I dati sono il nuovo petrolio, ma non per tutti

di Piero Macri ♦ Data economy, modelli di business e competenze digitali. Il percorso delle imprese verso il 4.0 è  connesso al controllo e alla gestione dei dati. Il Gdpr ? Un passo avanti o uno indietro? Le riflessioni di alcune personalità di spicco di importanti aziende che operano in Italia a margine di un evento in Assolombarda, tra cui Stefano Venturi. Il punto di vista di Eni Gas & Luce, Rai, Corriere della Sera, Bpm e Pirelli.

La crescita esplosiva di dati eterogenei in virtù dell’affermazione di una società iperconnessa, dove un numero esponenziale di oggetti e persone diventa parte integrante di una rete globale, sta contribuendo alla creazione di un’economia digitale. Le internet companies sono oggi a tutti gli effetti delle data companies, e identificano un modo di operare ed essere sul mercato del tutto diverso dal passato. Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google – ovvero il cartello noto con l’acronimo FAANG – sono tra le società con il più alto valore di capitalizzazione al mondo. Nuovi soggetti, player e operatori si affacciano sul mercato mettendo in difficoltà la presenza di imprese incumbent in ogni settore di industry.

 







La presentazione del volume “Big Data: privacy, gestione, tutele”, in Assolombarda

 

E’ un cambiamento epocale, una rivoluzione, che presenta al suo interno non poche contraddizioni, che riguardano in particolare, la materia prima della rivoluzione 4.0, ovvero i dati, tema nei confronti del quale i governi e la politica si trovano a interpretare un ruolo subalterno, non riuscendo a definire in modo esaustivo una governance sostenibile della dimensione economica che si è andata imponendo. Sono questi gli argomenti che sono stati al centro del dibattito che avuto luogo presso Assolombarda in occasione della presentazione del volume “Big Data: privacy, gestione, tutele” realizzato per iniziativa dello studio legale Mondini Rusconi e pubblicato da Altalex. Presenti personalità di spicco di importanti aziende, tra queste Eni Gas & Luce, Rai, Corriere della Sera, Bpm e Pirelli.

 

Mark Zuckerberg, ceo Facebook (foto di Anthony Quintano)

 

Idee e modelli di business

Come ampiamente evidenziato dalle riflessioni di coloro che si sono confrontati nel corso della tavola rotonda, il problema vero della data economy non è tanto il fattore tecnologico: implementare un modello che possa essere coerente ed efficiente da un punto di vista informatico è sì complesso, ma del tutto fattibile. Il problema sono le idee, la capacità di misurarsi con uno scenario del tutto diverso dal passato, una condizione che necessita di cambiamenti organizzativi e di visione che dia luogo a una rappresentazione di un modello data economy sostenibile. Gli incumbent, nel mondo finance, nell’editoria e nell’industra, sono esposti a vulnerabilità senza precedenti. Nuovi soggetti che disintermediano il business di riferimento, iniziano ad esercitare una concorrenza temibile, sottraendo progressivamente quote di mercato. Saper gestire il cambiamento diventa la priorità delle priorità.

 

Venturi: una questione culturale

Per Stefano Venturi – ceo Hpe Italia presente all’evento nel ruolo di vice presidente attrazione investimenti e competitività territoriale di Assolombarda – la questione di fondo per riuscire a impostare e definire un modello di business coerente con la data economy, è soprattutto culturale. «Servono una mindset e un atteggiamento culturale radicalmente diversi dal passato per potere confrontarsi con i cambiamenti che abbiamo di fronte. La rivoluzione, nonostante generi tensioni e paure, è foriera di opportunità riferibili a una data driven society, un’economia dei dati, dove la governance di questi ultimi diventa la premessa irrinunciabile per una rinnovata efficienza e competitività».

«Nella condizione attuale serve avere la capacità di affrontare la realtà con un approccio di pensiero laterale, ovvero affrontare le questioni da prospettive diverse», aggiunge Venturi. Alle persone si richiedono sempre più capacità di problem solving, una forma mentis analitica, caratteristiche che vengono individuate nelle persone che riescono a incrociare competenze diverse. L’interdisciplinarietà è un tema ricorrente nella tavola rotonda. Venturi li chiama superpoteri, vale a dire saper interpretare il presente con una disponibilità al nuovo, senza costrutti mentali pregressi. «In un’epoca di grandi transizioni e grandi opportunità, è questo che serve».

