Fincantieri: ecco come saranno le navi del futuro

di Marco de' Francesco ♦︎ Più efficienti, alimentate a idrogeno, in grado di essere guidate da remoto: tutta la verità sul nuovo progetto Zeus, un prototipo di imbarcazione che viene realizzato col supporto del Mise a Castellamare di Stabia. Ogni anno l'azienda guidata da Giuseppe Bono investe oltre 120 milioni in ricerca e sviluppo. Come vengono spesi ce lo spiega il vice president per l'R&D Massimo Debenedetti

Il Gruppo è il primo del settore navalmeccanico in Italia ad ottenerla

Come saranno le cruise ship del prossimo futuro? E i cantieri navali? E quale peso avranno le nuove tecnologie nella transizione verde delle une e degli altri? Nessuno è più titolato a rispondere a queste domande di Fincantieriil complesso cantieristico più importante del Mondo Occidentale, che si occupa peraltro di produzione di sistemi e componenti nei settori meccanico ed elettrico, di soluzioni di arredamento navale, di elettronica e software, e di infrastrutture e opere marittime. Con un fatturato che nel 2020 ha superato i 5 miliardi di euro, 10mila dipendenti in Italia, 18 stabilimenti in quattro continenti, nonché un carico di lavoro complessivo che alla fine dello scorso anno includeva 116 navi ed era pari a euro 35,7 miliardi, l’azienda è fortemente impegnata nell’innovazione di prodotti e processi.

Quanto alle navi da crociera, saranno interessate da un cambiamento in tre fasi. A breve termine, saranno resi più efficienti i sistemi di propulsione a combustibile tradizionale; a medio termine quest’ultimo sarà sostituito da carburante fossile più leggero, come il metano liquido; nella prossima decade, invece, troveranno applicazione l’idrogeno e i derivati non carbonici, prima per il carico alberghiero e poi per quello propulsivo. Fincantieri, per farsi trovare pronta all’appuntamento con l’idrogeno, sta realizzando Zeus, un prototipo fuel cell di 25 metri. Quanto ai cantieri, sono previsti tre cambiamenti fondamentali. Anzitutto, l’introduzione di algoritmi che saranno in grado di far funzionare il wi-fi in tutta l’area degli stabilimenti nonostante l’azione disturbante del metallo; in secondo luogo, laser scanner per rilevare la geometria delle navi; in terzo, sistemi evoluti di tracciabilità. La Blue Economy in Italia vale 44 miliardi, con ricadute economiche pari a 125 miliardi. 







Il vice president per la ricerca e innovazione di Fincantieri Massimo Debenedetti

L’azienda è peraltro impegnata in un percorso di differenziazione, rispetto al core-business delle navi.  Infatti, ha di recente stretto una partnership con il gruppo italiano leader nell’innovazione Almaviva per accelerare il processo di digitalizzazione dei trasporti (su terra) e della logistica; un accordo con Faist Group per la produzione di batterie al litio e un altro con Aws, il Cloud di Amazon, per accelerare l’innovazione nella Pubblica Amministrazione e nell’industria.   Non a caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) riconosce una piena centralità del cloud, prevedendo di riservare almeno il 10% delle risorse del programma Transizione 4.0 all’acquisto di beni intangibili digitali da parte delle aziende e dedicando un miliardo di euro dei sei destinati alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione alla migrazione verso questa tecnologia. Tutto ciò nel racconto del vice president per la ricerca e innovazione di Fincantieri Massimo Debenedetti, che abbiamo intervistato.

 

D: La digitalizzazione e le nuove tecnologie stanno impattando su tutti i mezzi di trasporto, soprattutto per renderli più green. Come pensa che cambieranno le navi da crociera, la cui costruzione rappresenta il vostro core-business?

R: Credo che il cambiamento in verificherà in tre fasi. A breve termine, si cercherà di utilizzare in maniera più efficiente il carburante attualmente disponibile, lavorando sulla catena funzionale per ottenere efficienze superiori all’80%.  Ad esempio ottimizzando la forma delle eliche, recuperando il calore dai gas di scarico e utilizzando tecnologie ad alte prestazioni nel condizionamento degli ambienti, che in genere comporta un’alta spesa di energia. Non tutti lo sanno, ma il “carico alberghiero” conta moltissimo, in particolare durante le soste in porto.

 

D: A quali cambiamenti si assisterà a medio termine?

