Hpe: tutto as a service, ma non solo as a service

di Filippo Astone e Renzo Zonin ♦︎ Abbiamo chiesto a Stefano Venturi di chiarire cosa intendeva il ceo Neri quando ha dichiarato che la multinazionale - colosso dei server e dei Big Data - sarà 100% as a service nel 2022. E con l’occasione abbiamo parlato con lui di GreenLake, di supercalcolo e di come l’azienda fa innovazione nell’Ict di oggi

Se c’è un vendor Ict che ha fatto della capacità di innovare un mantra, questo è Hpe. Del resto non potrebbe essere altrimenti, visto che la forza lavoro della società, nata nel 2015 dallo “split” di Hp, è ancora oggi costituita principalmente da ingegneri. Ma l’innovazione non può riguardare soltanto i prodotti di un’azienda Ict: bisogna innovare anche nel modo di porsi sul mercato. E il recente annuncio del ceo Antonio Neri di una transizione generalizzata verso l’as a service si può inquadrare in questo contesto. Ma cosa voleva dire esattamente Neri? E come funziona l’innovazione in Hpe? Lo abbiamo chiesto a Stefano Venturi, a capo della filiale italiana, che ci ha parlato anche degli ultimi sviluppi relativi a GreenLake, al supercalcolo, ai rapporti con i partner del canale.

D. Il Ceo Antonio Neri ha annunciato mesi fa che Hpe sarebbe diventata una società 100% as a service entro il 2022. A livello di fatturato, a oggi su 27 miliardi complessivi siete a circa 4 “as a service”. C’è ancora molta strada da fare?

R. «In realtà, quello che Neri intende non è che l’intero fatturato dell’azienda sarà fatto “as a service”, anche perché ci sono molti clienti che preferiscono continuare con le formule attuali. Chi vuole allocare dei soldi e acquistare della tecnologia potrà sempre farlo. Quello che Neri vuole dire è che entro il 2022 il 100% della nostra offerta tecnologica sarà disponibile anche in modalità “as a service”».







 

D. Quindi il cliente sarà libero di acquistare o scegliere la formula del servizio, in base a considerazioni finanziarie e tecnologiche?

R.«Noi siamo stati fra i primi a intraprendere questo importante percorso, oltre 5 anni fa. Già con i servizi finanziari siamo fra i maggiori player nel segmento dei server, dello storage e dei data center; lo eravamo anche nel segmento Pc e stampanti quando eravamo Hp. Questi servizi continuiamo a offrirli, tramite la Hewlett-Packard Enterprise Financial Services che è un’azienda del nostro gruppo, che offre un servizio in più al nostro cliente. Naturalmente, quest’ultimo può benissimo scegliere di avvalersi dei servizi finanziari erogati da altri player, siamo assolutamente “laici” da questo punto di vista».

 

D. E le considerazioni tecnologiche?

Stefano Venturi, Presidente e Amministratore Delegato di Hpe Italia

R. «Il lato dei servizi finanziari rimane, ma l’as a service è qualcosa di diverso. Con l’as a service, la tecnologia che io cliente metto nel mio data center non è più un bene che acquisto, non faccio un leasing finanziario od operativo, ma è un servizio che pago solo per la porzione che uso. Questo vuol dire che il rischio del “non utilizzo” lo prende Hpe. Esattamente come quando un’azienda si rivolge a un cloud pubblico: compra un servizio, non acquista una porzione di server, non fa un leasing e non si impegna a usare il 100% di ciò che ha chiesto. I clienti di GreenLake quindi usano in via esclusiva il server, lo storage, la tecnologia che gli viene fornita, controllano i dati che entrano ed escono, nessuno ci mette le mani sopra, ma pagano solo ciò che realmente utilizzano. Questo consente una straordinaria flessibilità nella gestione dei budget. Per esempio, permette a chi durante l’anno ha dei picchi di lavoro di consumare capacità quando necessario, e rilasciarla quando non gli serve più, svolgendo l’operazione di decommissioning in modo molto facile – abbiamo anche degli strumenti software sofisticati che permettono di farlo automaticamente, in tempo reale. È una funzione che non serve a chi sfrutta sempre il data center al 100%, ma si tratta di una piccola minoranza: la maggior parte degli utenti impiega le macchine con carichi variabili e per loro questa caratteristica è molto conveniente, permettendo loro tra l’altro di migliorare il proprio conto economico. Inoltre, mettendo la tecnologia che ha in casa su un contratto a servizio, il cliente ha anche il vantaggio di semplificare il suo budget. Quello che succede oggi è che magari un cliente ha una parte di budget allocato a servizio, perché deve usare un cloud pubblico, mentre per la parte di tecnologia on premise deve fare un capital investment, o impegnarsi con dei leasing eccetera. Con GreenLake tutto il budget viene allocato a servizio».