 

Stefano Venturi, vice president e amministratore-delegato del gruppo Hewlett Packard Enterprise Italia: “Servono una mindset e un atteggiamento culturale radicalmente diversi dal passato”
Torniai: largo alle professioni “liquide”

«La trasformazione digitale delle imprese non può avvenire senza che vi sia una trasformazione culturale in azienda. E’ un occasione per un cambio di business e di cultura, una cultura orientata al dato». E’ quanto afferma Carlo Torniai, ex Tesla, ora direttore dello sviluppo di prodotti digitali in Pirelli. «I profili professionali classici tendono a perdere i confini. Siamo in un mondo liquido dove liquida è anche la professione che si deve nutrire di conoscenze eterogenee. Serve cultura interdisciplinare che coniughi scienza e umanesimo. Lo studio del Greco e Latino ha per me rappresentato un’occasione per formare uno spirito critico. E’ un peccato che venga abbandonato. Serve un approccio critico sistemico che sappia cogliere la complessità ed eterogeneità delle sfide. Data driven? Le domande non si devono porre al dato, è il dato che solleva di per sé delle domande».

Data Economy e Gdpr

«Siamo stati protagonisti della più drammatica discontinuità di mercato», dice Daniele Manca, vicedirettore del Corriere della Sera. «Ci troviamo oggi di fronte a forze contro le quali poco si può fare». Manca auspica l’indipendenza dal predominio della tecnologia USA, la possibilità di non essere legati incondizionatamente al diktat delle internet companies. «L’Europa ha multato Google per violazione regole di mercato per una cifra superiore ai 6 miliardi. Sapete cosa sono per Google quelle multe? Un semplice e banale costo operativo». Come mettere freno a tutto questo? E’ auspicabile un intervento dell’antitrust, come già successo in passato per altri conglomerati d’impresa Usa, vedi AT&T. Nel corso di questi ultimi dieci anni in Italia è mancato la consapevolezza della trasformazione e la portata del cambiamento introdotto dalla data economy. Disponibilità di dati, know how, certo, ma è venuta meno la capacità di implementare con efficienza l’algoritmo di business risolutivo.

«Le società che vogliono crescere devono fare leva su modelli di business innovativi basati sulla disponibilità dei dati», commenta Venturi. «Molte delle applicazioni e servizi che oggi utilizziamo nella vita quotidiana e nella dimensione lavorativa sono stati creati grazie all’accesso a big data». Da un punto di vista tecnologico significa la possibilità di esporre i propri dati verso l’esterno, API Application Programming Interface, ovvero connettori che aprono e chiudono varchi di accesso a informazioni. È la stessa logica che sovrintende il modello blockchain, se vogliamo. Non mancano fatti che contribuiscono all’accelerazione della digitalizzazione. «Poter accedere a infrastruttura e soluzioni che abiltano dal punto di vista tecnologico l’impianto informatico, al fine di digitalizzare interi processi di industry, comporta un investimento di un ordine di grandezza di gran lunga inferiore al passato e alla portata di molte aziende. Al contrario di ciò che succedeva nell’era pre-digitale, anche le Pmi possono utilizzare risorse che una volta erano appannaggio delle sole grandi aziende. Grazie al cloud la barriera di accesso è venuta andando in qualche a democratizzare l’utilizzo informatico».

 

Logo GDPR

 

 

La questione del trattamento dei dati ha assunto una rilevanza globale che travalica il perimetro delle singole nazioni. Eppure, nonostante la criticità del fenomeno, non si è ancora definito un codice univoco di regolamentazione analogo a quelli che interessano la circolazione di merci e persone: così come esistono trattati che stabiliscono le regole dei flussi di questi ultimi, così dovrebbe esistere un’attenzione verso i dati che viaggiano da una parte all’altra del mondo. Idealmente, affinché la materia prima su cui si fonda il paradigma big data possa creare ricchezza, si dovrebbe puntare a una libera circolazione dei dati, merci e persone, poichè è la natura dei mercati a richiederlo. Al di là delle guerra sui dazi inaugurata dal nuovo establishment Usa e al di là della della crescente spinta protezionistica/nazionalista che si va evidenziando in Europa, questo è il mondo con cui abbiamo e avremo a che fare. Una dimensione di mercato che nonostante gli evidenti rischi che può presentare, determina opportunità uniche e irrepetibili. Chi non riuscirà a essere parte attiva di questo cambiamento è verosimilmente destinato ad avere una presenza marginale.

