Dove vuole arrivare Business Europe in ambito IoT, 4.0, digitalizzazione della manifattura

di Marco de' Francesco ♦︎ L’associazione che riunisce 41 associazioni di rappresentanza delle imprese, durante il World Manufacturing Forum ha tracciato un percorso industriale europeo per favorire la crescita. Cinque i passi da compiere: valorizzare gli skill, favorire il libero scambio, eliminare i silos, investire nei digital firm, promuovere R&D

Finanziare con 120 miliardi di euro, 40 in più rispetto al periodo 2014-2020, il prossimo piano di sviluppo tecnologico made in Eu Horizon. Favorire l’investimento privato nelle digital firm europee e agevolare la circolarità dei dati e delle informazioni strategiche fra le aziende impegnate in progetti comuni. Aiutare i lavoratori a valorizzare i propri skill e a formarne di nuovi; e, infine, promuovere la regolamentazione del mercato digitale. Per Thérèse de Liedekerke, vicedirettore generale di Business Europe – l’associazione che riunisce 41 associazioni nazionali di rappresentanza delle imprese, provenienti da 35 Paesi del Vecchio Continente – solo tracciando una vera e propria strategia industriale europea, l’Europa sarà in grado di uscire dal guado. Perché il programma Horizon non ha conseguito i risultati sperati, e anche il Mercato Unico Digitale, istituito per fare delle nuove tecnologie il motore della crescita, sta segnando il passo. Occorre una svolta. Le prime dieci digital firm del mondo sono americane o cinesi; e Stati Uniti e Repubblica Popolare si spartiscono il 97% del mercato delle piattaforme digitali. L’Europa è all’angolo. Con la Brexit, l’Eu perde l’ambiente più prolifico e accogliente per l’innovazione, Londra. Se trarre valore dalla raccolta e dall’esame di enormi quantità di dati è difficile, nel Vecchio Continente lo è di più rispetto a quanto accada nei due colossi ad Est e ad Ovest. Se n’è recentemente parlato nel corso del panel “Tecnologie dirompenti per arricchire il viaggio di trasformazione della produzione digitale”, nel contesto del World Manufacturing Forum di Cernobbio. Una tavola rotonda moderata dalla giornalista di Class Cnbc Claudia Pensotti cui hanno partecipato esponenti delle istituzioni europee, di agenzie scientifiche americane e di aziende private.

 







Non siamo in grado, attualmente, di utilizzare che una piccola parte dei dati disponibili, che però sono essenziali sia per l’azienda che per i nuovi modelli di business               

La questione è stata trattata dal direttore dei servizi dati e soluzione dei problemi fondamentali di The Dow Chemical Company Lloyd F. Colegrove con un intervento molto “personale” e in un certo senso, “fisico”. Quanti dati utilizziamo tra quelli che sono prodotti nello shopfloor? Quale valore riusciamo a trarre dalla loro elaborazione? Oggi gran parte delle nuove tecnologie industriali sono associate all’analisi dei dati; ma anche i nuovi modelli di business sono strettamente collegati ad essa. Si parla, ad esempio, di business ecosystem, e cioè di network di player di settori anche funzionalmente differenti che lavorano in modo congiunto per definire e portare sul mercato soluzioni innovative. Ciò che consente, ad esempio, ad una società di assicurazioni e un carmaker di dar vita ad una piattaforma IoT e ad un sistema satellitare per monitorare lo stile di guida dei clienti di un servizio di car sharing, premiando i comportamenti responsabili, è la raccolta real time di dati dal campo operativo. In questo caso, peraltro, il sistema funziona solo se si verifica uno scambio reale ed effettivo di informazioni essenziali tra aziende. Quindi la raccolta dei dati non è rilevante solo per l’azienda in sé, e quindi per la manutenzione predittiva delle macchine o per prendere decisioni strategiche; si avvicina al passo serrato un’epoca in cui fabric e società di servizi saranno interconnesse e la loro sopravvivenza dipenderà dalla capacità di dar vita a nuovi prodotti-servizio data-based. In particolare secondo Max Lemke – capo unità per le “Tecnologie e i sistemi per la digitalizzazione dell’industria”, direzione generale Connect, della Commissione Europea –  ecosistemi industriali guidati dall’intelligenza artificiale si imporranno nei settori della manifattura, della mobility, dell’energia, dell’agroalimentare, delle costruzioni e della salute. La raccolta e lo scambio saranno presto facilitati dal 5G, standard per la comunicazione mobile che assicura una velocità di download e upload molto elevata. Ma torniamo a Colegrove. «Mi sono formato come chimico – ha affermato – ma ho passato 30 anni a capire come utilizzare i dati». Ha fatto distribuire tra il pubblico presente in sala delle palline colorate, che rappresentavano, nell’esperimento, volumi di dati; mentre le persone che si erano prestate al test simulavano altrettanti sensori. Poi ha eletto una persona che nelle intenzioni di Colegrove rappresentava l’ingegnere addetto all’analisi dei dati. Questa teneva una scatola, che riproduceva il momento della convergenza delle informazioni nel sistema di analisi. Il pubblico-sensore ha lanciato le palline verso la scatola, ma pochi hanno fatto centro. Il patrimonio informativo, cioè, è andato in gran parte disperso.