 

D. Avere il cloud pubblico e l’on premise gestiti allo stesso modo, anche finanziariamente, ha una connessione con il paradigma del cloud ibrido?

R. «È la realizzazione pratica dell’Hybrid Cloud, un concetto che noi spingevamo già anni fa. Noi sostenevamo che il futuro sarebbe stato ibrido, perché ogni cliente avrebbe usato i servizi di più cloud provider, un pò per ragioni di convenienza, un pò per i differenti servizi offerti da ciascuno. Ma oltre a questo, nel nostro concetto di ibrido rientrava la disponibilità di strumenti per l’orchestrazione delle risorse, software che permettono alle applicazioni dei clienti di funzionare al meglio sia on premise che in public cloud. E siamo stati i primi a sviluppare questo tipo di strumenti, grazie ai quali i clienti gestiscono i vari cloud come una sorta di orchestra, e il data center on premise come un altro cloud aggiunto ai precedenti. E questa semplicità di gestione non riguarda solo l’ambito tecnologico, ma anche quello finanziario, perché con questo tipo di contratti so esattamente cosa sto spendendo, dato che anche le infrastrutture che ho presso di me sono un servizio».

Hpe GreenLake introduce i vantaggi del cloud agile direttamente per l’altro 70% di carichi di lavoro, attuali e futuri. Con un modello pay-per-use, offre un unico modello operativo coerente, con visibilità e controllo sui cloud pubblici e sull’ambiente on-premise

D. Cosa pensano i vostri clienti di questo nuovo modo di utilizzare l’infrastruttura?

R. «Queste soluzioni IT a servizio stanno avendo una crescita straordinaria. Pensate solo che dall’anno scorso a quest’anno abbiamo triplicato, quasi quadruplicato, il gruppo di persone che, all’interno di Hpe, si occupa dell’offerta GreenLake. E adesso, a un mese e mezzo dall’inizio dell’anno fiscale, siamo già al massimo regime, perché quando i clienti scoprono questa soluzione la richiedono immediatamente. Non solo perché evitano di investire il capitale, ma perché ora possono considerare come servizio un approvvigionamento che prima li impegnava finanziariamente, sia che comprassero i beni sia che stipulassero dei leasing».

Hpe GreenLake in numeri. Hpe ha 4 miliardi di dollari di contratti in essere su GreenLake, suddivisi su oltre mille clienti che operano in più di 50 Paesi diversi. Secondo White, il mercato potenziale dovrebbe passare dagli attuali 8 a 22 miliardi di dollari entro il 2023, con un Cagr intorno al 58%

D. Il vostro portfolio comprende varie linee di prodotto, a che punto siete nel renderle disponibili as a service?

R. «Abbiamo appena fatto un annuncio importantissimo, appunto in linea con quanto detto da Neri sul rendere disponibile entro il 2022 il 100% della nostra offerta tecnologica anche in modalità as a service. Entro qualche mese, giusto il tempo di sistemare i dettagli, potremo offrire in modalità as a service anche l’high performance computing. È una novità importante perché Hpe già qualche anno fa era leader di mercato nel mondo dell’Hpc come volume di vendite. Però nella nostra offerta mancava un prodotto di punta. Circa un anno e mezzo fa abbiamo acquisito Cray, integrandone le persone in Hpe».

 

D. Cray è presente in Italia?

HPE Cray EX supercomputer. Con l’acquisizione di Cray Hpe ha completato il portfolio con la parte alta della gamma

R. «Certamente, è presente in Italia ed è stata già integrata nel contesto Hpe. E io sono presidente e amministratore delegato anche di Cray».

 

D. Quindi con l’arrivo di Cray, che segue altri marchi illustri come Apollo, Digital Equipment, Silicon Graphics, avete completato la vostra offerta di supercomputing coprendo tutte le fasce di mercato?

