Le difficoltà di Ikea nella digitalizzazione analizzate al Lef

Non mission ma purpose aziendale, concetto molto più profondo del precedente che, seppur astratto, almeno in apparenza, è invece strettamente legato al business: se ne è parlato in Lef agli Operation Talks, appuntamento trimestrale su un topic verticale specifico con una visione strategica, un contenuto tecnico e casi applicativi che rappresentano un faro guida per molte altre realtà. Vi sono aspetti più impalpabili, come quelli declinati da Raffaella Bossi Fornarini, founder passport e adjunct professor al Politecnico di Milano – secondo la quale il purpose scopre e definisce ciò che l’azienda farà parlando essenzialmente alla sfera più emozionale delle persone – ed altri molto più terreni che nel recente passato si sono legati a fatti di rilevanza planetaria come il Covid e che Jason Cox, country leadership & competence leader di Ikea, ha molto ben tratteggiato.

«Le difficoltà nell’operare lo switch tra analogico e digitale connesse al purpose – ha detto – sono state molteplici, un doppio salto mortale perché eravamo estremamente legati a modelli storici del nostro business; smantellare parte di ciò che aveva sempre portato bene non è stato facile. Perché – ha detto – il nostro purpose deriva dai valori che il nostro fondatore ci ha trasmesso e che cerchiamo di mantenere sempre al centro di ogni decisione. Ciò fa emergere la coerenza, determina la fiducia in ciò che dice o fa l’azienda al di là del marketing o della comunicazione. Su questi valori abbiamo costruito, nei decenni, l’idea dei nostri negozi, il cosiddetto day-out delle famiglie che, nel punto vendita, trascorrono alcune ore. Ricordo – ha raccontato – il giorno in cui è stato annunciato il lockdown e il collega che di lì a poco avrebbe iniziato la sua esperienza in Ikea come sales manager… col negozio chiuso… la perfetta metafora di quel che ci è accaduto, legatissimi com’eravamo e come siamo al concetto di punto vendita fisico, di cash and carry. E come creare allora una vita migliore per le persone – il purpose storico – in canali fino ad allora accessori come l’e-commerce? Sono state trasferite risorse e attenzione sulla customer experience digitale con una nuova tipologia di comunicazione, di ambiente e di affermazioni; abbiamo esplorato a fondo le soluzioni indispensabili per ridurre la distanza che poteva essersi creata dai clienti, sempre più desiderosi di servizi. Dalle nuove idee – ha spiegato ancora Cox – sono scaturite anche nuove professioni, come quella del montaggio di mobili direttamente a casa a un prezzo contenuto. O dell’organizer incaricato di rimettere a posto luoghi tradizionalmente disordinati (cantina e garage, soprattutto), un servizio in videochiamata che suggerisce le migliori soluzioni anche tramite l’utilizzo di mobili vecchi».







«Le culture company possono assolvere anche a un ruolo strategico e di difesa territoriale – dice Marco Olivotto, direttore generale della Lef – ossia di attrattore là dove quest’esigenza è realmente avvertita, sia dalle grandi sia dalle piccole e medie imprese se è vero – aggiunge – che i giovani scelgono piazze con infrastrutture e maggiore creatività, una tendenza che, secondo i dati di Fondazione Nordest, colloca il Fvg al sessantanovesimo posto in Europa per indice di attrattività. Cambiare il sistema operativo di un’azienda, infatti, è un processo che implica anche dell’estro e menti inclini alle metamorfosi, non è solo questione legata alla tecnologia ma anche alla capacità di saper comunicare valori e passione». Agli Operation Talks anche le testimonianze di Lorenzo Ava di Lef, che ha citato gli esempi di Lego – propone creatività ai più piccoli – di Tesla – vende il futuro, non auto – e di Apple, Sara Berruti e Massimiliano Allegra (Adecco Italia) e di Giulia Comper della Cooperazione Trentina.














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