Su questo scenario si fronteggiano due punti di vista fortemente diversi, quello di derivazione anglosassone, e quello europeo, più liberista il primo, più conservativo il secondo, o se vogliamo più flessibile il primo e più permessivo il secondo. Al centro dello scontro il trattamento dei dati. Due modelli che mettono in primo piano, da una parte lo sviluppo del business e dall’altra la salvaguardia della privacy dei cittadini. C’è da chiedersi se il nuovo regolamento sulla protezione dei dati (Gdpr) – carta fondante europea in merito alla data economy – sia la risposta più corretta per una governance sostenibile o possa invece rivelarsi un freno alle positive dinamiche economiche e di lavoro riferibili a un uso meno vincolante dei dati.

Regolamentazione nemica dello sviluppo?

Pietro Galizzi, avvocato in forza Eni Gas & Luce, dove ricopre la responsabilità di Head Regulatory Affair – solleva perplessità sull’attuale regolamentazione dati. Nove milioni di utenti, una riserva di di dati incredibile, ma vincoli normativi e burocrazia digitale giocano contro e non consentono di valorizzare al meglio il patrimonio di informazioni diponibile.«I dati servono per migliorare i servizi da noi erogati».

Il Data Protection Officer di Rai, Pietro Grignani, insiste sul fatto che il Gdpr è un work in progress, «un importante punto di partenza per andare a gestire con grande accuratezza la questione della protezione dei dati, E’ un processo e come tale deve essere inteso, una base su cui costruire regole coerenti con le esigenze delle persone e dei mercati. Il Gdpr rappresenta un esempio virtuoso e un baluardo contro la liberalizzazione selvaggia dei dati. Per fortuna – dice – siamo in Europa».

Per Massimilano Lovati, Responsabile Consulenza Legale di Bpm, la banca è un’azienda tecnologica che eroga servizi basati sui dati, una data company per definizione. «Ma se questa è la nostra funzione dovremmo riuscire ad avere un sistema che, pur nel rispetto delle regole, consenta di sfruttare i dati in modo più esteso. Giusto tutelare i più deboli, ma allo stesso tempo si deve avere la consapevolezza che siamo in una data economy e i dati sono una leva per lo sviluppo complessivo della sistema paese. Si paragonano i dati al petrolio. Non sono d’accordo, a differenza di altre materie prime, i dati non sono a rischio di scomparsa, sono destinati solo ad aumentare. La contraddizone di questa economia è che è fondata su un qualcosa che è facilmente reperibile, ma non lavorabile. Il problema non si pone tra regolamentazione o far west, ma nel configurare un sistema di trattamento dati responsabile».

Messa a dura prova la capacità di adattamento delle imprese

Da quanto appena descritto e da quanto emerso dal confronto con personalità delle aziende che hanno partecipato alla tavola rotonda in Assolombarda appare chiaro come la crescita non possa mai essere una costante lineare. La dinamica dei mercati è alternarsi di picchi e flessioni che mettono a dura prova la capacità di adattamento delle imprese. Chi riesce a navigare indenne tra alte e basse maree è in grado di assicurare la propria sostenibilità; chi al contrario si dimostra incapace di governare la propria imbarcazione o flotta in mare aperto è destinato al naufragio. L’importante è che qualcuno sappia soccorrerle e riportarle in luoghi sicuri. Nulla di più vero se guardiamo a quanto sta accadendo con l’avvento della data economy, dove croniche discontinuità tendono ad accentuare la criticità strutturale dei modelli di business tradizionali. Le imprese sono nell’occhio del ciclone 4.0, una zona di calma piatta, ma solo all’apparenza, perché attorno ad essa si sviluppano forze che tendono a modificare in modo permanente lo scenario globale in cui siamo proiettati.














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