sta facendo anche la nuova Commissione europea, serve un nuovo modello di politica industriale che veda il concorso delle politiche pubbliche e degli attori privati». L’assenza di politiche industriali ispirate da una visione del futuro dell’Italia è stata una tragedia per la nostra società. Per oltre 30 anni abbiamo avuto una classe dirigente che non ha voluto dotare il Paese di adeguate politiche industriali. In parte per incapacità e carenza di cultura e in parte per la convinzione che coincidessero con lo statalismo, la corruzione, i sussidi e l’inefficienza. Ci fu addirittura un ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, che disse esplicitamente che la politica industriale era roba da comunisti. Negli stessi anni la Germania, e più tardi gli Stati Uniti di Barack Obama, raggiunsero il successo economico e la piena occupazione proprio in virtù di politiche industriali moderne. Politiche industriali nelle quali lo Stato, oltre a intervenire nelle crisi (come fece Obama nel caso dell’industria automobilistica), favorisce l’innovazione attraverso il finanziamento di istituti di ricerca (soprattutto, ma non solo, in ambito universitario) e l’investimento di “capitali pazienti”. Sarà finalmente la volta buona anche da parte dell’Italia?

 

Il profilo di una moderna sinistra europea di Governo

«Stiamo voltando pagine e stiamo cercando di aprire a una nuova stagione. Vogliamo concorrere a definire il profilo di una moderna sinistra europea di governo. Non a caso parliamo di “Green New Deal”, di nuovi modelli di politiche pubbliche in mercati basati sulla concorrenza e di un tema dimenticato negli anni Novanta come la questione meridionale. Il riformismo degli anni Venti di questo secolo deve avere al centro la sfida della sostenibilità ambientale, della coesione sociale, dell’innovazione tecnologica, della centralità della persona e deve costruire una nuova alleanza che coinvolga il mondo del lavoro, dell’impresa, le forze intellettuali e civili per ascoltare la società e i suoi fermenti e unire il Paese in una visione condivisa del futuro. Tutto ciò richiede grande impegno, ma anche quella sobrietà nell’esercizio dell’azione di governo cui ci ha giustamente richiamato il presidente Conte»

 

Le caratteristiche dell’intervento nell’Ilva

Il peresidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

«Interverremo in un settore strategico per l’industria italiana come la produzione di acciaio per favorire una transizione ambientale ed energetica che renda l’Ilva un polo di eccellenza nel quadro del “Green New Deal europeo” con alti livelli produttivi ed occupazionali e minore impatto ambientale. Se il negoziato andrà a buon fine, il nostro intervento sarà limitato: Mittal ci anticiperà tutti i canoni di affitto dell’impianto che avrebbe dovuto pagare in futuro e noi trasformeremo questo credito in azioni della nuova Ilva, che resterà una grande azienda privata incardinata in un grande gruppo internazionale»














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