R: A medio termine, si cercherà di utilizzare combustibile fossile meno pesante del gasolio, e cioè con un contenuto minore di carbonio.  Il candidato ideale è il metano liquido, o gas naturale liquefatto, ma ciò comporta un adattamento consistente della struttura delle navi. Anzitutto perché va mantenuto ad una temperatura di 160 gradi sotto zero, e poi perché essendo meno denso del gasolio, occupa più spazio. Un’altra soluzione è l’utilizzo di biocarburanti perché il carbonio generato con la propulsione è equivalente a quello assorbito per lo sviluppo delle biomasse, in un ciclo privo di impatto ambientale. In questo caso, le modifiche alla nave sarebbero molto più limitate.

 

D: E nella terza fase?

R: A lungo termine, c’è un solo candidato: l’idrogeno verde, quello derivato da elettrolisi dell’acqua con l’energia delle fonti rinnovabili. È in assoluto la scelta più sostenibile, dal punto di vista ambientale. Potrebbe essere utilizzato nelle celle a combustibile, per azionare motori elettrici; o altrimenti come combustibile in motori a combustione interna. Ma è una questione complicata.

 

D: Perché l’utilizzo dell’idrogeno non è “dietro l’angolo”?

La presenza dell’idrogeno anche all’interno del Pnrr

R: Per il semplice motivo che attualmente non esistono tecnologie che consentano alle navi di utilizzare questa risorsa. Si pensi che le celle a combustibie dovrebbero produrre diversi megawatt di potenza, con picchi di  60 o 70 MW; siamo lontanissimi da questi livelli: bisognerebbe inventarne di nuove più grandi e capaci. Quanto all’idrogeno come combustibile, si porrebbero anche in questo caso, e in misura assai più evidente, il problema dello stoccaggio a bassissime temperature e quello della scarsa densità. Si sta pertanto anche immaginando di adoperare i derivati dell’idrogeno, come l’ammoniaca.  Infine, non esiste una normativa applicabile alle navi che utilizzano questo gas, il che non è un gap da poco. Infine, sarà necessaria un’infrastruttura di rifornimento nei porti di mezzo mondo: quindi la nave ad idrogeno è un disegno che si realizza nel contesto di un ecosistema che deve ancora svilupparsi. Ma noi stiamo andando avanti con un progetto per essere in grado, un giorno, di fare la nostra parte come azienda di riferimento a livello globale.

 

D: Di quale progetto parla?

Zeus, Zero Emission Ultimate Ship

R: Di Zeus, che sta per Zero Emission Ultimate Ship.  Un prototipo di nave fuel cell di 25 metri che stiamo realizzando con il supporto del Mise nel nostro stabilimento di Castellammare di Stabia. Dispone di batterie da 130 kilowatt alimentate da 50 chili di idrogeno contenuti in otto bombole a idruri metallici; consentiranno un’autonomia di circa otto ore di navigazione a zero emissioni e ad una velocità di circa 7,5 nodi.  La cosa davvero importante è che abbiamo dovuto “prendere le misure” dal punto di vista amministrativo e pratico, con questa nuova attività. Per esempio, abbiamo parlato con la Capitaneria di Porto, per comprendere quali fossero le regole per progettare la nave e quali fossero le competenze di cui l’equipaggio dovrà disporre. Un’esperienza importante, per noi.

 

D: Dunque, qual è la possibilità di realizzare, in futuro, flotte di navi da crociera ad idrogeno?

R: Io credo che i cambiamenti richiesti siano molto costosi, per le compagnie di navigazione. Occorre che i governi definiscano degli “schemi incentivanti” per favorire la transizione.  Che sarà lunga, incrementale.  Il PNRR rappresenta un primo passo in questa direzione, in particolare per il rinnovo di parte della flotta navale per il TPL. Esistono anche i Progetti Integrati di Interesse Comune Europe (IPCEI), uno strumento che favorisce l’introduzione di tecnologie innovative e che può contribuire ad abbattere le barriere che impediscono l’utilizzo dell’idrogeno nei trasporti marittimi

 

D: Quando vedremo la prima nave da crociera ad idrogeno?

R: Nel prossimo decennio probabilmente si assisterà alla prima nave da crociera che utilizza l’idrogeno non per la propulsione ma per il carico alberghiero, che comunque assorbe un terzo della potenza. Nella decade successiva ci potranno essere navi totalmente ad idrogeno.