R. «Con l’acquisizione di Cray avevamo completato il portfolio con la parte alta della gamma, ma ci mancava ancora un elemento, la democratizzazione dell’high performance computing. Ci sono aziende estremamente innovative che di fatto sono piccole startup, con risorse limitate. Ce ne sono molte anche in Italia in vari settori, non solo nell’It, pensiamo a chi fa ricerca in ambito farmaceutico per esempio. Queste aziende hanno bisogno di capacità di computing, ma magari sono un piccolo gruppo di cervelli, giovani o diversamente giovani – perché il cervello non ha età, per darvi un’idea, Mazzola e Cafiero che sono fra le menti più brillanti in Silicon Valley hanno quasi 70 anni – che hanno risorse limitate nella fase iniziale. Anche negli Usa, dove c’è un grande mercato di venture capital, queste startup avrebbero qualche problema ad andare a chiedere a un investitore 50 milioni di dollari per comprare un supercomputer che useranno di tanto in tanto. Bene, noi con questa operazione democratizziamo l’High Performance Computing. Questo è il grande messaggio che vogliamo dare a tutte le imprese innovative del nostro Paese, che siano startup o piccole e medie imprese che operano nel “middle-tech”, settore nel quale l’Italia è molto forte e dove si fa moltissima innovazione, spesso elaborando tantissimi dati. Soprattutto nella meccatronica, dove i sensori producono enormi quantità di informazioni, ma anche nell’automotive, pensate alle telemetrie delle Formula 1 o alle connected car, o agli pneumatici – noi per esempio lavoriamo anche con Continental. E le nostre aziende meccatroniche sono quelle che consentono ai produttori di auto tedeschi di innovare. Perché anche in quel settore l’innovazione si fa con le alleanze, non c’è più il subfornitore, il terzista al quale commissioni il pezzo specifico. Ora con i tuoi fornitori orchestri l’innovazione, lo fanno tutti i grandi nomi. Quindi le nostre aziende del cosiddetto mid tech si stanno trasformando in aziende high tech, perché con l’IoT, con i dati che arrivano, se l’azienda non si pone obiettivi hi tech sparisce, viene tagliata fuori dai processi di innovazione e finisce a fare appunto il terzista. E quindi noi, con questa offerta di Hpc per le piccole e medie aziende riaccendiamo per queste imprese la possibilità di fare innovazione. Questa è la grande novità».

Con la sua collaborazione con EuroHPC JU, HPE sta diffondendo le risorse di supercalcolo per accelerare la roadmap europea con la quale si vuole raggiungere l’exascale computing, di cui si è detto: il prossimo passo significativo nel supercalcolo fornirà prestazioni 5-10 volte più veloci rispetto ai sistemi di oggi

D. Avete dati precisi sulla richiesta, attuale e futura, di Hpc in Italia?

R. «Non li abbiamo ancora elaborati in modo pubblicabile, ma quello che io vedo è che mentre due anni fa i clienti che ci chiedevano Hpc erano i soliti noti, a stento si arrivava a una decina di aziende, oggi sui top 500 clienti che seguiamo molto da vicino abbiamo in questo momento aperte almeno una trentina di opportunità a breve di Hpc. Alcune grandi, altre più piccole. Comunque pensiamo che entro la fine del 2021 oltre la metà, i tre quarti di questi clienti si doteranno di capacità di Hpc. Quindi hpc il fenomeno sta esplodendo, perché tutti i clienti si stanno rendendo conto che bisogna andare ad elaborare i dati in modo economicamente sostenibile, e lo puoi fare solo con i computer e lo storage specializzati per il supercalcolo, perché alla fine è piu’ efficiente e conveniente elaborare con quelli che con i sistemi tradizionali, anche se non è immediatamente evidente».

 

