«Caro fornitore, vogliamo comunicare alla sua società, per conto di Fca Italy e di Fca Poland, che il progetto relativo alla piattaforma del segmento B di Fiat Chrysler, è stato interrotto a causa di un cambiamento tecnologico in corso. Pertanto vi chiediamo di cessare immediatamente ogni attività di ricerca, sviluppo e produzione onde evitare ulteriori costi e spese».
È la missiva, stringatissima, che l’azienda automobilistica ha mandato ad alcuni suoi fornitori alla fine della scorsa settimana. Una lettera che, in prima battuta, è stata ripresa solo da alcune testate locali, mentre le altre hanno pensato che si trattasse della classica “bufala” di inizio estate. Invece è tutto vero. Fca è pronta a razionalizzare la rete di fornitori in Italia e Polonia per la componentistica delle auto di segmento B (le utilitarie di fascia più alta), quello più diffuso nel nostro Paese. Questo perché, nell’ottica della fusione con Psa – che dovrebbe definitivamente concretizzarsi nel primo trimestre del 2021 per dar luogo al gruppo “Stellantis” – sarà necessario procedere a una razionalizzazione dei centri di costo e delle catene di fornitura.
La conferma della notizia è arrivata indirettamente da un comunicato stampa dell’Unione Industriale di Torino, che Industria Italiana ha ripreso integralmente qui. «Dai colloqui intercorsi, che proseguiranno nelle prossime settimane, ho avuto ampie rassicurazioni sull’attenzione verso il nostro territorio da parte del gruppo Fca, che ha confermato gli impegni assunti, tra i quali la valorizzazione della filiera nazionale e il coinvolgimento anche nei nuovi progetti delle competenze italiane», afferma nel comunicato il neo presidente dell’Unione Giorgio Marsiaj (che con la sua Sabelt è egli stesso fornitore di Fca). Come si legge nel comunicato, Giorgio Marsiaj ha infatti raggiunto telefonicamente il responsabile delle attività europee di Fca, Pietro Gorlier, che ha rassicurato in merito, confermando la centralità dell’area torinese per il Gruppo unitamente agli impegni assunti nel piano di investimenti italiano per un ammontare complessivo di 5 miliardi di euro. L’Ui, poi, ha cercato di rasserenare gli animi chiedendo agli attori della filiera di cercare di cogliere le nuove opportunità che si apriranno, grazie all’aumento dei volumi produttivi, in particolare quelli associati ai modelli Fca. Tre, in particolare, le nuove linee di sviluppo nel nostro Paese: il segmento C-Uv dell’Alfa Romeo a Pomigliano e della Jeep Compass a Melfi e a della 500 Bev a Mirafiori.
Due ragioni di preoccupazione, in una situazione ancora in evoluzione
Va anche precisato che, al di là di dichiarazioni e parole spese a vario titolo, Stellantis ancora non esiste e nulla di preciso si conosce, al di là di questa letterina. I tempi per le vere decisioni non sono ancora maturi. Ovviamente, dall’associazione torinese c’è tutta l’intenzione a smorzare i toni, ma rimane più di un motivo di preoccupazione. E non solo perché in queste circostanze le rassicurazioni di Fca potrebbero destare il sospetto di essere rituali (che altro avrebbe potuto dire Gorlier…?) ma per almeno due importanti ragioni.
La prima è che, come abbiamo scritto qui, nel nuovo gruppo Psa-Fca saranno i francesi a prevalere: hanno sostanzialmente “pagato” il controllo, ed esprimono l’amministratore delegato e sei consiglieri di amministrazione su 11. E dire francesi significa dire Governo, visto che lo Stato Francese è socio di riferimento di Psa e lo sarà anche della nuova Stellantis. Ed è ben noto che la politica industriale d’Oltralpe, da sempre, è nazionalista e tende a privilegiare tutto ciò che made in France per il solo fatto che è made in France.
La seconda ragione di preoccupazione è che in luglio il Governo francese ha annunciato un corposo piano di sostegni all’automotive (Oem e componentisti) con lo scopo non soltanto di superare l’emergenza Covid ma soprattutto di affermare la propria leadership in Europa e nel mondo nella nuova stagione dell’industria automobilistica che verrà, fatta di auto elettriche e di guida autonoma. Se questi sono gli intenti del piano (che, a differenza di quello italiano, prevede precise e stringenti condizioni in termini di occupazione e di opportunità per l’intera rete industriale) perché mai mostrare attenzione ai componentisti italiani. Questi ultimi, se vorranno essere certi di continuare a lavorare con la nuova Stellantis hanno davanti a sé una sola strada: essere supercompetitivi nei prodotti e nei servizi che offrono. Essere capaci di fornire tecnologie all’avanguardia e prodotti che i francesi non hanno. Fare in modo che non vi sia altra scelta che rivolgersi a loro. Per continuare a lavorare, potranno far leva solo su questo e su nientaltro. Per alcuni di loro, sarà un fortissimo incentivo. Per altri, andrà come andrà.
Componentistica: un pilastro dell’industria italiana messo a dura prova
La componentistica auto è uno dei quattro pilastri dell’industria italiana, insieme a machinery-packaging, chimica-farmaceutica e moda tessile. Secondo uno studio dell’Anfia, l’associazione confindustriale di settore presieduta da Paolo Scudieri di Adler (su dati 2018, gli ultimi disponibili) la componentistica auto italiana occupa 2207 imprese, con 159 mila addetti e un fatturato di 49,3 miliardi, 18 dei quali generati da Fca. Le 2207 aziende sono perlopiù medio-piccole (solo il 13% di loro supera i 50 milioni di ricavi). Il 34% di loro si trova in Piemonte, il 27% in Lombardia, il 10% in Emilia Romagna e il 7% in Veneto. La loro fortuna dipende in larga parte dall’export, e il primo cliente è di gran lunga la Germania, seguita dagli Stati Uniti. Sulle vendite ai car maker francesi non abbiamo trovato dati attendibili, ma si può ipotizzare che non siano vitali.
Visto che il futuro dell’auto sarà all’insegna della motorizzazione elettrica e della guida autonoma, sarebbero state utili azioni di politica industriale volte a incentivare queste aree (con coordinamento, stimolo alla creazione di filiere, incentivi, investimenti in ricerca e sviluppo coinvolgendo le università, attrazione di investimenti stranieri) anche perché in Italia prevalgono le produzioni di componenti diesel, che inevitabilmente andranno a morire, portando con loro centinaia di aziende e migliaia di lavoratori. Le opportunità di liquidità create dall’emergenza Covid potevano essere utilizzate anche in questo senso (proprio come ha fatto la Francia…). Ma nulla, finora, si è voluto fare.
Inoltre lo scenario dell’automotive è stato colpito come pochi altri settori dal Coronavirus: Alixpartners stima che il mercato mondiale dell’auto perderà 19 milioni di veicoli in questo 2020 (una riduzione del 20%), attestandosi a 70,5 milioni tra auto e veicoli commerciali leggeri. Per quanto riguarda il nostro Paese, è prevista una perdita del 43,4% ossia 1,2 milioni di mezzi: per recuperare ci vorranno 5 anni.
Rebus sic stantibus, si è deciso di concedere a Fca la garanzia dello Stato su un prestito da 6,3 miliardi, quasi senza porre condizioni. Non c’è bisogno di ulteriori commenti.