 

D: Si parla tanto, con la digitalizzazione, di automobili a guida autonoma. Ci sono già esempi importanti. Esisteranno anche navi autonome?  

ad di Fincantieri
Giuseppe Bono, ad di Fincantieri

R: In certi segmenti esistono già. Si tratta per lo più di applicazioni militari: navi lunghe una decina di metri, guidate da sofisticati algoritmi, per compiere operazioni di pattugliamento e per evitare di esporre il personale a situazioni pericolose. In questo ambito, assisteremo ad un graduale aumento della dimensione delle unità e della complessità delle missioni che potranno essere svolte da mezzi autonomi di superficie e subacquei. Si stanno definendo, poi, progetti di rimorchiatori autonomi, destinati a compiere piccoli tratti. Il prossimo passo sarà la realizzazione di unità di piccole dimensioni destinate al rifornimento (cambusa, equipaggio) delle piattaforme offshore, ad esempio i campi eolici marini. Quanto alle navi da crociera, credo che la connettività e altre tecnologie avanzate porteranno sempre più a nuovi servizi alberghieri digitalizzati, che determineranno un contenimento del numero del personale dedicato, e quindi ad una riduzione dei costi. In particolare, un ruolo determinante sarà giocato dall’intelligenza artificiale.

 

D: Cosa si farà nelle navi da crociera con l’intelligenza artificiale?

R: A casa abbiamo tutti Alexa o Siri, e chiediamo loro che tempo fa, di accendere il forno o cosa trasmette Sky Cinema. Sulle navi da crociera ci sarà un assistente virtuale in grado di riconoscere la voce del singolo passeggero e di occuparsi di lui. Naturalmente, per tutto questo, serve un collegamento wi-fi, e attualmente non c’è in mezzo al mare. E poi, grazie all’AI, si potranno ottimizzare real time l’assetto e i consumi della nave, e si potranno implementare servizi ad alto valore aggiunto a bordo.      

 

D: Come sta incidendo la digitalizzazione sui cantieri navali? Come sarà il cantiere del prossimo futuro?

I cantieri di Monfalcone

R: Apparentemente, nella prossima decade, il cantiere navale non cambierà fisionomia. Nel senso che sempre le lamiere saranno lavorate, formate e assemblate. Ma ci saranno tre avanzamenti molto importanti. Il primo riguarderà la copertura wi-fi totale, al 100%, degli spazi di lavoro. Può sembrare banale, ma non lo è per niente. Dovunque ci siano tante tonnellate di materiali ferrosi in continuo movimento, ed è il caso dei cantieri, la trasmissione di onde elettromagnetiche subisce profonde alterazioni, tanto da rendere difficile instaurare una connessione stabile. Algoritmi di intelligenza artificiale saranno in grado di riconfigurare real time la rete wi-fi in modo da renderla efficace ed omogenea. Già a breve si riuscirà ad ottenere una copertura significativa. Il wi-fi è fondamentale per i cantieri 4.0: consente controlli con il tablet, e il commissioning da remoto. La seconda novità è ancora più ambiziosa.

D: Di cosa si tratta? In cosa consiste questo secondo avanzamento nei cantieri?

R: Nell’utilizzo di scanner laser per rilevare con assoluta precisione la geometria della nave una volta realizzata. Il fatto è che un’imbarcazione non corrisponde mai al 100% con le misure previste teoricamente dal progetto.  C’è sempre una differenza: in termini ingegneristici, si parla di “tolleranze”.  Sono informazioni che noi vogliamo conoscere, perché favoriranno la manutenzione da remoto, un business destinato a crescere.

 

D: Invece, in che cosa consiste il terzo avanzamento?

R: Nella tracciabilità di tutto il materiale che entra nel cantiere: grazie ad etichette intelligenti, sarà seguito lungo tutto il suo percorso di trasformazione e utilizzo.  È un avanzamento molto importante: in un contesto in cui la tempistica operativa conta moltissimo – perché gli armatori hanno bisogno di tempi certi -: saremo in grado di sapere sempre se un particolare processo è in ritardo, e a causa di quali componenti. Ci attendiamo inoltre, con l’assiduo monitoraggio dei mezzi in cantiere, di ridurre notevolmente gli incidenti negli stabilimenti – un altro aspetto cui Fincantieri tiene tantissimo.

 

D: Qual è il valore degli investimenti in ricerca e sviluppo di Fincantieri?

R: Nel 2020, circa 120 milioni di euro.

 

D: Di recente l’azienda, attraverso la controllata Fincantieri NexTech, ha stretto una partnership con Almaviva, gruppo italiano leader nell’innovazione digitale. Cosa si intende realizzare?

Cantiere di Castellammare di Stabia (dove attualmente ZEUS è in costruzione)

R: Da anni Fincantieri persegue un percorso di differenziazione. Sempre più, non si occupa solo di cantieristica navale, che è il suo core-business, ma anche di settori contigui ad alto valore aggiunto, come la realizzazione di cabine, di sistemi integrati e di automazione e di componenti navali, nonché di strutture in acciaio come ponti, stadi, porti. Di questo percorso fa parte l’accordo con Almaviva. In questo caso, si intende accelerare il processo di digitalizzazione del settore dei trasporti e della logistica. In pratica, la partnership è diretta allo sviluppo di soluzioni come il connected vehicle (vettura dotata di sensori che le permettono di percepire la realtà circostante) e la smart road (che consente la comunicazione e l’interconnessione tra i veicoli), per incrementare la sicurezza dei viaggiatori. Pochi giorni fa, peraltro, Fincantieri ha sottoscritto un altro accordo molto importante, perché avrà un rilievo in più settori industriali.

 

D: Con chi avete siglato questo accordo e a che cosa è diretto?

R: Fincantieri SI e Faist Electronics, rispettivamente controllate da noi e da Faist Group – che si occupa di sistemi di accumulo di energia elettrica – hanno dato vita alla joint venture Power4Future, dedicata alla produzione di batterie al litio. Queste sono strategiche nell’automotive, nelle telecomunicazioni, nell’industrial.  Per fabbricarle, si realizzerà un apposito sito, che si occuperà anche dei battery management system e dei sistemi ausiliari. Se ne costruiranno per una potenza di 2 GW in cinque anni. 

 

D: Sempre qualche giorno fa a Trieste l’azienda ha siglato un accordo con Amazon Web Services (Aws). A quale fine?

Carlo Giorgi, managing director di Aws Italia

R: Fa sempre parte del percorso che abbiamo citato. In questo caso, si tratta di un accordo di cooperazione per accelerare l’innovazione digitale e lo sviluppo tecnologico del Paese, con particolare riferimento alla pubblica amministrazione e all’industria. Noi portiamo la nostra esperienza nel progettare, costruire e gestire infrastrutture complesse, come ad esempio il ponte di Genova, che è stato realizzato in tempi record, com’è noto; Aws la sua competenza nel supportare istituzioni e aziende con l’utilizzo del cloud computing. Insieme, possiamo dar vita ad un ecosistema per fornire soluzioni tecnologiche e infrastrutturali utili a progetti complessi, con servizi evoluti e con tempi e costi certi. 

 

D: Perché puntare sul Cloud computing?

R: Perché ha assunto una valenza particolare: è la principale piattaforma per tutte le tecnologie avanzate (intelligenza artificiale, Big Data, IoT) che fanno capo al processo di trasformazione digitale che sta interessando il mondo delle imprese, dei cittadini-consumatori e delle stesse istituzioni. Comunque sia, da questi accordi risulta chiaro che non c’è soltanto la Blue Economy al centro degli interessi di Fincantieri.

 

D: Cosa si intende, esattamente, per Blue Economy?

R: Tutta l’economia che ruota attorno al mare, dalla cantieristica al turismo, dallo shipping alla generazione di energia con i parchi eolici e le correnti e all’acquacoltura. In Europa il settore portuale vale 78 miliardi, con un valore aggiunto di 35 miliardi.  Al mondo, poi, oltre l’80% delle merci viene trasportato via mare, e il 90% delle comunicazioni intercontinentali utilizza cavi sottomarini. Si potrebbe continuare, ma la sintesi è una sola: il mare è una carta sulla quale l’Italia dovrebbe scommettere con fiducia.  

 

D: A parte la cantieristica, cosa fa Fincantieri per la Blue Economy?

R: Un altro pilastro della nostra attività è lo Smart Offshore Infrastructures: infrastrutture adattabili a diversi usi. Stiamo studiando la realizzazione di piattaforme polivalenti, in grado di supportare contemporaneamente attività come l’acquacoltura, la produzione di energia, l’estrazione di materie prime ed idrocarburi. Inoltre saranno impiegate per immagazzinare energia e materiali durante il funzionamento.  Avranno una struttura modulare, che consentirà di modificare l’infrastruttura durante il suo ciclo di vita aggiungendo o smantellando singole parti. Ciò aumenterà l’efficienza complessiva delle operazioni offshore.

 














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