D. Che tipo di macchine vi aspettate che vengano richieste dai clienti italiani?

La monoposto Mercedes Amg F1 W10 Eq Power+

R. «L’high performance computing si fa con computer sempre più specializzati e potenti, ma non necessariamente giganti. Per darvi un’idea, noi abbiamo partnership con alcuni team di Formula 1, in particolare con il team Mercedes AMG Petronas F1 che da 4 anni usa la nostra tecnologia. Dovete sapere che il regolamento della Formula 1 prevede dei limiti al volume e al peso complessivo degli oggetti informatici che la squadra può avere al box durante il Gran Premio. E noi siamo riusciti a comprimere in uno spazio piccolissimo, pari a un pallet di trasporto, un supercomputer specializzato su determinate tipologie di calcoli. Quindi per gli Hpc non dobbiamo necessariamente pensare a grandi macchine come quelle del progetto Euro Hpc, o ancora più grandi come quelle di alcuni deal recenti che ci siamo aggiudicati negli Usa, negli ambiti della Difesa e dell’Energia, macchine che superano i 100 milioni di euro di valore. Esistono anche dei micro-supercomputer, e questo si sposa con la nostra strategia di edge computing. Secondo noi l’edge sarà sempre più importante. Tutti parlano di cloud, ma pensiamoci un attimo: perché è importante la nostra strategia hybrid cloud? Perché con i nostri software di orchestrazione per il multicloud, i nostri clienti che hanno già questi sistemi saranno i primi a poter utilizzare in modo coordinato i nano-datacenter di edge, o i microcomputer che saranno posizionati sull’edge, là dove vengono raccolti i dati. Perché il mondo si sta spostando lì, e la grande differenziazione sarà fra chi è in grado di catturare il dato dove viene generato e chi non lo potrà fare. Noi tra l’altro siamo fra i precursori dell’adozione dell’Open 5G, che ti permette di sfilare i vari pezzi dello stack 5G e di inserirvi, essendo aperto, le migliori capacità reperibili. Oggi riusciamo a dare ai nostri clienti la capacità di creare dei nano-datacenter dove ci sono le antenne, e di gestirli poi dal centro con dei software di orchestrazione. In questo modo puoi andare ad elaborare il dato lì dove viene creato, e non devi spostare enormi quantità di informazioni per farle arrivare al data center».

D. Cosa vuol dire per Hpe fare innovazione?

R. «Neri basa il suo modo di fare innovazione su tre pilastri: uno è quello degli investimenti organici, ovvero i nostri ingegneri che sviluppano nuove tecnologie hardware e software; poi c’è la rete delle alleanze tecnologiche, che vanno da Sap (che commercializza software innovativi come Sap Hana, i quali richiedono enormi spazi di memoria, e in Hpe trova le macchine con le memorie più capienti in assoluto) a una serie di startup innovative che lavorano nel mondo della containerization eccetera. Abbiamo un accordo per esempio con una startup straordinaria che si chiama Pensando. È un’azienda della Silicon Valley fondata da tre uomini ex Cisco, Mario Mazzola, Luca Cafiero e Prem Jain, il cui presidente è John Chambers (ex ceo di Cisco, NdR) che ha un legame strettissimo con Antonio Neri. Noi siamo sicuri che questa sarà una delle aziende del futuro. Quindi lavoriamo in alleanza sia con aziende “tradizionali” che evolvono, sia con quelle del futuro, che fanno container o sviluppano nuove architetture per il futuro. Il terzo pilastro infine è quello delle acquisizioni, che facciamo in un’ottica di open innovation. E questo non vuol dire acquisire un marchio, perché nel mondo della tecnologia non te ne fai nulla; o acquisire mercato, perché nel momento che smetti di innovare il mercato si dissolve come la nebbia al sole; ma significa acquisire intellectual property, ingegneri, capacità, acquisire persone. Un esempio è l’acquisizione di Aruba Networks, che era l’azienda più avanti di tutti sul Wi-Fi avanzato. Noi nel networking eravamo secondi solo a Cisco, Aruba in confronto era piccola, ma aveva soluzioni innovative. E quando l’abbiamo acquisita, abbiamo preso il capo di Aruba e lo abbiamo messo a capo della nostra divisione Networking. Lui ha preso in carico l’intero portfolio e ora sta facendo innovazioni straordinarie. Un altro esempio è la già citata acquisizione di Cray. Noi eravamo già leader nei supercomputer, ma ci mancava la fascia alta, che era una nicchia ma che secondo noi era destinata a crescere molto. Così abbiamo acquisito Cray, e il ceo di Cray, Pete Ungaro, è diventato il capo della nostra divisione Hpc, così come gli ingegneri Cray sono diventati ingegneri Hpe come è successo per gli ingegneri Aruba. Ecco, l’innovazione la facciamo in questo modo».

L’ecosistema di sicurezza di ClearPass Hpe Aruba

D. Paradigmi come il cloud e l’XaaS stanno sempre più “nascondendo” l’hardware agli occhi dell’utente, che può concentrarsi sui dati e sul loro utilizzo. Ma non c’è il rischio di tornare a “commoditizzare” l’hardware? Come si “vende” un hardware – nel senso di far emergere le sue qualità nei confronti della concorrenza – a un cliente che in un certo senso non lo vedrà mai?