Il direttore dei servizi dati e soluzione dei problemi fondamentali di The Dow Chemical Company Lloyd F. Colegrove mentre svolge il suo esperimento

  

Per ora, il Mercato Unico Digitale non è stato in grado di incidere su scala planetaria: la ricchezza dei dati premia Usa e Cina 

Per Thérèse de Liedekerke, vicedirettore generale di Business Europe, «ci sono stati progressi in Eu quanto alla capacità delle aziende europee di utilizzare i dati». Questi avanzamenti sarebbero dovuti al Mercato Unico Digitale, iniziativa Eu in essere che si compone di tre pilastri: migliorare l’accesso dei consumatori e delle imprese ai beni online; realizzare un ambiente in cui le reti e i servizi digitali possano prosperare; e fare del digitale il motore della crescita. Ma la verità è che il Vecchio Continente è talmente inconsistente sul piano digitale da non essere neppure presente sul campo di battaglia, quello dominato da Stati Uniti e Cina, che tra paci momentanee sono per lo più ai ferri corti. L’Europa riveste il ruolo di spettatore. «Si pensi che non c’è una sola unicorn europea tra le prime dieci al mondo per volume d’affari» – ha ammesso la de Liedekerke.  In effetti, le prime dieci, da Facebook a Xiaomi, da Uber a Alibaba, sono o americane o cinesi; e le prime sette aziende tecnologiche capitalizzano 5.200 miliardi di dollari, più del Pil del Giappone. E ciò accade in un periodo storico in cui la tecnologia è la chiave e la leva principale per la ricchezza, mentre i dati contano più del petrolio e dell’oro messi insieme.

Da destra: Claudia Pensotti, Thérèse de Liedekerke, Max Lemke, Andrea Chiesi, Bruce Kramer