Antonio Neri, ceo di Hpe

R. «Quello della commoditizzazione potrebbe essere il granello che inceppa l’ingranaggio per un’azienda come la nostra, che investe tanto in innovazione. Ma è proprio perché c’è più innovazione che questo non succede. Perché un cliente dovrebbe tenere l’infrastruttura di supercalcolo on premise, presso di sé? Non è certo un discorso di possesso, bensì è il fatto che si vuole avere presso di sé la tecnologia più aggiornata e innovativa. E pensiamo che questa ondata del cloud spazzerà via i vendor che non fanno innovazione. In tutti i settori della tecnologia ci sono gli innovatori e ci sono quelli che ti dicono che ti fanno una cosa che funziona all’incirca uguale ma costa meno. Questi vendor spariranno, perché non c’è motivo di tenere nel proprio data center una tecnologia “abbastanza buona”, o “good enough” se preferite. Teniamo presente che il cliente vuole investire sul suo core business, non sull’It. L’It la gestirà as a service, quindi con misurazione puntuale di costi e prestazioni. E in una situazione del genere avrà sempre più senso tenere on premise quello che mi dà innovazione, perché è quello che permette al cliente di essere sempre un passo avanti ai suoi concorrenti, riuscendo a far le cose prima e meglio di loro. È ciò che facciamo con la Mercedes di Formula 1, riusciamo a fare i calcoli della telemetria prima delle altre squadre. Ed è così che si vince non solo il campionato di Formula 1, ma anche la guerra con la concorrenza in un mondo globalizzato. Per tutti questi motivi noi continuiamo a investire in innovazione, e le nostre persone vanno dai clienti e non propongono un hardware o un software, ma una soluzione che permette al cliente di fare cose che con altri vendor non potrebbe fare, o di farle prima, meglio e a un costo più basso. E dopo aver identificato la soluzione, propongono anche di acquisirla con la formula as a service, visto che probabilmente il cliente ha la necessità di modulare e controllare il proprio profilo di spesa IT. E i clienti ci rispondono positivamente».

 

D. L’ecosistema dei partner, che conta circa 80.000 aziende, è un punto di forza importante soprattutto quando si deve lavorare con le Pmi, che in Italia sono prevalenti. Come si sta evolvendo il rapporto con i partner con la spinta verso l’XaaS?

R. «Noi abbiamo investimenti ingenti sulla rete dei partner, o del cosiddetto canale come lo chiamano in Italia. È un pilastro fondante della nostra strategia di go to market. Oggi la maggior parte del business la facciamo tramite la rete di partner, continuiamo a lavorare con loro e a investire con loro, tanto è vero che chiediamo loro di investire in innovazione. Prima, quando avevamo anche Pc e stampanti, ci interessavano anche aziende che facessero volume. Oggi puntiamo soprattutto su partner che fanno ingegneria, che integrano le nostre tecnologie con le realtà del territorio, che portano modelli di innovazione a chilometri zero, tanto è vero che in Italia abbiamo fatto gli Innovation Lab. Quindi i partner sono fondamentali, e continuiamo a svilupparne la rete. In questo nuovo anno fiscale abbiamo stanziato ancora più risorse per questo, e puntiamo a lavorare con loro su un numero ancora più ampio di clienti».

 

D. Come si concilia il paradigma as a service di GreenLake con la rete dei partner?

R. «Il modello GreenLake è aperto ai nostri partner, i quali possono sia inserirsi nei contratti GreenLake con i loro servizi, sia diventare essi stessi dei service provider usando GreenLake. Quindi il nostro partner, che spesso fornisce soluzioni chiavi in mano ai suoi clienti, può proporsi come fornitore, on premise o presso il proprio data center, delle tecnologie più avanzate in modalità as a service. GreenLake dunque è totalmente aperto ai partner, tanto che molti hanno già aderito e non solo si sono inseriti nel processo di vendita mettendo i loro servizi in progetti GreenLake, ma hanno già cominciato ad agire da service provider».

GreenLake è cloud ma si posiziona dove richiesto, on prem, in colocation o in public cloud

D. I partner più piccoli potrebbero essere i più restii a cambiare approccio, come stanno reagendo all’arrivo di GreenLake?

R. «Noi mettiamo in grado anche i partner più piccoli, che non hanno grandi risorse finanziarie, di prendere tutti i loro clienti e di installare presso di loro le infrastrutture in modalità GreenLake. Ma è il partner che viene visto dal cliente come suo fornitore. Perché noi possiamo agire in due modi, possiamo fare una sorta di “pass-through”, ovvero il partner rivende il servizio che però è di Hpe, oppure possiamo lasciare che il partner agisca come service provider, quindi il cliente finale del partner fa un contratto di servizio con quest’ultimo, e poi il partner stesso lo fa con Hpe come fornitore. Una sorta di “white label” tecnologica».














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