Bruce Kramer, Senior Advisor, National Science Foundation ha ricordato che «Amazon vendeva libri, mentre ora grazie ai dati è leader mondiale della logistica». Per la de Liedekerke anche la posizione europea quanto a piattaforme digitali è profondamente arretrata: l’Eu conta per il 3% del mercato, contro il 67% degli stati Uniti e il 30% della Cina. Sgomenta pensare che l’Unione europea, che ha un Pil di poco inferiore agli Usa e superiore a quello della Cina, non sia stata in grado di mettere insieme neppure un unico piano di trasformazione digitale delle imprese: ogni Paese ha fatto il suo, e il nostro, cosiddetto “Piano Calenda”, è stato depotenziato dallo scorso governo per favorire misure sociali assistenzialistiche ma di grande impatto elettorale. Per l’esattezza, la Germania ha lanciato il suo piano “Industrie 4.0” nel 2013; il Belgio il programma “Made Different” nel 2013; i Paesi Bassi “Smart Industry” del 2014; la Svezia “Produktion 2030” nel 2014; la Francia “Industrie du Futur” nel 2015; il Regno Unito “Industrial Strategy” nel 2015 e l’Italia “Industria 4.0” nel 2016. Questi programmi sono finanziati in misura diversa, e non sono necessariamente coerenti come linee di sviluppo. Eppure la digital transformation è un processo fondamentale per l’azienda che intenda rimanere sul mercato. Per Andrea Chiesi, direttore R&D Project & Portfolio Management, Gruppo Chiesi «apre spazi enormi, e non va considerata un costo ma un’opportunità». Il risultato è che l’Europa non conta nulla, e che anzi potrebbe avviarsi a subire una fase di colonizzazione digitale da parte delle citate potenze.

Bruce Kramer, Senior Advisor, National Science Foundation

  

Cinque mosse per uscire dallo stallo

Così, la de Liedekerke, traccia un percorso. Il primo passaggio-chiave è la necessità di essere più “innovation friendly”. Si guarda al nuovo piano Ue per la ricerca e l’innovazione, quello che verrà dopo Horizon 2020. Quest’ultimo è stato finanziato, per il periodo 2014-2020, per oltre 80 miliardi di euro, oltre agli investimenti nazionali e privati. In particolare, ha sostenuto l’eccellenza scientifica e la ricerca di frontiera con 13 miliardi; la formazione dei ricercatori con 6,1 miliardi; lo sviluppo di nuove tecnologie con 2,7 miliardi; l’acquisto di attrezzature con 2,5 miliardi; l’acquisizione e lo sviluppo di tecnologie strategiche per l’industria con 13,5 miliardi; le Pmi con 3 miliardi; l’accesso alla finanza di rischio con 2,8 miliardi; e altro. Ma secondo la de Liedekerke non sono bastati: «Vogliamo essere sicuri che almeno 120 miliardi siano allocati nel piano; ma occorre anche lavorare a livello culturale, e imparare a bilanciare il principio di precauzione con la necessità di rischiare, che è importante per l’innovazione». Dobbiamo imparare dagli Americani, che non hanno paura di osare. Il secondo punto è quello dello «innovation-friendly enviroment», e cioè quello dello sviluppo di un ambiente in cui sia più conveniente investire nelle digital firm, che in Cina e in Usa ricevono finanziamenti maggiori. Si tratta di favorire la capitalizzazione delle aziende innovative, con risorse di mercato. Il terzo punto è invece questo: «Dobbiamo essere più “industry friendly”», con un approccio strategico molto diverso da quello attuale: una tattica “orizzontale”, che tenga conto del fatto che tutte le tecnologie operative convergono nel digitale, grazie al quale i servizi e la manifattura sono sempre più correlati. La strategia industriale europea, per la de Liedekerke, deve tendere ad eliminare silos informativi e dipartimenti aziendali che non si parlano, e deve anzi favorire la circolarità dei dati e delle informazioni strategiche. Inoltre, la l’Eu deve essere in grado di costituire un ambiente più “competition friendly”, aiutando i giovani e i lavoratori a valorizzare i propri skill digitali e a formarne di nuovi; e deve infine risultare più “trade-friendly”, promuovendo regole relative al mercato digitale (a livello di Organizzazione mondiale del commercio) e favorendo trattati di libero scambio. L’idea, peraltro espressa più volte dall’Ocse, è che i servizi svolgono un ruolo cruciale nel consentire le transazioni commerciali digitali, pertanto è fondamentale rimuovere gli ostacoli agli scambi di servizi.

Therese de Liedekerke, Deputy Director General, Business Europe. Photo: Erik Luntang













Articolo precedenteUn Vero Project per il software industriale
Articolo successivoCostamp vuole salire su aerei e camion






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui